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Versailles, Palazzo Jarjayes, luglio 1811


– Mi chiedo come tutto questo sia stato possibile! – esclamò Rosalie, guardando la figlia con occhi afflitti – Eppure gli insegnamenti te li ho dati! Ti credevo una ragazza più giudiziosa!

– Sono mortificata, Madre. Non ho giustificazioni – sospirò la ragazza, con un filo di voce e guardando in basso.

– Con un uomo sposato e di una diversa classe sociale, Bernadette! Non ti facevo così sprovveduta! E, poi, si fosse almeno trattato di un brav'uomo... Ma i galantuomini non seducono le ragazze perbene, soprattutto se sono sposati...

– Non ho parole, Madre... Di certo, non ne ho per giustificarmi... Non ci sono scuse per quello che ho fatto... – e scoppiò a piangere come una bambina.

Ripensò a quella notte, quando era fuggita via mano nella mano con lui, fra l'odore intenso dei roseti notturni, il frinire delle cicale e le note di Mozart che si facevano sempre più lontane. L'aveva condotta in una stanza che, adesso, non avrebbe saputo descrivere e anche di quello che era seguito conservava una memoria confusa. Cedere ai sensi, sul momento, non le era dispiaciuto anche se lui non aveva usato alcun riguardo alla condizione di lei e aveva pensato soltanto al proprio appagamento. Quando tutto era finito e l'ebbrezza dei sensi era svanita, si era ritrovata frastornata, indolenzita e in preda alla vergogna, con lui addormentato accanto ed era fuggita via.

Si era confessata in una Chiesa dove nessuno la conosceva, aveva udito le aspre rampogne del prete pioverle sul capo ed era tornata a casa, decisa a troncare di netto quella cosa. Lui, però, non aveva condiviso quelle ritrosie che aveva giudicato testualmente inutili e tardive e aveva iniziato a inondarla di lettere sempre più insistenti e ad appostarsi per incontrarla, tanto che lei si era rinchiusa in casa, dalla quale non era più uscita se non per adempiere il suo incarico alla reggia.

Non aveva parlato ad alcuno di quella notte, fino a tre giorni prima.

– Comunque, quel che è fatto è fatto e non si piange sul latte versato... Per nostra fortuna, i coniugi Lefèvre sono a Parigi, per fare visita alla zia di Monsieur Lefèvre che è ammalata... Si sono detti entusiasti di prendere con sé il bambino...

Marie Gabrielle Laforge, coniugata Lefèvre, era una cugina di Bernard che, in dieci anni di matrimonio, non era riuscita ad avere figli.

– Ho raccontato che il bambino sarebbe nato da una mia lontana parente rimasta vedova e senza mezzi e loro non hanno fatto ulteriori domande – proseguì Rosalie – E, poiché vivono a Marsiglia, non ci saranno occasioni d'incontro, ognuno andrà per la sua strada e, di questa storia, non parlerà più nessuno, siamo intesi?!

Rosalie fece una breve pausa e, poi, sbottò, mettendosi le mani fra i capelli:

– Se penso che Marie Gabrielle Lefèvre è sposata da dieci anni senza risultato mentre a te è bastata una sola notte per rimanere incinta! Ma non si piange sul latte versato...

– E se il bambino lo tenessi io, Madre? Ho dei risparmi. Potrei andare ad abitare da un'altra parte, dove non mi conosce nessuno. Vivrei sotto falso nome, mi inventerei un passato...

– Ma stai scherzando? – esclamò Rosalie, guardando la figlia come se fosse stata un fantasma.

– No, Madre, non sto scherzando – rispose Bernadette, asciugandosi le lacrime – Se, come dite Voi, per me, ormai, contrarre un buon matrimonio è praticamente impossibile, tanto vale che mi tenga l'unico figlio che mi sarà concesso avere e che lo veda crescere.

– Quanto pensi che durerebbero i tuoi risparmi e che lavoro credi che troveresti? – ribatté Rosalie, serrando i pugni – E, quando scopriranno che sei una ragazza madre, perché lo scopriranno, come pensi di andare avanti? Stirando montagne di panni in un sottoscala umido e buio e consumandoti fino ad ammalarti e a morire?

La leonessa di FranciaWhere stories live. Discover now