Il prezzo di una missione riuscita

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Il prezzo di una missione riuscita


Granducato di Baden, 20 giugno 1810


Erano giunti nel Granducato di Baden e si erano spinti fino a circa due miglia avanti alla città di Kehl, decisi a intercettare la carrozza del Duca d'Enghien prima che questa fosse assalita dagli emissari di Bonaparte.

Non si erano risparmiati, galoppando giorno e notte e dormendo il meno possibile, quel tanto che bastava a evitare a se stessi e ai cavalli di stramazzare al suolo. Il prezzo che stavano pagando, tributo da offrire al peso degli anni oltre che a quella corsa impossibile, erano i nervi tesi come corde di violino e i muscoli rigidi e doloranti. Anche gli animali erano stremati. Lo si vedeva dalla bava alla bocca, dal nervosismo che trasudava da ogni loro movimento e dal modo ossessivo con cui agitavano la testa e la coda e raschiavano la terra con gli zoccoli, ora che erano fermi sull'altura che avevano scelto come osservatorio della parte culminante della missione.

– Generale de Girodel, Conte di Fersen, come state? – chiese Oscar, volgendosi verso di loro.

– Con tutte le ossa rotte, Generale! – rispose il Conte di Fersen, con voce baldanzosa che pareva contraddire l'affermazione.

– Sono stato sicuramente meglio in vita mia – disse, quasi simultaneamente, il Generale de Girodel, con tono più compito e marziale di quello usato dal compagno d'avventura.

– Secondo i piani – proseguì Oscar – è a questo punto che ci dobbiamo separare. Con otto Guardie Reali, raggiungerete la carrozza del Duca d'Enghien che dovrebbe arrivare da sud e le farete deviare il percorso, conducendola qui, dove resteremo accampati noi. Avete domande da pormi?

– No, Comandante, è tutto chiaro – rispose Girodel.

– E' tutto chiaro anche a me – fece eco il Conte di Fersen.

– Che Dio sia con Voi – concluse Oscar, con voce fattasi lievemente più bassa.

Non era solita scomodare Dio e le schiere celesti per le questioni militari, ma, quel giorno, un vago senso di inquietudine la stava attanagliando.

Girodel le fece il saluto militare mentre Fersen si accomiatò con un cenno del capo e un mezzo inchino. Successivamente, voltarono i cavalli e si allontanarono, seguiti dalle otto Guardie Reali scelte per accompagnarli.

Secondo il piano, Oscar sarebbe rimasta sull'altura, insieme ad André, al Colonnello de Valmy e ad altre quaranta Guardie, a supervisionare la missione, pronta a dare manforte qualora ce ne fosse stato bisogno.

Era di umore più cupo del solito, perché avrebbe voluto guidare gli uomini fino alla fine della sortita e cedere il comando al suo secondo sul più bello le era costato un grande sforzo. Alla fine, però, si era adattata a seguire i consigli del marito, riconoscendone la ragionevolezza, anche per evitare l'inasprirsi del contrasto con Girodel. Le dispiaceva che, dopo tanti anni, il ferimento di Madame Henriette Lutgarde pesasse ancora come un macigno sui rapporti col secondo in comando e che quel solco non fosse stato ripianato. Aveva, in realtà, di tanto in tanto percepito un'increspatura nelle loro relazioni e, dentro di sé, ne conosceva la ragione, ma sentirsi rinfacciare apertamente la propria avventatezza l'aveva ferita e umiliata.

Guardando Girodel cavalcare lontano, si augurò che la sorte gli fosse propizia e che, al più presto, avrebbero potuto cancellare ogni ombra dai loro cuori.

Non c'era stata occasione di ricucire formalmente il diverbio di qualche giorno prima e di appianare le divergenze, perché erano partiti quasi subito e i ritmi serrati del viaggio avevano concesso loro a stento la possibilità di rifocillarsi e di strappare qualche ora di sonno alla tirannia del tempo. Tutto ciò la rattristava immensamente e le rendeva il cuore pesante come piombo. Tornati a casa, avrebbero chiarito ogni cosa e lei gli avrebbe presentato le sue scuse per tutto, a cominciare dal ferimento della moglie, fino ad arrivare alla sua criticabile condotta di qualche giorno prima.

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