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Le Ferrari sono in seconda fila: allo spegnersi dei semafori rossi Leclerc fa una delle sue migliori partenze, piazzandosi primo.
I giri vanno e la gara è movimentata.
Inevitabile per me sperare un po' anche per Lando e ogni volta che lo vedo tentare un sorpasso azzardato mi sale un'ansia incredibile.
Siamo all'ultimo giro quando Sainz fa una delle mosse più avventate di questo gran premio e così riesce a concludere terzo: un podio rosso.
Sul gradino più alto Leclerc, il nostro italiano acquisito, secondo Hamilton e terzo Carlos. Mi brillano gli occhi.

Corriamo sotto il podio, una macchia rossa ci travolge e Imola si riempie di cori che innalzano il cavallino e i suoi piloti.
È passato un po' di tempo da quando entrambe le Ferrari sono salite sul podio e tutti i tifosi sono in estasi. Potrebbe essere davvero il nostro anno.

Torniamo al box e festeggiamo con il team, mentre i ragazzi fanno le interviste.
Corro da Charlotte e Isa, ci abbracciamo strette.
La bionda mi chiede come sto e sorrido.
"Ringrazio Charles di avermi obbligata a venire, la gara mi ha gasata molto, il mio cuore torna a sorridere".
Mi dà una carezza sul viso, proprio come se fosse una sorella maggiore.

Samu dallo zaino tira fuori due bottiglie di prosecco: "sapevo sarebbero servite".
Scoppiamo tutti a ridere, sembra quasi che questa volta il portafortuna sia stato lui.

È una grande festa qui a Imola, gli occhi brillano a chiunque e tutti esultiamo, sembra di essere un'enorme famiglia.

"Ludo vorrei andare a fare un saluto ad Ayrton" mi bisbiglia all'orecchio mio padre.
Dopo esserci assicurati di poter andare in pista, ci dirigiamo verso la curva del Tamburello.
Raramente l'ho visto con il volto così scuro e lo diventa anche il mio non appena si porta la mano sul cuore.
Vedo che muove la bocca, ma non riesco a leggergli il labiale. Fa una carezza a una delle bandiere appese lì insieme a qualche mazzo di fiori.
Gli poso una mano sulla spalla, so cosa vuol dire perdere un idolo anche se le loro sono vite diverse.
Però le storie di Senna e Schumi sono intrecciate tra di loro, due grandi con un terribile destino.

Dopo questo momento intimo e di commemorazione, torniamo verso il box.
Non possiamo partire tardi, domani lavoriamo e la strada per casa ci aspetta.

Stupido da parte mia distrarmi.
Il mio cervello non ha pensato per qualche decina di minuti che io avevo un unico obbiettivo oggi: non farmi notare da una persona, una persona soltanto.
Mi sono dimenticata che il box McLaren è proprio di fianco al box Ferrari e che gli omini arancioni sono molto vicini agli omini rossi.
E mi sono anche dimenticata che Sainz è grande amico di Norris.

Nella folla cerco i due Carli, così ormai li abbiamo soprannominati, per poterli salutare.
Non so se sia uno scherzo del destino, ma caso vuole che Charlotte, la PR della McLaren, si stia congratulando con l'ex pilota di squadra e così i nostri sguardi si incrociano.
Proprio mentre le accenno un timido saluto con la mano, compare Bert alle sue spalle che mi fa strani cenni con le mani.

Non riesco a capire cosa vuole comunicarmi e quando lo realizzo è troppo tardi: un ricciolino con gli occhi azzurri e una cannuccia in bocca si avvicina alla bionda, con espressione interrogativa.

Vorrei muovermi, ma le mie gambe sembrano piantate al terreno e il mio respiro è mozzato.
Deglutisco a fatica e mentre passano davanti a me persone che corrono da una parte all'altra, cerco di pensare una via di fuga, una scusa, una motivazione da dare, ma non riesco: ho il cervello annebbiato.

Così, mentre apro la bocca per prendere aria, i suoi occhi si incrociano coi miei e l'intero sistema solare smette di ruotare intorno a noi.
Fa cenno di avvicinarsi a me, probabilmente istintivo, ma si blocca.
Riprendo coscienza e corro nel box, infilandomi nel corridoio più stretto e nascosto che io possa trovare.
Sto lì, con il fiato sospeso e prego affinché nessuno mi chieda di spostarmi.

Che codarda che sono.

Sento la voce dei due piloti che parlottano in inglese, non capisco ciò che dicono, il rumore del cuore che batte nel mio petto è più forte.

"No non l'abbiamo vista, è passata prima però credo sia ancora qui" dice un accento francese.
"È qui, lo so" risponde una voce troppo famigliare.
"Lando!" Urla un altro fiato.
"5 minuti, arrivo" risponde.

Sono alle strette: l'unico modo per uscire di qui è passare da dove sono arrivata e questo vorrebbe dire incrociarci di nuovo e non so a cosa potrei andare incontro.
Così prendo il telefono e chiamo i miei compagni di viaggio. Il primo a rispondermi è papà.
"Riki dove sei?"
"Davanti al muretto, sto facendo delle chiacchiere. Piuttosto tu dove sei?"
"Storia lunga. Sei per caso in grado di recuperare i ferraristi e un membro del team papaya?" Bisbiglio.
"Alza la voce signorina! Non sento. Cos'è che vuoi?"
"No niente papà lascia stare" e chiudo la telefonata.
Dovrò andare incontro al mio terribile destino.

Faccio un respiro e mi dirigo verso l'uscita. Stringo i pugni così forte che le mie unghie si conficcano nella carne e corro.
Sbatto contro una tuta rossa, ma non ci do peso e vado avanti.
"Ehi!" Mi sento urlare.
Non mi giro, ho troppa paura.
Sento dei passi veloci verso di me e il mio braccio viene tirato. Non sono pronta.
"Ciao Ludi" tentenna l'uomo che mi ha fermata.
"Ehi" balbetto.
"Sei diventata il portafortuna in Ferrari allora?" Cerca di mandare avanti la conversazione.
"No non credo, come ti ho sempre detto è questione di talento, non di chi c'è fuori dalla pista a supportarvi e poi sarebbe offensivo per Isa e Charlotte."
Mi guardo intorno alla stanza per cercare di non cedere ai suoi occhi.

"Ludi, possiamo parlare per favore?"
"Lando devo andare tra poco, dobbiamo essere a casa stasera".
"Per favore, ti ho lasciata parlare quel weekend, ma ora è passato più di un mese e non mi hai dato modo di dirti delle cose".
"Cosa dobbiamo ancora dirci? Io non voglio soffrire".

"Oh Ludo dove sei? Ti cerca tuo padre" urla Luca dall'altra parte del box.
Mi giro a guardarlo, ma la mano di Norris non mi molla.

A piccoli passiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora