CAPITOLO 17 - I

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Undicesimo giorno di novembre – alba– dal diario di Megan Tyrre

La mattina seguente, Gao-shi ci svegliò molto prima dell'alba, e tutte le altre donne balzarono fuori dal letto e si vestirono quanto più in fretta poterono. La stessa Gao-shi venne a farmi capire che dovevo sbrigarmi, che la tenda sarebbe stata smontata, e che avrei dovuto anche io fare la mia parte.

Quelle tende, che chiamavano bao, erano dei capolavori di ingegneria, studiate per essere smontate e montate con estrema rapidità e semplicità. La struttura portante era costituita da un anello flessibile di canne sottili e dritte, collegate tra loro da corde o cavicchi d'ottone a formare una graticciata mobile ed elastica alta tre braccia, che veniva stesa a formare un anello. Al centro veniva eretto un palo, dalla cui sommità si dipartivano, a raggiera, i numerosi travetti che sostenevano il tetto. Su questa armatura venivano quindi stesi e assicurati con corde gli spessi teli di feltro di lana che, assieme ai numerosi tappeti e pelli stese sul terreno, avrebbero tenuto fuori il freddo e conservato all'interno il tepore prodotto dai bracieri.

La procedura di montaggio, come ebbi modo di notare in seguito, non durava più di un'ora e lo smontaggio era ancora più rapido. Tutto il materiale che componeva la tenda, sistemato con ordine, trovava poi posto sulla schiena di una sola bestia da soma. Indubbiamente, quel popolo aveva trascorso una gran parte della sua esistenza allo stato nomade, e ne aveva perfezionato l'arte con grande raffinatezza.

Non mi permisero di collaborare allo smontaggio, probabilmente perché non disponevo di un'adeguata preparazione, ma mi fecero radunare e impacchettare tutto il contenuto delle tende all'interno di sacchi e casse che vennero poi fissate a grandi basti sulle schiene degli iach.

Mentre noi donne ci occupavamo delle tende, gli uomini pensavano agli animali. Il mio padrone possedeva una decina di iach, almeno una ventina di strani cervi, piccoli e snelli, dal manto fulvo e dalle lunghe corna ramificate, e i cavalli.

Gli animali andavano impastoiati l'uno all'altro affinché non si disperdessero, e se gli iach, le capre e la maggior parte dei cavalli si sottoposero con pazienza a quell'operazione, quando venne il turno del mio amico cavallino capii perché era stato tenuto per ultimo.

Circondato da cinque o sei uomini, tra cui il padrone, il cavallino scappava, rifiutava la cavezza, scalciava e pareva del tutto intenzionato a non lasciarsi sottomettere.

Uno schiavo che gli si fece coraggiosamente sotto fu colpito al basso ventre da un calcio e si accasciò sul terreno. Gli altri uomini restrinsero il cerchio, un temerario arrivò persino a montargli in groppa per infilargli una cavezza solo per esserne subito disarcionato e una volta a terra non finì calpestato dagli zoccoli per un soffio.

A quel punto il cavallo, che doveva averne avuto abbastanza, nitrì con quanto fiato aveva nei polmoni e si scagliò in avanti, travolgendo quelli che non erano stati abbastanza svelti da balzare via, diretto proprio verso il punto in cui mi trovavo io.

Gli uomini, compresi l'enorme luogotenente del mio padrone e alcuni dei suoi soldati, cercarono di inseguirlo a piedi, ma la neve fuori dal recinto era alta e la bestia aveva vita facile nel distanziarli.

Ancora oggi non so quali fossero le mie intenzioni, se di catturare il cavallo per compiacere i miei padroni o di farne il mio compagno di fuga, ma quando lo vidi avanzare di gran carriera verso di me sollevando spruzzi di neve fresca ad ogni balzo non ci pensai due volte. Abbandonai il rotolo di pellicce che reggevo e gli corsi incontro. Avrei potuto tagliargli la strada, e forse da me non sarebbe fuggito.

Feci un paio di passi nella neve alta per incrociare il suo percorso, spalancai le braccia decisa a mostrargli che non lo temevo e che non aveva nulla da temere da me, e fissai i miei occhi nei suoi. Il suo sguardo era vitreo, folle di terrore, ma quando mi riconobbe cambiò subito. La sua fuga divenne meno convulsa, i suoi balzi nella neve alta più ravvicinati, fino a quando il suo odore non colpì le mie narici e me lo ritrovai addosso.

Loth - parte terza: AriaWhere stories live. Discover now