PROLOGO

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Altrove

La creatura siede al centro di un grande prato punteggiato da migliaia di fiori dai colori brillanti, che una sottile, fitta pioggerella di tarda estate rende lucidi come gemme.

È rannicchiata su se stessa, il capo chino sulle ginocchia e le mani strette alle caviglie, come un feto nel ventre materno. Del suo corpo sottile è visibile chiaramente solo la schiena arcuata, dalle proporzioni delicatamente femminili. Sulla pelle diafana e cosparsa di efelidi, le cuspidi sottili delle vertebre spiccano aguzze come spine, mentre il resto del corpo è nascosto dalla cortina dei lunghi capelli, tanto chiari da sembrare bianchi e, nonostante la pioggia, perfettamente asciutti.

Si trova in quel luogo, ma non percepisce nulla di ciò che la circonda. La sua coscienza, grumo di ghiaccio lucido privo di dimensioni, si trova altrove, sospesa come un pianeta solitario al centro di un vuoto privo di dimensioni.

Muovendosi cauta così da non creare riverberi, la ragazza sonda i confini di quell'universo infinito alla ricerca di un segnale evanescente che ha percepito qualche tempo prima. Un segnale che pensava non avrebbe mai più avvertito.

Il luogo in cui si trova non è propriamente vuoto, ma permeato di energia in perenne vibrazione, come uno stagno le cui acque si estendano all'infinito in tutte le direzioni. Il suo nucleo, la rappresentazione della sua identità in quel luogo privo di sostanza, è come un minuscolo pesce sferico, capace di percepire ogni variazione di quella vibrazione. Immersa in quel mare, la creatura ha avvertito chiaramente quel segnale, e la ricerca è diventata per lei un'ossessione.

Per giorni ha sondato quel vuoto infinito, ha ascoltato ogni più piccola vibrazione, ogni evanescente segnale, alla ricerca di quell'impronta, di quel suono, di quel sapore che da infinito tempo non percepiva e che sembrava volerle scientemente sfuggire, finché la speranza non è stata sostituita dalla frustrazione, e poi dalla delusione più cocente. Quel segnale esisteva, ne era certa, ma pareva rifiutare di farsi trovare, come in un crudele gioco di rimpiattino.

Infine, quando ormai la frustrazione è diventata dolorosa come il fuoco sulla pelle, è lui a venire da lei.

Il contatto è più delicato di una carezza, fugace ed etereo come il sospiro di un amante, ma inequivocabile. In lei si risvegliano ricordi sopiti tanto in profondità da sembrare scomparsi.

La creatura si aggrappa a quel contatto, come ad una mano tesa attraverso il tempo e lo spazio, e lo segue, fino a giungere da lui, grumo di brace ardente, voce dal sapore di incendio tra gli alberi, e terra riarsa.

Alyssia

Aldon, madre purissima! Sei veramente tu?

Non potrei essere alcun altro.

Perché posso sentirti? Il cristallo è...

Integro, Alyssia, ma la trama è debole e io ho imparato a proiettarmi al di fuori di esso, per brevi momenti.

Perciò sei ancora prigioniero, ma la tua coscienza, come puoi essere presente? Il cristallo è stato frantumato.

Non lo so, Alyssia. Eppure, sono completo, intatto.

È meraviglioso, Aldon. Chi altri come te?

Nessuno. Le altre menti sono frammentate, incoerenti, bruciate. Solo la mia è integra.

Non sai che sollievo sia per me, Aldon. Darei qualsiasi cosa per riaverti qui, vicino. Non è passato giorno che tu non mi sia mancato. Deve essere stato terribile.

Loth - parte terza: AriaWhere stories live. Discover now