CAPITOLO 16 - III

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Settimogiorno di novembre – dal diario di Megan Tyrre

Il mio primo compito ogni mattina era la mungitura degli iach, e dopo una settimana di pratica avevo scoperto di amare quel mestiere. Sebbene puzzassero più delle nostre vacche e tendessero a scalciare violentemente se mi avvicinavo alle loro mammelle con le mani troppo fredde, quelle bestie pelose erano di gran lunga più amichevoli di quanto non apparissero. In più, con la loro mole mi proteggevano dal vento, consentendomi di sopportare più agevolmente il gelo dell'alba.

Dopo il rapimento, poi, finii per utilizzare la mandria anche come nascondiglio. Trovarmi in mezzo alle bestie mi faceva sentire sicura e protetta, molto più di quanto non facessero le mie guardie, che invece tendevano a farsi gli affari loro e a badare a me solo quando se ne ricordavano. Li sentivo mugugnare, specialmente nelle giornate più inclementi, indirizzando i loro incomprensibili improperi tanto a me quanto al padrone, e credo che il timore di essere puniti per l'abbandono del servizio fosse più forte anche del freddo, della neve e della noia.

Piuttosto di affidarmi al loro intervento, quindi, preferivo di gran lunga imboscarmi tra le vacche e, con un po' di fortuna, qualche volta anche avvicinarmi al recinto dei cavalli.

Ho avuto a che fare con i cavalli per tutta la vita, e tuttora li amo più di quanto non faccia con molte persone. Di tutte le cose che il matrimonio e poi la vita al forte mi avevano privato, stare vicino ai cavalli era quella che mi mancava di più e se le occhiatacce degli schiavi che vi badavano mi avevano reso ben chiaro che non mi ci sarei dovuta impicciare, non potevo impedirmi di soffermarmi a guardarli di tanto in tanto, fantasticando di potermici avvicinare, fare conoscenza, renderli amici.

Gli animali, una ventina in tutto, perlopiù femmine, non erano nemmeno lontanamente paragonabili ai nostri: bestie piccole di statura, ruvide di pelo, robuste ma sgraziate, con garretti massicci e teste grandi ricoperte di una criniera ispida e folta, occhi duri e freddi e un'espressione curiosamente truce, come fossero in collera con l'intero mondo.

Uno dei pochi maschi, poi, pareva essere rifiutato dai suoi stessi compagni: mentre tutti gli altri si tenevano vicini l'uno all'altro per proteggersi dal freddo questo, un pezzato bianco e marrone, se ne stava da solo, a qualche passo di distanza, occhieggiando la mandria senza tentare in alcun modo di avvicinarsi. Gli altri, per contro, sembravano non vederlo nemmeno.

Il cavallino solitario pareva condividere i miei sentimenti. La prima volta che mi aveva notato era rimasto a lungo a squadrarmi da lontano, aveva mosso un paio di passi verso di me solo per allontanarsi agitando la lunga criniera, come spaventato, non appena avevo accennato un movimento.

Col passare dei giorni, mentre io cercavo di avvicinarmi, di mostrarmi inoffensiva e amichevole, lo vedevo a sua volta prendere confidenza e mostrare qualche piccolo segno di fiducia. Mi lasciava avvicinare sempre di più prima di sfuggire, e qualche volta l'avevo sorpreso a fissarmi, solo per allontanarsi sdegnato quando mi voltavo verso di lui.

Quella mattina, raccolto tutto il coraggio che mi era rimasto, avevo osato rubare un carrubo dalla tenda dei padroni e, approfittando dell'assenza degli schiavi e della distrazione delle guardie, mi ero avvicinata al recinto stringendolo in mano come un mazzo di fiori ad un appuntamento. Sapevo di rischiare grosso, le punizioni riservate agli schiavi non erano mai mortali ma sempre molto dolorose e temevo di non essere in grado di sopportarle quanto le mie compagne, ma quella mattina io e l'animale ci eravamo scambiati un lungo sguardo, nella caligine del mattino, separati soltanto da due passi di neve fresca ed una corda tesa, e mi ero resa conto che il momento era giunto.

Mi avvicinai a lui col cuore che mi batteva, emozionata come non ero stata nel giorno del mio matrimonio. C'era molto, in gioco, in quel momento, e non volevo rischiare di rovinare tutto compiendo mosse avventate. Avvicinandomi alla corda quanto mai prima, gli mostrai ciò che avevo in serbo per lui.

Loth - parte terza: AriaOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz