CAPITOLO 18 - II

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dal diario di Megan Tyrre

Terminato il discorso, la padrona tornò da noi, e ci ordinò di seguirla nel castello.

Guidai così il piccolo gruppo di donne in un lungo giro dei locali mostrando loro ogni cosa, dalle cantine più fredde del ghiaccio alle piattaforme in cima alle torri, passando per le grandi cucine, le camerate dei soldati e gli alloggi degli ufficiali. Infine, le condussi all'ultimo piano, nell'appartamento che era stato mio e di Gaus, dove tutto era ancora come l'avevo lasciato.

La grande finestra affacciata a est era sfondata, il battente di legno in frantumi e molti dei vetri mancanti, e tutto il pavimento era coperto da uno strato di neve.

Impiegai ben più di un attimo a comprendere che cosa poteva averla ridotta in quello stato. Come l'onda impetuosa di una tempesta, fui travolta dal ricordo di quella mattina ormai già così lontana da essere quasi perduta nell'oblio, e mi tornarono alla mente i suoni, le voci, persino gli odori di quei brevi e concitati momenti. Il fragore di vetri in frantumi era giunto alle mie orecchie mentre venivo aggredita e in quel momento avevo ben altro a cui pensare che alla sorte di Gaus. Era la mia stessa vita ad essere in gioco, e gli déi mi perdoneranno se l'avevo anteposta a quella di mio marito.

Una volta prigioniera, poi, non avevo saputo più nulla di nessuno dei superstiti, quale fosse stata la loro sorte, e la vita che ero costretta a condurre, fatta di fatica, gelo, lavoro, di sicuro non mi dava il tempo per soffermarmi a pensare al passato.

Per la prima volta in quasi due settimane, in piedi davanti alla finestra in frantumi, ristetti travolta dallo choc. Amavo Gaus, anche se non potevo dire di conoscerlo profondamente, e sapevo che anche lui amava me; aveva cercato di offrirmi una vita migliore, e forse anche quell'esilio era parte di quel processo. Se anche non mi aveva difesa, perlomeno mi aveva dato modo di vendere cara la pelle ed era solo grazie a lui se ero ancora viva. Un nodo mi strinse il petto, mi dovetti appoggiare allo stipite gelido della finestra per ricacciare le lacrime.

La padrona, ferma sulla soglia, mi rivolse uno sguardo di profonda comprensione. So cosa stai passando, sembrava dire, perché è lo stesso che sto passando io. In quel momento ci rendemmo conto, insieme, che il dolore che condividevamo ci univa, invece che dividerci, a dispetto delle differenze insormontabili che ancora ci separavano. Senza lasciarmi modo di replicare, annunciò che si sarebbe stabilita proprio lì, assieme alle sue schiave.

Nel salone della mensa dei soldati, al piano terreno, la padrona fece scaricare tutto il contenuto dei basti degli iach e allestì una specie di trono da cui avrebbe amministrato le attività dello sgombero della frana e della riapertura della rampa.

Per quanto mi riguardava, mi limitai a stare a guardare e cercare di capire ciò che succedeva. In quel momento non avevo ancora ben chiaro quanto determinata fosse quella donna, né a quali scelte sbagliate l'avrebbe condotta questa determinazione.

 In quel momento non avevo ancora ben chiaro quanto determinata fosse quella donna, né a quali scelte sbagliate l'avrebbe condotta questa determinazione

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Loth - parte terza: AriaWhere stories live. Discover now