CAPITOLO 2 - II

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Quindicesimo giorno di ottobre

– Tieni giù le mani, sudicia bestia! – Weihan colpì lo schiavo sul collo, gettandolo a terra nel fango. Lui, poco più di un ragazzo i cui tipici tratti Han erano ormai quasi invisibili sulle ossa sporgenti del viso, cercò di sottrarsi, ma un calcio lo colpì duramente alle reni, strappandogli un gemito e rovesciandolo a faccia in giù.

– Che succede, Wei? – domandò Wuhan con tono piatto mentre affilava una spada con la cote. Avevano impastoiato i cavalli per la notte, dopo averli dissellati e strigliati ed ora, mentre lo schiavo ne ammucchiava il letame con un badile, si stavano occupando della pulizia e della manutenzione dei finimenti e delle armi del padre.

– Quella merda di cane mi ha toccato – rispose Weihan. Sputò nella direzione dello schiavo che si stava alzando da terra e tornò a sedere accanto al fratello. Prima di riprendere in mano la coperta da sella che stava rammendando, trangugiò un sorso di liquore da una fiasca.

– Non dovresti bere così tanto – lo apostrofò ancora Wuhan. – Il tuo lavoro verrà male. Finirai per farti punire ancora.

– E a te che importa? – rispose Weihan ripulendosi la bocca dopo un profondo rutto.

– Se continui a lavorare con i piedi non torneremo mai nel baishi. Nostro padre continuerà a tenerci qui a fare la muffa assieme agli schiavi.

Weihan si girò con uno sguardo torvo. – Stai dicendo che è colpa mia, fratello? – ringhiò.

Wuhan non rispose, continuando a far scorrere lentamente la cote sulla lama.

– Mi hai sentito? – gridò ancora Weihan gettando a terra la coperta da sella e balzando in piedi a fronteggiare il fratello. La bella stoffa bianca di lana pesante si imbrattò di fango, mentre gomitoli di filo da rammendo rotolavano ovunque.

Wuhan interruppe il movimento della cote a metà della lama, voltandosi verso il fratello con uno sguardo esasperato. – Per gli antenati, Weihan, non puoi essere così stupido! Guarda che razza di casino hai combinato. Adesso...

– Adesso cosa? – gridò Weihan. – Adesso non ci schioderemo più di qui, è questo che vuoi dire? Ed è di nuovo colpa mia, è questo che vuoi dire? – Afferrò il fratello per il bavero e lo scosse un paio di volte, sottolineando le proprie parole.

– E di chi, allora? – Wuhan, senza distogliere gli occhi da quelli del fratello, lasciò cadere cote e spada e gli afferrò i polsi, premendo forte con le nocche dei pollici sui tendini per costringerlo a mollare la presa. – Sei un asino, Wei.

Weihan si svincolò dalla presa e arretrò di un passo. – L'idea di picchiare Yô era tua.

– Ero ubriaco.

– Balle, eri invidioso.

– Tu no?

– Non mi importa un accidente di quella biaozu. Posso avere tutte quelle che voglio.

– Però eri d'accordo.

– Volevo solo picchiare Yô. È divertente. Se tu fossi stato meno ubriaco...

– Tanto per cambiare è colpa mia, vero?

– Chi mi ha rifilato un calcio in faccia?

– Bah. – Weihan sputò il suo disprezzo e un grumo di bava giallastra si mescolò al fango e al letame dei cavalli. Fece per chinarsi a raccogliere la coperta, ma si fermò a metà del gesto. – Che cosa cazzo stai facendo, bestia?

Lo schiavo aveva sistemato la coperta su una staccionata e stava raccogliendo e cercando di ricostruire i gomitoli di filo da rammendo rotolati in giro.

Loth - parte terza: Ariaजहाँ कहानियाँ रहती हैं। अभी खोजें