L'Armata di Vandea

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L'Armata di Vandea


Parigi, Cattedrale di Notre Dame, primi di luglio del 1810


I funerali di Girodel si svolsero in un clima di composto dolore che coinvolse tutti, familiari, compagni d'arme, amici e semplici conoscenti. Persino i servitori che, solitamente, partecipavano alle esequie dei loro padroni per adempiere un dovere, con muto rispetto, ma senza alcun autentico trasporto, in quel frangente, apparirono sinceramente commossi, avendo trovato nel Visconte un buon padrone, giusto e rispettoso.

Madame de Girodel era pallida e frastornata. Essendo il lutto ancora troppo recente, la fase dello stordimento e dell'estraniazione prevaleva su quella del tormento profondo che doveva ancora arrivare e impossessarsi di lei. La donna, figlia di due genitori morti entrambi prima di compiere cinquant'anni e, in particolare, di una madre inferma che aveva dovuto accudire per molti anni, sacrificandole la sua gioventù, era diventata ella stessa cagionevole di salute dopo il ferimento avvenuto, anni prima, nel Bois de Boulogne. Accanto alla bara del marito, apparve a tutti vacillante ed evanescente, come se si stesse rapidamente consumando.

I due figli erano taciturni e compunti, col volto chino e lo sguardo mesto. Anche loro si mostravano confusi, stavano sempre vicini l'uno all'altra ed erano confortati da Honoré e Antigone.

Quest'ultima, rivelando una sensibilità inaspettata che aveva stupito tutti, era stata encomiabile nel suo ruolo di consolatrice. Si era data molto da fare intorno ai due amici, tanto che il Conte Albrecht von Alois, in quelle frenetiche giornate, non ne aveva occupato la mente neanche per un istante.

Il vecchio Conte de Girodel, sempre così severo e tutto d'un pezzo, era svuotato e indebolito e, in pochi giorni, gli erano calati addosso dieci anni tutti insieme. Distrutto dalla morte del suo unico figlio superstite ed erede, aveva perso la voglia di vivere e la forza di combattere. Il figlio maggiore gli era morto più di venti anni prima, quando era ancora un uomo forte e in lui, fatuo e libertino, non si era mai riconosciuto. Era sempre stato Victor Clément il prediletto e perderlo lo aveva annientato.
Oscar sedeva accanto ad André, nella stessa fila del Generale de Jarjayes e della moglie. Era ancora afflitta e provata anche se parzialmente consolata dalla frase riportatale dal Conte di Fersen. Ripensava a quella convulsa missione, al suo scalpitare per non avervi partecipato fino all'ultima tappa e, poi, a quel galoppare frenetico, all'esplosione secca e breve degli spari e al ritrovamento del povero corpo crivellato, disteso su fili d'erba e zolle di terreno. Ripensava a quel muto corteo di ritorno sul suolo francese, con i morti e i feriti trasportati su rudimentali lettighe – che altro non avevano – il tutto rigorosamente di notte, per non richiamare l'attenzione delle autorità del Granducato di Baden.

André la guardava con occhi calmi e buoni e la consolava senza parlare, semplicemente affiancandola e porgendole il braccio. Aveva sofferto immensamente quando Girodel aveva chiesto la mano di Oscar, ma, negli anni, dopo la sua elevazione alla nobiltà, aveva frequentato il Visconte su un piano di parità, imparando a conoscerlo e a stimarlo e, ora, lo piangeva sinceramente.

Il Generale de Jarjayes era sconvolto dalla morte di quell'uomo che aveva sempre ammirato, tanto che, un tempo, aveva pensato di farne suo genero ed era atterrito al pensiero che un'identica sorte sarebbe potuta toccare alla figlia, al punto da diventare noioso e da insistere continuamente affinché questa, ormai quasi cinquantacinquenne, si congedasse dall'esercito. La leonessa, però, pur comprendendo lo stato d'animo del genitore, da quell'orecchio non ci sentiva, perché voleva continuare a combattere.

Il Conte di Fersen e Alain sedevano vicini, strana accoppiata di uomini molto diversi fra loro, venuti entrambi a omaggiare un soldato valoroso e un uomo perbene, da loro conosciuto in circostanze differenti, ma ugualmente stimato.

La leonessa di FranciaWhere stories live. Discover now