CAPITOLO 13 - VI

5 1 0
                                    

Cavalcando verso est, Wuhan si era tenuto rispettosamente due passi indietro a Hongfei, limitandosi ad osservare il panorama che lo circondava e allo stesso tempo tenendo sotto controllo i due arcieri che lo seguivano cavalcando con l'arco di traverso sulle ginocchia.

Al campo della casa dei Due Sassi, della tribù di Shé, Wuhan fu fatto passare di fronte all'intero baishi, schierato su due file e probabilmente in attesa da ore. Nessuno, uomo o cavallo che fosse, muoveva più del minimo indispensabile nonostante si fosse levato un vento sferzante di tormenta, e Wuhan ebbe l'impressione di procedere attraverso due file di statue.

La fila di guerrieri terminava proprio davanti alla bao riccamente decorata del guerriero vivente più importante di tutto il suo popolo. Hongfei scambiò un'occhiata con il primo guerriero della fila, che con un gesto gli indicò la nubao, poco distante.

Wuhan fu fatto attendere. Hongfei scomparve all'interno della tenda degli schiavi e dopo pochi momenti ne uscì lo stesso Zhuyao. Anche lui non indossava la corazza ma i ricchi ricami, motivi di forme geometriche bianche e nere interrotte da larghe strisce rosse, sugli abiti da cavalcata l'avrebbero identificato immediatamente anche se Wuhan non l'avesse mai visto prima. Sul campo l'aveva considerato un guerriero dignitoso, in grado di combattere come chiunque altro, ma senza l'armatura faceva molta meno impressione. Non doveva essere più anziano di suo padre, ma sembrava vecchio e le ciocche grigie che si affollavano alle tempie non contribuivano a mitigare quell'effetto.

Al suo apparire, tutti i guerrieri balzarono da cavallo e si prostrarono, un ginocchio a terra e il capo chino gridando – Shédong!

Zhuyao non li degnò di un cenno.

Incerto, Wuhan smontò e imitò i guerrieri. Quella esibizione non era certo la consuetudine per uno Shu, e rispecchiava la superbia del Shaohuang che faceva di tutto per trattenere su di sé uno splendore che non gli apparteneva. Wuhan non vedeva l'ora che Shédong venisse seppellito per poter assistere al ritorno nella nebbia e nella polvere di quel borioso arrivista il cui unico merito era essere il fratello minore del prescelto degli antenati. Sogghignò notando quanto quella situazione somigliasse alla propria.

– Che hai da ridere? – Zhuyao si era piantato proprio davanti a lui, le mani sulla dao appesa alla cintura.

– Nulla, Shaohuang. Contemplavo l'ironia della sorte.

– C'è ben poco di ironico, nella tua sorte. Seguimi.

Zhuyao lo precedette fino alla sua bao, davanti alla quale una schiava aveva appena finito di sistemare un sedile. Gli araldi accorsero e si sistemarono impettiti alle sue spalle mentre il resto del baishi, abbandonati i cavalli, formava un semicerchio alle spalle di Wuhan.

– Sei tu Wuhan Zhong, della casa delle Sette Fiamme, della tribù di Ya? – domandò Zhuyao una volta seduto e sistemato.

– Sono io.

– In questo giudizio ti viene mossa l'accusa di disobbedienza che ha causato la morte di un guerriero. Questa accusa è vera?

Era una trappola, grande come la pianura. Se rispondeva affermativamente, il processo era finito e lui sarebbe stato punito, ma negando dichiarava implicitamente che Hongfei mentiva, e questo sarebbe stato sufficiente per spingere il guerriero a sfidarlo per difendere il proprio onore. In un modo o nell'altro, non avrebbe rimediato altro che cicatrici. Forse, però, c'era una terza via. – Non nego di aver contravvenuto alle disposizioni di Hongfei Shu – replicò.

– Molto bene. Prendetelo.

– Nonostante ciò, – aggiunse Wuhan mentre già due dei guerrieri si stavano avvicinando per abbrancarlo, – non ritengo che le azioni che hanno condotto alla morte di mio fratello fossero in conflitto con esse.

Loth - parte terza: AriaWhere stories live. Discover now