CAPITOLO 18 - IV

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dal diario di Megan Tyrre

La padrona, visibilmente sollevata per l'esito dell'incontro, ci ordinò di prepararle la cena e poi ci diede licenza di andare a dormire.

Io e Gao-shi avremmo alloggiato nel mio appartamento dei giorni precedenti l'attacco. A quanto avevo capito, oltre ad insegnarmi la lingua Gao-shi sarebbe stata la mia serva, una specie di ancella che avrebbe dovuto badare alle mie necessità, non libera ma nemmeno proprio una schiava. Nessuno, comunque, l'aveva privata degli anelli sulla fronte.

Notai subito quanto fosse disorientata in quell'ambiente per lei completamente nuovo. La vidi guardare su per il camino, cercare di aprire le finestre ricoperte all'esterno da una vera e propria crosta di ghiaccio spessa un pollice, tastare la consistenza del materasso, osservare con perplessità la pompa del lavello che pescava l'acqua dal pozzo sotterraneo, ora bloccata dal gelo, e il sedile della latrina. Nulla di tutto ciò che era naturale per me doveva avere senso per lei.

La stanza era ghiacciata perciò, mentre lei esplorava, buttai un paio di ciocchi nel camino e li accesi. Non avevo idea di quale fosse il mio grado di libertà, ma per il momento non c'era nessuno che avrebbe potuto obbiettare.

Sebbene avessi abitato in quella stanza solo per pochi giorni, ritrovare le cose che mi erano familiari fu confortante. Non era stato toccato nulla e appena acceso il fuoco rovistai nella cassapanca alla ricerca di un maglione e una cappa. Come fossi riuscita a non morire di freddo in quei giorni fu la cosa che più mi risultava incomprensibile, e l'abbraccio di indumenti pesanti fu un piacere quasi fisico. Ne offrii anche a Gao-shi, ma rifiutò e anzi, quando la legna nel camino cominciò a scoppiettare, la vidi con un certo stupore liberarsi della giubba e dei calzoni e aggirarsi per la stanza coperta solo di quello strano lóin, niente altro che una lunga striscia di tessuto arrotolata e passata e ripassata attorno alle pelvi e tra le gambe, che chiamavano chan. Indubbiamente, quella gente aveva un diverso rapporto con il freddo del nostro.

Per me, nonostante il grasso di iach e il cibo estremamente nutriente, la temperatura era tutt'altro che piacevole. Ci lavammo con la neve sciolta e quando venne il momento di mettersi a letto Gao-shi mi guardò con stupore infilarmi la mia camicia da notte preferita, di lana pesante, lunga fino ai piedi e con maniche lunghe e collo alto.

Il nostro fiato si condensava ancora in nuvole ma lei, nuda com'era, non pareva neanche intenzionata a infilarsi sotto le coperte con me. Il mio letto era ampio, ci saremmo state tranquillamente entrambe, ma sembrava a disagio. Seduta sulle coperte ne toccava la lana, l'annusava, e mi guardava perplessa. Disse qualcosa, e – cavallo – fu l'unica cosa che capii.

– No, pecora – dissi nella mia lingua. Non avevo visto altri animali lanosi oltre agli iach, ma quel popolo conosceva filatura e tessitura, quindi dovevano allevare qualche animale simile.

– Pah'kora? – ripeté lei con quello strano accento.

– Sì, pecora. – Ridendo, mi misi a quattro zampe sulle coperte e imitai un belato, facendo ridere anche lei. Era il nostro modo di comunicare, lei pronunciava parole semplici, io cercavo di ripeterle, mimavamo i concetti che non capivamo, e sembrava funzionare bene. Nessuna delle altre donne, e men che meno la padrona si sforzavano di farsi capire come Gao-shi.

Chunlu?

– No, più piccola, – misurai l'altezza con la mano, – lana, – e tentai di rappresentare attorno a me la massa del pelo riccio.

Yang – disse lei allora.

– No, yin – risposi ridendo. Dopo tutto, nove pecore su dieci erano femmine, mentre i maschi tendevano a finire sullo spiedo fin da giovani.

Loth - parte terza: AriaWo Geschichten leben. Entdecke jetzt