EPILOGO

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Dicembre

Per un istante, il mondo si era trasformato nel centro di una stella. Un'energia di inimmaginabile potenza aveva invaso ogni intercapedine, spazzato la nebbia quantica, travolto le luci dei prigionieri e annullato le loro volontà, lasciando accessibile alle loro percezioni un unico soggetto: il cristallo-prigione. La sua trama, le informazioni che esso conteneva erano aperte e disponibili, accessibili e prive di qualsiasi protezione.

Incapaci di resistere a quel richiamo, i prigionieri vi si erano avventati.

La trappola di Aldon era scattata in quel momento.

Facendo appello a ogni oncia di energia che la materia attorno a lui poteva offrire, Aldon aveva ricreato non più una rete-alveare, ma un guscio solido, una crosta di materia compressa tanto densa da impedire a qualsiasi cosa di filtrare all'esterno, compresi i nuclei dei prigionieri.

Per centinaia di miglia attorno a quel punto, unico elemento di cui la natura poteva temporaneamente fare a meno, la neve che copriva il suolo era stata scomposta non già in idrogeno e ossigeno, ma in elettroni e neutroni che erano andati a comporre il nuovo guscio del cristallo.

L'onda d'urto generata da questa fissione nucleare controllata aveva scaraventato nell'incoscienza le creature viventi nel raggio di diverse miglia.



Unici all'interno della muraglia, Kai e Yulin si erano svegliati al centro di qualcosa che aveva tutto l'aspetto di una carneficina. I corpi dei i guerrieri, di Wuhan e Sun, dei loro cavalli e degli schiavi che erano diventati ricettacoli per i prigionieri, giacevano scomposti in anelli concentrici tutto attorno a loro. Più distante, in mezzo alla spianata, ogni bao era stata divelta e scagliata lontano, assieme a tutti i suoi occupanti.

Storditi, la vista annebbiata e le orecchie invase da un assordante ronzio, i ragazzi si erano alzati e riconosciuti, ed erano caduti l'uno tra le braccia dell'altra.

Fu Yulin a trovare la forza di sciogliere l'abbraccio. – Stai bene?

Kai annuì. – Dobbiamo andarcene.

Yulin si guardava attorno, sconcertato. – Che è successo? Sono morti?

– Non lo so – rispose lei. Cercando di ignorare la confusione che le regnava nella testa, si mise a rovistare sul terreno alla ricerca spasmodica del fodero della dao. – Ma devo andare via. Ora posso farlo.

– Te l'ha detto il tuo... spirito? – Yulin respirava a malapena, sconvolto dallo scenario di devastazione che si apriva davanti ai suoi occhi.

– Sì – replicò secca Kai, che finalmente aveva trovato ciò che cercava. – E anche i miei occhi. Non noti nulla?

Yulin lasciò vagare uno sguardo vuoto sulla spianata e scosse il capo, troppo confuso per capire.

– La neve. – Kai indicò lo spazio intorno con un ampio gesto del braccio. La spianata all'interno della muraglia, e oltre essa le montagne e la pianura ai piedi del Chén Ti fin dove l'occhio poteva spingersi non erano più del bianco abbagliante che avevano conosciuto fin dal primo giorno, ma grigie, violacee, brune, spoglie.

– Antenati... – Gli occhi gli si erano spalancati ancora di più. – Dove è finita?

– Non lo so, ma sai che vuol dire, questo?

Yulin pareva cominciare a capire. – Il Chén Ti...

–... è sgombro – concluse lei. – Non so se qui siano tutti morti, o cosa sia successo, ma ho l'occasione per fuggire, e lasciare per sempre questa trappola mortale.

– Dove vuoi andare?

– A sud.

– Che c'è, a sud?

– Non le tribù.

– Potrebbero esserci dei nemici.

– Meglio rischiare di morire combattendo contro dei nemici che essere sicura di morire per mano degli amici. Tu fai quel che vuoi, io vado.

I cavalli erano vivi e vegeti nell'edificio in cui li avevano ricoverati. Se erano state le pareti in muratura o l'ingegno di Aldon a risparmiarli, Kai non avrebbe saputo dirlo, né le interessava. Yulin l'aiutò a riempire le borse da sella e l'accompagnò fino alla rampa attraverso un paesaggio spettrale. La maggior parte delle nubao, private dello strato di neve su cui poggiavano, si erano afflosciate come otri sgonfi e pendevano storte. Corpi giacevano ovunque, scomposti ma apparentemente integri, e nessuno osò accertarsi se erano vivi o morti: meglio vivere nella speranza che nel rimorso.

Al colmo della via, dove il terreno appena percettibilmente digradava verso nord, Kai si fermò. Per lunghi momenti rimase lì, immobile, le redini strette nella mano e le viscere avvolte in una morsa di terrore e gli occhi persi nella profondità della vallata stesa ai suoi piedi. Solo in quel momento, di fronte all'immensità del mondo che si apriva davanti a lei, si stava rendendo conto di quanto era stata sola nelle settimane precedenti, e di come quella solitudine sarebbe stato il suo futuro, forse fino alla fine dei suoi giorni. Con la gola stretta in un nodo di angoscia, insultandosi nella mente per quella debolezza, si gettò su Yulin stringendolo in un abbraccio convulso. – Vieni con me. Non posso farcela da sola.

Il ragazzo la strinse a sé. – Questa è la mia vita. Questa è la mia tribù e la mia casa. Non posso.

Kai si strinse più forte, lottando con tutte le sue forze per trattenere le lacrime che bruciavano sulle palpebre, poi trovò la forza di alzare lo sguardo su di lui, trovando nei suoi occhi le stesse lacrime pronte a sgorgare.

– Te la caverai benissimo – disse lui. – Sei la staffetta più straordinaria che abbia mai conosciuto.

Lei annuì, tirò sul col naso. Inutile trattenere le lacrime. – Bada a te stesso, e a Sun. È una brava ragazza, e credo sia incinta.

Anche lui annuì, le sfiorò la guancia con la punta di un dito guantato asciugandole una lacrima e il tocco divenne una carezza.

Kai sentiva la guancia bruciare, le labbra formicolare pazzamente, ma non avrebbe mai trovato il coraggio di alzarsi sulle punte dei piedi e dargli un bacio di addio. Chinò il capo, imbarazzata, sciolse l'abbraccio, montò a cavallo e, senza più voltarsi indietro, corse via.



Pur procedendo con cautela, meno di due ore dopo Kai metteva per la prima volta piede nelle Terre degli Avi.

Non sarebbe dovuta restare lì, quelle regioni erano di esclusiva competenza del Guerriero Chén e delle sue incarnazioni, e nessun mortale avrebbe dovuto soggiornarvi se non per il tempo necessario a condurre il Huang alla sua tomba, ma non se ne curava. Se la sua presenza dispiaceva al Guerriero Chén, allora ci avrebbe pensato lui a esigere la sua vendetta, e se non era così, beh, tanto di guadagnato.

Le tribù, posto che qualcuno fosse sopravvissuto, avevano cose più importanti da fare che seguire una fuggiasca attraverso terre proibite, o almeno questa era la speranza che Kai custodiva nel cuore mentre Tun macinava miglio dopo miglio attraverso l'immensa pianura spoglia.

FINE

della terza parte

Loth - parte terza: AriaWhere stories live. Discover now