"Che svampito." Pensò a sua volta Estrella.

"Decisamente uno svampito." Unai aggrottò la fronte, stranito.

Noncurante, il ragazzo si voltò verso il palazzo che si era lasciato alle spalle, e rivolse i suoi opachi abissi neri alla zona in cui aveva vagamente percepito quel Kaika che conosceva. Quello appartenente a Karen. Era debolissimo, e ciò l'aveva spinto a preoccuparsi profondamente per lei. Le palpebre gli si dischiusero in un velo di malinconia ai ricordi con lei che riaffioravano nella sua mente. Alla sua goffaggine, alla premura che la sua amica aveva nei confronti di quel vecchio camper nel quale viaggiava. Alla bontà innata che dimostrava con ogni sua scelta.

Ater sperò solo che tutta quella storia non avesse corrotto la purezza di Karen. Almeno quella voleva che rimanesse intatta. Perché persino lui, un assassino a sangue freddo, si era sentito più pulito accanto a lei.

"Ben fatto, Ater. Il piano ha funzionato a dovere grazie a te." Lo accolse Taiyo, le sopracciglia inarcate all'insù in maniera gaia. "La bomba di Masami ha raso al suolo gran parte della zona est del palazzo, e ora Kirai potrà introdursi per liberare Karen e fuggire." Informò.

Ater si rimise in piedi, aiutato da Sybil e Unai. "Ciò non toglie che rimangano ancora dei nativi." Fece presente.

"Di quello non devi preoccuparti." Taiyo avanzò di una dozzina di passi, raggiungendo l'orlo del precipizio che affacciava sullo spiazzo davanti al palazzo reale. Ater notò che la sua sottile katana era sguainata lungo il fianco, sfiorando il kimono verde bottiglia che indossava. "Tu pensa a fuggire da qui con Sybil e gli altri. Da qui in poi ci penso io. Direi che a questo punto io non possa più trattenermi, purtroppo."

Sybil e Ater contemplarono il suo sorriso stanco da sopra la spalla e non poterono evitare di sentirsi in apprensione. Ma allo stesso tempo, le lievi fiamme dorate che circondavano la lama del leggendario maestro li persuasero a non controbattere.

Si girarono per lasciare la zona: il loro compito era stato svolto. E adesso iniziava quello di Fujiwara Taiyo, solo con sé stesso sul colle, lo sguardo di fuoco impresso dritto nell'orizzonte. La calma benevola che lo aveva sempre distinto però iniziava a vacillare, come testimoniava il tremolio del polso che impugnava la spada.



La prigione all'ultimo piano dell'ala est, dov'era imprigionata Karen, si trovava in un'unica stanza circolare e priva di finestre, senza arredamento se non la cella composta interamente di galena sul fondo.

Al suo interno, al di là delle sbarre nere e lucide, la ragazza se ne stava seduta a gambe incrociate, il capo basso e lo sguardo perso nel vuoto.

Dopo l'addio a Mary-Beth, ogni giorno aveva covato il suo odio verso coloro che gliel'avevano portata via, una rabbia latente inibita dal materiale anti-Kaika che la circondava completamente, impedendole di rilasciarlo. Questo l'aveva resa solo più nervosa, giorno dopo giorno. Al dolore per la perdita si era aggiunto via via quello psicofisico, alimentato sempre di più fino a renderla instabile a livelli incontenibili.

Schiava dell'odio, Karen aveva continuato a giurare a sé stessa che se mai fosse riuscita a liberarsi o l'avessero salvata, avrebbe personalmente dato la caccia alle due guardie che avevano ucciso la sua maestra, rinchiudendo lei in quel limbo di sofferenza senza freni.

L'unico pensiero che la aiutava a resistere era l'immagine del ragazzo che nella sua mente brillava sempre, dandole sollievo. Grazie a Peter, riusciva ancora a sognare un futuro luminoso. Ma prima doveva farla pagare ai suoi carcerieri. Non sarebbe mai riuscita a perdonarli.

Una roboante esplosione, seguita da un addensamento di fumo davanti alla sua cella, la costrinse a destarsi. Si piazzò davanti alle barre, senza afferrarle per paura che la galena prosciugasse troppo le sue energie.

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