CAPITOLO 13 - IV

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Momenti dopo, senza annunciarsi, tre guerrieri fecero irruzione nella bao. Uno di loro sembrava riempire l'intera mole della tenda con la sua sola presenza. – Sono Hongfei Shu, luogotenente di Zhuyao Xianshu, Shaohuang di Asthai Huang. Yuwei Shi Zhong, figlio di Lishang, della casa delle Sette Fiamme della tribù di Ya, devi seguirci immediatamente.

– Che vuole il Shaohuang da mio figlio? – domandò Lishang senza smettere di mangiare.

– Non sono autorizzato a discuterne – rispose Hongfei.

– Questa è la mia bao, e tu non appartieni né alla casa delle Sette Fiamme, né alla tribù di Ya. Non hai alcuna autorità, qui, e mio figlio non se ne andrà senza...

– Va tutto bene, fu. – Alla vista di Hongfei, Wuhan aveva avvertito la netta sensazione che seguirlo fosse la cosa migliore che avrebbe potuto fare. – Ho appena terminato la veglia funebre per mio fratello. Ho il permesso di fare un bagno e cambiarmi gli abiti?

– No. Ho l'ordine di condurti da Zhuyao Xianshu immediatamente.

Compreso che Wuhan, che già si stava gettando il dayi sulle spalle, pareva avere la situazione sotto controllo, Lishang non oppose altre obiezioni.

Xia non fu altrettanto remissiva, e si piantò con i pugni ai fianchi davanti a Hongfei, che la sovrastava di tutto il torace. – Mio figlio non andrà da nessuna parte.

Hongfei la guardò con l'espressione che si riserva alle renne morte da giorni. – Ho l'ordine di arrestare e condurre a giudizio dal Shaohuang chiunque si opponga.

– Devi solo provarci.

– Xia xian, ti prego, – intervenne Lishang, – non renderti ridicola. L'ordine del Shaohuang...

– Sei veramente tanto codardo da lasciare che il Shaohuang conduca via tuo figlio senza protestare?

– Madre, – intervenne Wuhan, – va tutto bene, davvero.

– Tutto bene una verga di yak! Si può sapere che cosa hai combinato per farti convocare a giudizio? Non riesci proprio a restare fuori dai guai?

Wuhan esplose. – Combinato? Questa vescica gonfia mi accusa di aver provocato la morte di Wei, solo perché non gli sono stato dietro come l'asino che era.

– Non ti permettere! – La protesta di Hongfei andò del tutto inascoltata.

Xia si raggelò. – Ed è vero?

Wuhan dovette trattenersi con tutte le sue forze per non colpire sua madre. – Stavo combattendo, gli guardavo le... ah, ma che importa. Sono pronto, Hongfei Shu. Possiamo andare.

– Pronto? Non ti presenterai davanti al reggente in quel modo.

– Ma che...

– Sembri un contadino Nugai.

Ovviamente, Xia avrebbe voluto che, per l'udienza, lui indossasse l'armatura e le armi del guerriero, ma tanto l'una quanto le altre erano rimaste alla shibao, dove se le era levate immediatamente dopo la battaglia e dove non era più tornato da allora. Anche volendo, non avrebbe avuto altro da indossare che gli abiti da cavalcata, comodi e caldi ma ingombranti, e soprattutto inadatti ad un guerriero che dovesse fare bella figura di fronte al reggente del Huang.

Wuhan non le aveva più dato risposta. Assestandosi il dayi sulle spalle aveva scambiato un ultimo sguardo con Hongfei e era uscito dalla bao.

 Assestandosi il dayi sulle spalle aveva scambiato un ultimo sguardo con Hongfei e era uscito dalla bao

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Dal diario di Megan Tyrre

Mi svegliai la mattina del giorno seguente, o almeno così mi parve.

Aprii gli occhi in una penombra confusa. Faticavo a mettere a fuoco i dettagli, ma ero al coperto, distesa sotto coltri pesanti e sentivo un gran caldo. Le mani ed i piedi pizzicavano follemente, ed anche il resto del mio corpo sembrava calpestato da milioni di formiche. C'erano persone attorno a me, tre o quattro, e tutti mi guardavano.

Una donna mi si inginocchiò accanto e disse qualcosa che non capii. Quando mi prese le mani tra le sue sentii palme ruvide e callose, rovinate dai lavori manuali, e notai che le mancavano due dita per ciascuna mano, le più esterne. I suoi occhi però erano dolci e premurosi, e mi sentii sollevata. Sorrise e scosse il capo, poi mi toccò la fronte ed il volto e disse nuovamente qualcosa, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Gli altri presenti si scambiarono occhiate, poi uno di essi, una ragazza, si allontanò zoppicando ed uscì da quel luogo.

Mi trovavo all'interno di una di quelle capanne di stoffa. Il pavimento era coperto di pellicce ed il basso tetto conico aveva un foro al centro da cui usciva il leggero fumo di un magro focolare e filtrava un soffio d'aria fredda. Le orecchie mi ronzavano e le voci sommesse delle persone che mi circondavano rimbombavano come in una grande sala vuota.

Sembravano essere tutte donne, all'apparenza molto giovani ma con volti segnati da profonde occhiaie ed i capelli tagliati cortissimi. Tutte ostentavano ornamenti formati da file di anelli metallici che attraversavano la pelle della fronte, alcune anche più di una decina, arrangiati in file che si estendevano a raggiera dalle sopracciglia. La donna che mi stava vicina era probabilmente quella che ne possedeva di più. Continuava a guardarmi e sorridere, doveva aver capito che parlare era inutile.

In quel momento, un rumore di passi sulla neve fuori dall'edificio filtrò fin dentro, e poco dopo un lembo di parete venne scostato per far entrare un raggio della vivida luce del giorno e diverse altre persone.

Erano di nuovo il comandante e le sue due donne. I loro abiti pesanti, riccamente ornati da ricami, strisce di pelliccia e lucide scaglie di metallo, contrastavano fortemente coi semplici abiti di stoffa indossati dagli altri. Io non indossavo nulla ma avevo molto meno freddo di quanto avrei dovuto. La mia pelle era coperta da qualcosa di grasso ed unto, sgradevole al tocco ma che sembrava infondere calore nella carne sottostante.

Quando i tre fecero il loro ingresso, tutte le altre donne sciamarono via, per ammucchiarsi in un punto che fosse il più distante possibile da me, poi si gettarono in ginocchio e si accucciarono con la testa tra le ginocchia e le mani dietro la nuca. I nuovi arrivati non li degnarono di uno sguardo.

Una delle donne, che mi parevano tanto simili da poter essere sorelle, mi strappò le coperte di dosso e mi strattonò un braccio berciando ordini.

Mi misi in piedi con fatica ma lei mi rifilò un calcio dietro un ginocchio e quando fui giù mi afferrò la faccia. Senza darmi il tempo di reagire, l'altra mi bloccò le braccia dietro la schiena e quando fui immobilizzata, la prima estrasse da una tasca una specie di pinza sottile con cui pizzicò un lembo della pelle proprio sopra il sopracciglio sinistro, trafiggendolo poi con un ago.

Gridai più per la sorpresa che per il dolore. Le sensazioni che mi attraversavano il corpo erano ancora ottuse, e anche questa violazione fu poco più dolorosa della puntura di una spina. L'ago scivolò fuori e una goccia calda di sangue colò attraverso l'occhio e lungo il naso. Subito dopo sentii qualcos'altro infilarsi nel foro attraverso la pelle. La donna vi armeggiò con una piccola tenaglia, poi mi lasciò andare.

Tutto quanto non era durato che pochi secondi.

Avevo ricevuto il mio primo anello, benché ancora non ne conoscessi il significato.

Loth - parte terza: AriaWhere stories live. Discover now