CAPITOLO 20 - IV

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Aveva pensato a lungo a quale fosse il modo migliore per introdursi nel cerchio, e la soluzione gliela aveva data proprio Zhuyao.

La breccia era sorvegliata costantemente e illuminata da torce. Oltrepassare la muraglia attraverso quell'apertura senza essere visto era diventato dunque impossibile, e procedere sulla spianata ancora di più perché Hi Qijing vi aveva radunato le centinaia di bao in cui alloggiavano gli schiavi che lavoravano allo sgombero della frana. Sicuramente, quella marmaglia era stata istruita per segnalare la presenza di qualsiasi estraneo.

Entrare dal lato della via, seguendo il metodo con cui Zhuyao si era calato per prendere alle spalle i nemici, era dunque l'unica soluzione possibile. Doveva solo attendere il tramonto, quando l'ultimo turno di lavoro sarebbe terminato e le squadre avessero fatto ritorno alle bao per la notte. Si era appostato dietro una bassa collina in prossimità del dirupo, da cui poteva osservare senza essere visto, e aveva atteso.

Finalmente, anche l'ultima squadra era transitata sotto di lui. In quel punto si trovava ad appena una ventina di passi dall'ultima torre della muraglia, e la via era solo poche braccia più in basso. Una corda legata a uno dei pochi alberi risparmiati dal disboscamento gli avrebbe fornito una facile discesa e una comoda via di fuga a lavoro finito.

Pochi minuti dopo i piedi di Daomai calcavano la via. Era più che certo che all'interno dell'incombente torre non ci fosse nessuno, ma se anche Hi Qijing avesse disposto delle guardie la nevicata era talmente fitta da nascondere qualsiasi movimento.

Il tratto in campo aperto tra la via e l'edificio era il più rischioso, ma Hi Qijing era talmente stupida da non avere predisposto nemmeno una ronda. Daomai scivolò da un'ombra all'altra, silenzioso e invisibile, muovendosi con tutta la pazienza e la cautela di cui disponeva. Giunto nei pressi della grande bocca quadrata del portone spalancato su un'oscurità impenetrabile, si liberò del mantello, sguainò la dao e, ombra nelle ombre, vi si avventurò.

Il sibilo del vento riempiva la notte e echeggiava nel basso passaggio, cancellando ogni altro rumore. Nessuno comparve per incontrarlo e poco dopo la porta del grande salone si aprì sotto la spinta delle sue dita, senza un cigolio.

Il pavimento era ricoperto da numerose forme tondeggianti, a malapena distinguibili nel buio quasi totale. Daomai represse una risata: l'allarme delle oche. Le donne della casa dei Due Sassi avevano ammucchiato lì i loro giacigli, per godere del calore lasciato dai focolari ora spenti. Sarebbe bastato svegliarne una per scatenare un putiferio.

Si concesse qualche momento per abituare gli occhi all'oscurità quasi impenetrabile che regnava in quel grande ambiente e assicurarsi che tutto fosse tranquillo, poi agì. Camminando rasente ai muri, attraversò la stanza fino ad un giaciglio che pareva un po' discosto dagli altri, vi si accoccolò accanto e premette con forza la mano sulla bocca della donna che dormiva.

In un attimo lei fu sveglia, ma la lama poggiata sulla gola ammutolì il grido d'allarme prima ancora che nascesse.

– Vuoi morire? – sibilò Daomai.

Lei scosse la testa, gli occhi spalancati, il respiro affannoso soffocato dal guanto che le premeva sulla bocca.

– La Shaohuangqi. Portami da lei.

La donna annuì. Fece per alzarsi, ma Daomai la schiacciò sul giaciglio e le premette il piatto della lama sulla gola. – Se gridi, sei morta.

Con il respiro rotto in rantoli, la donna annuì di nuovo.

– Bene. Alzati, e non vestirti. Non ho tempo.

La donna sgusciò fuori dal giaciglio, la pelle quasi azzurra nell'oscurità.

Loth - parte terza: AriaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora