Μολὼν λαβέ

2 0 0
                                    

Μολὼν λαβέ

Liguria, marzo 1815

Era sbarcato sulla terra ferma il primo giorno di marzo e aveva diretto la marcia verso la sua ex capitale. Il volo dell'aquila era iniziato e, di campanile in campanile, sarebbe continuato fino alle guglie del Duomo di Milano.

Napoleone era rimasto per dieci mesi nell'isola d'Elba, dove gli abitanti lo avevano accolto benissimo e dove si era dedicato a opere di ristrutturazione e di ammodernamento, trasformando, in breve tempo, la piccola comunità nel centro culturale d'Europa.

Fra un progetto edilizio e una festa da ballo, tuttavia, l'idea del ritorno lo aveva più volte sfiorato e si era progressivamente radicata in lui, fino a diventare un piano concreto e ben congegnato.

Si era trovato ben presto a corto di denaro, perché la rendita che gli avevano promesso non gli era stata corrisposta e, come se non bastasse, dal Congresso di Vienna, gli era giunta notizia che gli inglesi e i prussiani avrebbero voluto deportarlo fuori dall'Europa, nelle Isole Azzorre o a Sant'Elena e che qualcuno stava addirittura meditando di assassinarlo. Era venuto a sapere che il Congresso di Vienna non procedeva e che i popoli erano scontenti del ritorno dei vecchi Sovrani nei territori da lui, un tempo, conquistati.

Il terreno era, quindi, propizio per un immediato rientro. Come aveva sempre fatto, si era deciso a giocare di anticipo, prima di finire del tutto i soldi e di vedersi deportato in qualche remoto angolo della Terra. Si era consultato con la madre ed ella aveva convenuto che il figlio non avrebbe potuto concludere i suoi giorni in un riposo indegno di lui.

Come un altro grande condottiero tanti secoli prima, aveva tratto il dado ed era partito.

Marciava per le campagne liguri e i contadini lo acclamavano mentre le autorità civili e religiose gli prestavano giuramento. A tutti si mostrava forte e sicuro di sé, pieno di quel carisma che fa sembrare possibili le imprese irrealizzabili. Gli esseri umani amano la forza e odiano la debolezza e ciò fa sì che non siano i buoni, gli onesti, gli intelligenti o gli istruiti a conquistarsi il favore delle folle, ma soprattutto coloro che sono capaci di infondere sicurezza e che si presentano come quelli che risolvono i problemi e non li creano.

Un giorno, avvenne l'inevitabile.

Un reggimento marciò verso i soldati guidati dall'aquila imperiale, con l'intento di catturare il criminale evaso e di consegnarlo alla giustizia. Lo videro muoversi in lontananza, fra luccichii di lame e nuvole di polvere e se lo trovarono, in meno di un'ora, faccia a faccia.

Molti fra i soldati di quel reggimento, quasi tutti, provenivano dalle fila del vecchio esercito napoleonico. Vari ex compagni d'arme si riconobbero, soltanto che, ora, non combattevano più fianco a fianco, ma erano armati gli uni contro gli altri.

I due schieramenti si fronteggiarono in un silenzio irreale, finché Napoleone non si staccò dalle sue truppe e, avanzando verso chi era venuto a catturarlo, senza imbracciare il fucile né brandire la spada, disse:

– Chi vuole sparare al suo Imperatore è libero di farlo!

Al silenzio, frutto della sorpresa, seguì un boato e gli uomini venuti a catturarlo gettarono a terra le armi e in molti si buttarono a terra pure loro, in ginocchio. Lanciavano in alto i cappelli e lo acclamavano, già nostalgici dell'epoca della grandeur, quando, per una manciata di anni, erano stati qualcuno o si erano illusi di esserlo. I vecchi compagni d'armi si abbracciarono e tornarono a essere un solo esercito.

L'Imperatore continuava a marciare e, ogni volta che incontrava un reggimento inviato contro di lui per fermarlo, le scene si ripetevano sempre uguali.

********

La leonessa di FranciaWhere stories live. Discover now