Il Generale Inverno

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Il Generale Inverno

Europa continentale, primavera del 1812

Il momento dello scontro si stava avvicinando e Napoleone lo attendeva con animo altalenante, a volte esaltato, altre irritabile, ma sempre incrollabilmente fiducioso nel buon esito di qualsiasi impresa che avesse voluto affrontare.

Lo Zar Alessandro era spronato, dall'ala antinapoleonica della nobiltà russa, a gettare alle ortiche gli accordi di Tilsit e a prendere le armi contro Bonaparte e, in effetti, le clausole di quei patti e, soprattutto, il blocco continentale contro l'Inghilterra si stavano rivelando di giorno in giorno più difficili da osservare. Come se non bastasse, il cugino dello Zar, Re Federico Guglielmo di Prussia, prostrato da condizioni di pace vessatorie e umilianti, voleva la rivincita e premeva per un rovesciamento delle alleanze.

Il rifiuto dello Zar di concedere a Napoleone la mano della sorella Anna Pavlovna aveva, poi, definitivamente raffreddato i rapporti tra i due monarchi, inducendo Bonaparte a rapire Maria Luisa d'Asburgo Lorena, sottraendola a Luigi XVII di Francia e stringendo, così, un'alleanza con l'Austria.

Alcuni Marescialli e Generali bonapartisti non avevano mancato di sottolineare l'eccessiva aleatorietà di una campagna in Russia, a causa delle dimensioni sterminate dei domini dello Zar che avrebbero reso troppo pericoloso per qualunque esercito europeo, non abituato a quelle distanze e alla rigidità del clima continentale, addentrarsi nelle steppe dell'Asia. Avevano, quindi, suggerito una strategia di contenimento dell'esercito zarista, mirata a vigilare i confini onde evitare che i russi entrassero in Europa.

Napoleone, però, aveva rigettato la proposta, giudicando la strategia di contenimento dei confini poco incisiva, perché destinata a defatigare l'esercito a tempo indeterminato senza un risultato tangibile. Inoltre, se anche la Prussia si fosse sollevata e avesse dato manforte alla Russia, il centro Europa si sarebbe trasformato in una polveriera e, a quel punto, pure il suocero Imperatore d'Austria avrebbe potuto abbandonarlo, senza contare che il Visconte di Wellington, nella penisola iberica, stava mettendo a dura prova la resistenza dell'esercito napoleonico.

Soprattutto, una strategia di contenimento non avrebbe rispecchiato il carattere dell'Imperatore. Napoleone inorridiva all'idea di non poter prendere l'iniziativa, di non sferrare un attacco a sorpresa, di non studiare una nuova mossa, di non costruire ad arte la battaglia perfetta che rinverdisse il capolavoro di Austerlitz. Limitarsi a rintuzzare gli attacchi di una masnada di contadini russi, ardimentosi, ma primitivi sarebbe stato umiliante. Avrebbe, invece, marciato nelle steppe solitarie e sterminate della Russia, come aveva fatto Alessandro Magno prima di lui, alla testa della Grande Armata, l'esercito più imponente e professionale che il mondo avesse mai visto, con oltre seicentomila uomini, millecentoquarantasei cannoni e centinaia di migliaia di cavalli.

Avrebbe umiliato l'orgoglio dello Zar, mettendone a ferro e fuoco il regno e, a quel punto, si sarebbero spalancate davanti a lui le porte dell'India, della Cina e del Giappone, con tutti i tesori inestimabili che quegli imperi senza tempo custodivano da millenni.

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Versailles, primavera del 1812

Dopo un travaglio durato quasi due giorni, il 21 aprile 1812, la Regina consorte aveva dato alla luce una figlia cui era stato imposto il nome di Elisabetta. La bambina era stata battezzata il giorno stesso della nascita, nella Cappella Reale di San Luigi IX, dal Grande Elemosiniere di Francia.

L'evento era stato festeggiato in tutto il Regno. Il Te Deum era stato intonato in ogni Chiesa di Francia e ai sudditi era stato offerto da mangiare e da bere. Spettacoli pirotecnici erano stati allestiti nelle principali città e i giardini di tutti i palazzi reali erano stati aperti al pubblico.

La leonessa di FranciaWhere stories live. Discover now