CAPITOLO 12 - VI

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Primo giorno di novembre, sera

Yulin risalì la scarpata per quelle che gli sembrarono ore, spinto dall'energia apparentemente inesauribile che gli bruciava nel ventre. Non aveva idea di essere precipitato tanto a lungo e di avere avuto tanta fortuna nel sopravvivere. La luce cambiò direzione spostandosi verso ovest fino quasi a scomparire, e quando riuscì finalmente ad issarsi sulla spianata, non molto distante dal punto in cui era precipitato nel dirupo, era quasi buio.

La battaglia doveva essere terminata. Dalla spianata non giungevano più voci o rumori, e quando svoltò l'angolo dell'edificio la trovò deserta. Al centro, una forma tondeggiante che poteva essere solamente una enorme pira funebre emanava bagliori rossastri nella penombra, sovrastata da una densa colonna di fumo nero. I nemici caduti in battaglia percorrevano la loro ultima via, il fuoco purificava la loro anima e il vento la disperdeva nell'aria e sulla terra, per arricchirle con il loro coraggio e il loro onore.

Lanciò un richiamo. Fin dai primi giorni da staffetta gli avevano insegnato che la dote migliore per il guerriero era il silenzio, ma dubitava che ci fosse ancora qualche difensore vivente e pronto ad attaccarlo. Comunque, non ottenne risposta. Era veramente solo.

Facendo attenzione a dove metteva i piedi e tendendo l'orecchio a qualsiasi rumore che non fosse l'incessante sibilo del vento, Yulin si avventurò sulla spianata. Portò istintivamente la mano all'arco legato alla schiena, ma trovò i lacci vuoti: dovevano essersi sciolti durante la caduta. Rammaricandosi per la perdita, sguainò la dao. Non ci si sentiva a proprio agio come con l'arco, ma era meglio di niente.

Improvvisamente, come dita che spengono una candela, le forze lo abbandonarono e le ginocchia cedettero. Si ritrovò disteso a terra, la faccia contro la neve calpestata che puzzava di fango e sangue, esausto. Era ormai quasi notte, avrebbe dovuto cercare di entrare nel castello, l'unico luogo dove potesse trovare un po' di riparo, ma il suo corpo rifiutava di obbedirgli. Le gambe non rispondevano, le braccia sembravano fatte di merda di yak, la testa girava follemente e le orecchie fischiavano più forte del vento.

Tentò di rimettersi in piedi, ma lo sforzo si rivelò superiore alle sue possibilità La sua energia si era improvvisamente esaurita, lasciandolo in balia della stanchezza accumulata durante la scalata. Provò ancora una volta, poi rinunciò. Le forze sarebbero tornate, sperava. Altrimenti sarebbe morto congelato durante la notte lì, dove si trovava.



– Hai sentito? – Hoolong Niang diede uno strattone alle redini del cavallo, arrestandolo ed acquietandolo.

– Che cosa? – domandò Janlao Fa, fermandoglisi accanto.

– Un grido. Da dentro.

– Che dici? Non c'è più nessuno, dentro.

– Eppure, ti dico che...

– I nostri, vivi o morti, sono usciti, e hai sentito anche tu Zhuyao Xianshu dire che tutti i prigionieri sono stati fatti schiavi, e tutti i loro morti bruciati. A ben pensarci, anche noi potremmo tornare al campo, ormai.

– E che aspettiamo, allora?

Janlao restò un attimo sopra pensiero. – Finiamo il giro – suggerì. – così Zhuyao non avrà da ridire. – Spronò il cavallo, che si avviò al passo sbuffando vapore nella notte.

Hoolong restò un attimo in ascolto, ma gli unici suoni che il vento portava erano lo stormire delle fronde lontane e il tonfo degli zoccoli dei cavalli. Forse si era veramente trattato di un fantasma, o forse se l'era solo immaginato.



Quando Wuhan giunse alla bao, era notte fonda, e nevicava in piccoli, deboli fiocchi.

L'intera famiglia era già tutta schierata in attesa.

Lishang stava accoccolato, rigido e con lo sguardo fisso nel vuoto, su di una stuoia stesa davanti alla tenda e dietro di lui le sue donne erano in ginocchio a terra, col capo coperto dal tradizionale velo rosso del lutto per i morti in battaglia. La schiava stava in disparte, nei pressi del recinto degli yak, tremando di freddo e paura. La tradizione voleva che sulla pira di un guerriero morto in combattimento fosse versato del sangue, per compensare quello perduto nella morte. Di solito, la scelta andava su uno schiavo maschio, che potesse donargli la sua forza, ma in sua mancanza anche una donna andava bene.

Mancava solo Yulin, che sarebbe già dovuto essere lì. Il disagio provato in battaglia tornò a mordergli le viscere, ma lo mise a tacere con decisione. C'era del lavoro da fare.

Impastoiato il cavallo, senza attendere ordini dal padre si caricò sulle braccia il corpo del fratello e lo andò a deporre sulla pira. Nonostante l'armatura, sembrava leggerissimo. L'odore pungente dell'olio combustibile, cosparso sul legno in grande quantità, colpì le sue narici mozzandogli il respiro.

Quando il corpo di Weihan fu adeguatamente composto sulla catasta di legna, Lishang si alzò e si avvicinò. – Come è successo? – Il suo volto era una maschera di pietra.

Hai ciò che desideravi.

Ancora quel disagio. Un bolo acido gli esplose nello stomaco. – Nessuno ti ha raccontato nulla?

Lishang scosse il capo. – Gli altri guerrieri del baishi non sapevano nulla.

Wuhan deglutì un boccone amaro. – Ha combattuto – rispose vagamente. – Ci sono voluti tre nemici per atterrarlo – mentì poi.

– Quanti ne ha portati con sé?

– Non so. Non siamo stati vicini tutto il tempo.

Lishang guardò il figlio di sottecchi. – Perché, dov'eri, tu?

– A combattere – replicò Wuhan asciutto. – A volte la battaglia ci allontanava.

Suo padre era forse già stato informato da Hongfei riguardo alle accuse di disobbedienza e negligenza? Con lo stomaco in subbuglio, Wuhan fece per allontanarsi.

– Dove vai? Il braciere è qui.

– La schiava.

– Non penserai di versare il suo sangue per Weihan?

– Certo che sì. Ha combattuto bene, è morto da guerriero e si merita di ascendere alle stelle come tale.

Lishang non replicò, tornando a osservare il corpo del figlio disteso sulla pira. – Non importa come abbia combattuto – disse dopo un lungo silenzio. – Non sprecherò un altro schiavo per lui. Ha già pagato il suo debito di sangue alla terra ammazzando il mio yangyé.

Wuhan restò interdetto. – Padre, se brucerà incompleto il suo spirito...

– Con tutto lo spirito che aveva in corpo ancora stamane, questa pira brucerà come una fascina di paglia – replicò Lishang con amarezza. – Smettila di difenderlo, non è più necessario ora.

Wuhan chinò il capo. – Sì, padre.

– Facciamola finita. – Lishang prelevò con le molle una sfera di sterco di yak in fiamme dal braciere appositamente preparato nelle vicinanze e le gettò sulla pira. L'olio prese fuoco quasi immediatamente, e dopo pochi minuti la pira ruggiva e fumava, consumando il cadavere.

Sotto il velo, Xia singhiozzava sommessamente. Lei sola poteva piangere la morte di un guerriero, perché quel guerriero era suo figlio.

Loth - parte terza: AriaOnde histórias criam vida. Descubra agora