CAPITOLO 9 - II

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– Dove hai detto che sta, la tua bao? È più di un'ora che camminiamo. – Lin aveva già gli abiti incrostati di neve, e trovava il cielo rannuvolato e grigio ben poco rassicurante.

– A sud del campo di adunata – rispose Taoji – e non voglio attraversarlo. Ci arriveremo dal bosco.

– Non mi sembra una buona idea. Sta facendo buio.

– Conosco la strada, sta tranquilla.

– Ma se non sei sicuro di quel che è successo, perché non chiedi a qualcuno? Haijin Shu lo saprà bene.

– Non mi fido. Potrebbe essere un'illusione anche quella.

– Tu sei matto – concluse Lin, ma lo seguì. Dopo tutto, non avevano niente di meglio da fare se non portare a termine l'esercitazione, e da quel punto di vista erano più che tranquilli.

Scivolarono attraverso il bosco, aggirando il perimetro dell'accampamento della Casa delle Sette Fiamme e tenendosi a distanza dalle bao. Dovettero guadare di un ruscello, immergendosi nell'acqua fino alle ginocchia, scalzi e coi calzoni rivoltati, e poi risalire una china boscosa e, finalmente, Taoji fece cenno a Lin di fermarsi. – Ci siamo – sussurrò.

– Perché parli piano?

– Se ci fosse qualcuno, non voglio che mi senta. Potrebbe essere Gulien. Prima l'ho... – Si interruppe prima di finire la frase.

Lin spalancò gli occhi. – Gulien? Dove l'hai visto?

– Sulla montagna, ma non ne sono sicuro. Per questo voglio cercare delle prove. Ecco, vedi?

Lin guardò dove Taoji le indicava, e impastoiato vicino alla bao vide un cavallo, ancora con la sella e i finimenti addosso. – C'è qualcuno.

– Sì, c'è.

– Sai chi è? Che vuoi fare?

– Non so chi sia, – rispose Taoji, – ma voglio scoprirlo. Potrebbe essere un inviato di Haijin venuto a prelevare la nostra roba, o un ladro per rubarla. Avviciniamoci, se anche dovesse uscire qualcuno il chandao è dall'altra parte.

Camminando bassi e silenziosi, le orecchie tese a qualsiasi rumore, i ragazzi si avvicinarono, fermandosi ad un passo dalla tenda. Una folata di vento gelido fece sbattere le falde della copertura, facendoli sobbalzare e schiaffeggiandoli con fiocchi gelidi. Stava cominciando a nevicare.

– Dovremmo tornare – sussurrò Lin. Se i fu avessero compiuto un'ispezione senza trovare almeno uno dei due alla bao, sarebbero potuti essere puniti.

– Tra poco. Laggiù, vicino alla nubao, c'è la pira dei miei genitori. Vai a vedere. Io vedrò di capire chi c'è lì dentro.

– Come vuoi, ma poi torniamo.

– Sì, sì, vai. – Qualunque cosa stesse succedendo nella bao, Taoji non voleva che Lin ne venisse coinvolta. L'osservò allontanarsi, poi girò attorno alla tenda nella direzione opposta. Lo spesso tessuto della copertura era in grado di assorbire buona parte dei normali rumori delle attività che si svolgevano all'interno, ma mai completamente. Invece, dall'interno non arrivava nessun rumore.

Il cavallo lo notò e arretrò sbuffando, e Taoji gli mostrò le mani aperte per tranquillizzarlo. Era un agile destriero da corsa, di corporatura snella, sicuramente di proprietà di qualche guerriero di cui non riconobbe le insegne. Quando capì che Taoji non costituiva una minaccia, l'animale perse interesse e smise di agitarsi.

Il chandao era slacciato, segno di fretta. Lo scostò e si trovò nel mezzo di una confusione mai vista. Il braciere era rovesciato, le coperte del pavimento strinate dalle sfere di sterco rotolate in giro. Dalle travi del tetto pendevano numerosi teli colorati, strappati e schizzati di qualcosa di scuro e viscido che, qua e là, era tanto copioso da gocciolare. Tutt'attorno, i giacigli erano rivoltati e le suppellettili sparse in giro, perlopiù in frantumi. In un paio di punti, anche la graticciata sembrava sfondata, come se all'interno si fosse svolta una lotta di cui non comprendeva il senso.

Quando, protesa dal mucchio di masserizie che copriva il pavimento della bao, riconobbe la sagoma pallida di una mano, contorta come un artiglio e con tutte le dita incrostate di sangue, gridò.



Non aveva trovato animali, nemmeno una stupida lepre, ma l'escursione non era stata infruttuosa.

Sul margine del bosco, infatti, aveva trovato numerose impronte, di uomini e cavalli. I tracciati erano confusi, difficilmente leggibili, ma le impronte appartenevano chiaramente a due persone, di cui una dotata di ciaspole, più un cavallo condotto per le briglie. Non ricordava di aver visto nessun cavaliere, e si domandò come avesse fatto ad avvicinarsi tanto senza essere visto né sentito. In ogni caso, era arrivato in groppa, era smontato e poi risalito, e ritornato indietro quasi sullo stesso percorso. Un'altra serie di impronte, quelle con le ciaspole, emergevano dal bosco a valle, incrociando le precedenti e da quel punto procedendo insieme, dirette verso il lago.

Kai le seguì, accompagnata da un pessimo presentimento.

Deviò verso lo specchio d'acqua, quasi nero nella luce del tardo pomeriggio, e presso la riva trovò un cumulo di abiti pesanti che non potevano che appartenere a Nianghan. Erano zuppi d'acqua e sangue, induriti dal gelo e squarciati da lunghi tagli di coltello. Chi li aveva rimossi doveva avere una gran fretta, o una lucida determinazione.

Un terrore strisciante senza nome le afferrò le viscere torcendole come uno straccio intriso di sangue.

Quando notò, qualche passo sulla destra, l'ampia chiazza rosata che macchiava il candore della neve, i presentimenti divennero certezze.



– Che succede? – Lin comparve al chandao che Taoji ancora non aveva smesso di gridare.

– Non lo so – mormorò lui stringendo convulso il palo. – Guarda. – Indicò l'arto bianco, le dita chiazzate di sangue, incapace di credere a ciò che vedeva.

– Chi è?

– Non... non lo so, e non sono sicuro di volerlo sapere. – Ne aveva avuto abbastanza, di morte, sangue e dolore.

– Chiunque sia, potrebbe essere ancora vivo. E là, guarda. – Lin indicò un altro punto da cui, da sotto un mucchio di teli, spuntava un piede. – Aiutami a liberarli.

– No... – Qualcosa di incomprensibile lo tratteneva. Sentiva che ciò che si trovava lì, sotto quel cumulo di detriti, era troppo terribile per essere esposto, ma Lin stava scavando tra le suppellettili e le coperte, scoprendo man mano nuovi dettagli.

I corpi erano due, una donna e un uomo, entrambi completamente nudi. Lui era riverso su di lei, il corpo disteso tra le sue gambe aperte come al culmine di un drammatico accoppiamento, e quando lo ribaltarono per rivelarne l'identità, Taoji quasi svenne.

Non conosceva l'uomo, ma la ragazza era Yia. Indossava alcuni gioielli, quasi tutti appartenuti a Shido, e aveva una dao conficcata fino all'impugnatura alla base del torace. La lama sprofondava verso l'alto, e doveva aver spaccato il cuore. Il sangue che ricopriva i due corpi era ancora fresco, la bocca della ragazza ne era piena e ne colava fuori in rivoli da entrambi i lati.

– Che schifo – mormorò Lin, ma non si riferiva a Yia. Il corpo del giovane era cosparso da decine di graffi profondi, provocati quasi certamente da unghie che in moti casi erano affondate e avevano scavato fino a sollevare la pelle, e più in basso lo yang era attaccato alla carne per non più di un brandello di pelle, in mezzo a segni che non potevano essere stati provocati altro che da morsi.

Qualunque cosa fosse successa tra quei due, doveva essere stata spaventosa.

Taoji riuscì a arrivare all'aperto prima di vomitare.

Loth - parte terza: AriaWhere stories live. Discover now