CAPITOLO 16 - I

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Wen Ming arrancava in mezzo alla neve appena caduta. Non si era mai sentita tanto euforica.

A diciassette anni compiuti sarebbe già dovuta essere moglie, ma le trattative del suo matrimonio si erano interrotte tragicamente un anno addietro per la morte improvvisa del guerriero scelto da suo padre e subito dopo ci si era messo di mezzo il huilai a complicare ulteriormente le cose.

Come se ciò non fosse stato già abbastanza frustrante, una decina di giorni addietro suo padre si era rotto un ginocchio cadendo durante un'esercitazione. Con grande disappunto di tutti, Liao yichi gli aveva impedito di fare qualsiasi cosa che non fosse starsene seduto su uno sgabello, con la gamba steccata e immobilizzata. Forse, col tempo, sarebbe tornato perlomeno a camminare. Cavalcare, in ogni caso, era fuori questione.

Wen era così diventata l'infermiera di suo padre, a sua disposizione giorno e notte per ogni necessità o capriccio. Doveva lavarlo, vestirlo, preparargli il cibo, accompagnarlo alla latrina, essere il suo sostegno.

Quella mattina, suo padre si era svegliato con la febbre molto alta, ed era toccato a Wen uscire nella tormenta, in cerca della guaritrice.

Non l'aveva trovata, e nessuno nella tenda delle donne sembrava sapere dove si trovasse. Le baoqi le avevano consigliato di aspettarla, e per ingannare l'attesa Wen aveva osato avventurarsi nella shibao. Aveva sentito parlare a lungo sua madre e le parenti che venivano in visita, sempre con toni ben più che indignati, delle nefandezze che avvenivano in quel luogo da quando il nuovo Shu si era insediato. Droghe, liquori e sesso con femmine lascive parevano le uniche attività ad interessare i guerrieri scapoli e a Wen pareva una cosa talmente disonorevole da suonare ben più che inconcepibile.

Quel che aveva trovato l'aveva rincuorata. C'erano, effettivamente, alcuni giovani radunati attorno a un braciere acceso, e sicuramente non erano intenti a attività particolarmente marziali, ma nemmeno parevano disonorevoli, e le ragazze con cui si accompagnavano sembravano oneste, sebbene non troppo vestite. Gli sguardi sospettosi che l'avevano accolta quando ha varcato il chandao erano diventati subito più amichevoli e aperti, ed era stata accolta con simpatia.

Le era stata offerta della birra, e poi una pipa di dama e, per non dare l'impressione di essere una ragazza ingenua e sprovveduta, aveva bevuto e fumato. I giovani sembravano cortesi, sorridevano e la incitavano, e lei non aveva protestato nemmeno quando, coi sensi già un po' ottusi, aveva sentito le mani di uno di loro insinuarsi sotto la giubba e trovarle i seni. Il tocco delle mani del giovane, non conosceva nemmeno il suo nome, era ruvido, ma non spiacevole, e vi si era abbandonata.

Accanto a lei, poi, aveva visto le altre ragazze impegnate in baci e carezze, ciascuna con un guerriero, e questo le aveva dato coraggio. Le sensazioni che le provocavano le mani che palpavano i seni e la bocca che succhiava il collo, poi, erano tutt'altro che sgradevoli e molto simili a quelle che aveva immaginato nel corso delle brevi lezioni sui doveri di una buona moglie che sua madre le aveva impartito prima del fallito matrimonio.

Nel turbine delle sensazioni nuove che la travolgevano, aveva pensato confusamente che, in fondo, anche quel giovane era scapolo, e magari sarebbe potuto diventare suo marito una volta tornati indietro, perciò non sarebbe stato così grave se gli si fosse concessa. Si era liberata della giubba, aveva lasciato che lui le sfilasse i calzoni e la mettesse a terra e, imitando la posa jiao delle altre ragazze, l'aveva lasciato fare.

Come le aveva predetto sua madre, una volta superato il dolore iniziale, il rapporto era stato piacevole, ma non era durato a lungo. Dopo poche spinte, proprio quando le sensazioni stavano cominciando a farsi più intense, lui si era sottratto. Uno schizzo caldo le aveva colpito una natica, un altro già colava sulla coscia.

Nemmeno il tempo di ripulirsi che qualcuno l'aveva afferrata e attirata a sé. Si è ritrovata con un otre in mano, aveva bevuto del jiu che le aveva bruciato la gola, poi fumato altro dama, scivolando sempre più verso l'incoscienza. Ricordava altri uomini su di lei, e anche una donna, corpi nudi che si strofinavano conto il suo, bocche, lingue, mani che la toccavano, uno yang che la soffocava, profondo nella gola, seme caldo che schizzava sul viso e sui seni.

Poi, una baoqi era arrivata, per dirle che Liao yichi era tornata. Tra le risate leggere degli altri, sentendosi avvampare come se una torcia le bruciasse nella faccia, Wen si era pulita alla meglio, rivestita e, barcollante e stordita, si era presentata alla guaritrice.

Liao le aveva fatto bere una pozione amara, poi una disgustosa ma che le aveva restituito almeno in parte la lucidità, poi le aveva dato la medicina per il padre e l'aveva spedita via.

Era quasi notte, aveva smesso di nevicare e il tramonto era gelido e luminoso. Tra le nubi che vanno sfilacciandosi, le lune scintillavano all'orizzonte, un'aurora boreale incendiava il cielo a nord dipingendo di un verde intenso la superficie uniforme e scintillante della neve appena caduta, e tutto sembrava pulito e perfetto come appena creato. Probabilmente il cammino per la bao sarebbe stato lungo e faticoso, ma Wen Ming si sentiva leggera e felice.

Non era affatto pentita per ciò che aveva fatto. Molti uomini non consideravano la verginità un valore, e spesso apprezzavano una moglie in grado di dare loro senza tante smancerie il piacere che, da scapoli, ottenevano facilmente dalle lan. Lei, come molte ragazze, aveva fatto esperienza su simulacri di yang in legno o ceramica, sotto la guida accorta di sua madre, ma aveva sempre trovato stupide quelle lezioni. Essersi concessa a un Dan, e forse a più di uno la faceva invece sentire fieramente adulta, e la sensazione che ancora le formicolava tra le gambe ad ogni passo non faceva che attizzare la sua euforia.

Con la testa tra le nuvole, non si accorse della creatura acquattata dietro il tronco di un grande abete che quando ormai era troppo tardi. Si voltò di scatto al fruscio di un movimento e la sorpresa di trovarsi di fronte un mostro che pareva uscito da un incubo ne sancì irrimediabilmente la sorte.

La creatura protese dita artigliate, si abbatté su di lei, la gettò a terra. Unghie affilate come rasoi afferrarono gli abiti, lacerando stoffa e pelliccia come carta. In breve, Wen si ritrovò nuovamente nuda, e il gelo che le aggrediva la carne era una carezza al confronto dell'appetito della belva.

Incapace di gridare, la gola chiusa in una morsa invisibile che annullava qualsiasi suono, immobilizzata da una volontà che non era la propria, Wen non poté fare altro che restare a guardare la creatura affondare le unghie nel suo ventre come nel burro, lacerare la carne, estrarre gli organi.

Mantenuta in vita da una volontà folle, perversa, affamata dell'energia più calda del sole che il suo corpo devastato emetteva senza sosta mentre veniva fatto a brandelli, Wen trascorse un tempo apparentemente infinito a soffrire atrocemente e implorare una morte che si rifiutava inspiegabilmente di ghermirla.

Solo quando l'entità, sazia di quel cibo mostruoso, abbandonò la presa sulla sua mente Wen, misericordiosamente, morì.

Le ricerche partirono il giorno successivo. Nel frattempo un branco di lupi aveva banchettato coi suoi resti, sparso le ossa e la neve aveva coperto ciò che si erano lasciati indietro.

Il suo corpo non fu mai più trovato.

Loth - parte terza: AriaWhere stories live. Discover now