Dorothy aprì gli occhi.

Le sue iridi dorate si illuminarono gradualmente, riflettendo la luce che entrava dalla finestra della bianca camera d'ospedale.

Davanti al suo sguardo, la mano di Somber era stretta tra le sue, immobile come tutto il suo corpo.

Sul viso assonnato della ragazza appoggiato al materasso, una smorfia di dolore prese forma nel momento in cui si rese conto della situazione in cui il suo più longevo amico gravava.
Strinse più forte le mani del ragazzo: magari percependola avrebbe riaperto gli occhi.

Ma lui come sempre non ebbe alcuna reazione, rimanendo disteso e con le palpebre chiuse sul soffice lettino d'ospedale.
Alla fine, Dorothy gli lasciò le mani, sospirando amaramente, e si alzò, affacciandosi all'ampia finestra alla sinistra di Somber.
Fissando il parcheggio contornato da alberelli e alcuni bassi lampioni, iniziò a ristabilirsi dal sonno.

Si era addormentata accanto a Somber, come spesso aveva fatto negli ultimi giorni, in modo da non perdersi l'eventuale momento del suo risveglio, e magari chissà, riuscire a fargli avvertire la sua presenza così da confortarlo, in qualche modo.

"Che stanchezza..." sussurrò. "Vorrei solo che tu aprissi gli occhi, Somber. Che tornassi da me." Le si formò un nodo alla gola e fu attraversata da un inesorabile senso di malinconia.

Si sentiva crollare in mille pezzi ogni volta che pensava alle condizioni del compagno, al momento in cui le era svenuto davanti agli occhi sulle acque del Continente orientale, senza più ridestarsi.
I successivi erano stati mesi orribili, il viaggio di ritorno lo ricordava come uno dei peggiori periodi della sua vita, forse alla pari della sua infanzia a Dismal.

Almeno Somber era stato con lei durante quegli anni.

In quel momento sentì la porta spalancarsi alle sue spalle.

"Dorothy, sei sveglia? Ti ho preso il caffè." Era Peter.

"Sì, arrivo subito."

I due amici si sedettero sui sedili in pelle grigi, nel corridoio dell'ospedale.
La camera di Somber si trovava nella zona est dell'edificio, in fondo a un corridoio appartato che dava su un cortiletto laterale, attraverso grandi finestre scorrevoli. Una parte piuttosto isolata.
I seggiolini su cui si erano accomodati Peter e Dorothy si trovavano alla sinistra del corridoio, adiacenti al punto in cui esso iniziava.

"Allora, come ti senti? Quel processo di trasferimento per risvegliare Somber è doloroso?" Chiese Peter, porgendole la bevanda calda.

"In realtà non fa affatto male, ma prosciuga gran parte delle mie energie, dato che dura ore, e così finisco per crollare. Se non fosse per la supervisione di Antonio, probabilmente andrei incontro a un collasso vero e proprio." Rispose Dorothy, con aria segnata.

Il processo a cui si riferivano consisteva nella condivisione di una magistrale quantità di Kaika da parte di Dorothy, principalmente tramite il contatto delle mani, con cui lei e Antonio Santos intendevano far scattare una reazione nella mente bloccata di Somber.

"Dev'essere dura... sappi che se hai bisogno, io e Alex siamo qui." Affermò Peter.

"Lo so." Sorrise lei. "Perché non mi parli delle vostre avventure a Northfield? Sono curiosa." Dorothy tentò di alleggerire l'atmosfera.

"Oh, è stato un casino pazzesco, non ci crederai!" Esclamò lui, entusiasta al ricordo di quell'esperienza.

"Davvero?" Rise Dorothy.

"Già! In pratica ci siamo messi contro un pezzo grosso legato all'Esercito Guerrigliero..." Peter iniziò a raccontarle di tutte le vicende che aveva vissuto con Alex a Northfield.

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