Capitolo 19.

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Finalmente dopo due giorni in quel manicomio di pazze sgallettate, chiamate comunemente professoresse, era arrivato il fine settimana. Era sabato e già dal giorno precedente insieme alla mia nuova e alla mia vecchia amica avevamo organizzato un pomeriggio di sole ragazze. Nulla di particolare, era in programma solo di andare a casa di Erika e chissà, magari dopo uscire a fare una passeggiata, giusto che il tempo permetteva ancora giornate soleggiate.

Stavo aspettando solo che la mi cara Alice desse l'ultimo bacio al biondo tinto. Specifico che dovevano farlo da almeno una decina di minuti, ma ancora sembravano non decidersi. Eravamo fermi, poco lontano da casa: loro da parte a sbaciucchiarsi, ed io a fare il palo in mezzo alla strada.

«Ali dai... Ti muovi?» la richiamai, e mi arrivò la stessa identica risposta di prima, e prima ancora. Era snervante.

«L'ultimo e arrivo.» Ecco che non arrivò.

Si vedevano tutti i santi giorni, ma sembrava sempre che avessero passato anni a distanza l'uno dall'altra.

Se non si fosse capito quei due si erano messi ufficialmente insieme. Era successo la sera prima, o il pomeriggio -questo particolare non mi è ben chiaro-, non so. So solo che quella pazza si era presentata in casa mia alle dieci di sera, saltando e urlando, appunto, come la pazza che è.

E appena calmata, ossia, dopo oltre venti minuti nei quali io e i miei genitori, che stranamente erano in casa, la guardavamo con occhi spalancati lei ci informò: «Niall mi ha chiesto di essere la sua ragazza.». Fece una pausa e poi urlò, se possibile più di prima: «Ho detto sì!».

Ero arrivata al limite della mia pazienza, dovevamo essere a casa di Erika già da oltre mezz'ora ma ovviamente per quei due che non si vedano da trent'anni fu impossibile arrivare puntuale.

«Ok, basta ragazzi.» li andai in contro staccandoli «O la finite ora o ve lo do io un l'ultimo bacino con un calcio in culo. C'mon Alice...» la tirai per un braccio mentre quel biondo ridacchiava sotto ai baffi. Ma appena si accorse che la stavo portando via sul serio la sua espressione si tramutò da modalità "smile" a modalità "cane bastonato molto triste".

«Addio bidello..» dissi mentre Alice continuava a lamentarsi di voler tornare da lui.

Arrivammo e suonammo il campanello, o meglio io suonai visto che Giulietta era impegnata a buttare maledizioni contro di me. Ci venne ad aprire Erikuccia bella, ed immediatamente mi scusai per il ritardo, spiegando anche il motivo e indicando la colpevole.

«Vabbè tranquille, fa niente, entrate pure.»

Entrammo, e ciò che ci si presentò davanti era irreale, da manicomio quasi. O senza quasi. Una donna di circa 40 anni, presunta madre di Erika, chiuse una chiamata e iniziò a saltare finendo per continuare l'azione anche sul divano, gridando: «Donki, donki, donki, sta arrivando donki.»

-Oh Gesù...- pensai vedendola. Doveva aver fumato sicuramente qualcosa.

Io e Alice la guardammo con gli occhi fuori dalle orbite per le pazzie che stava facendo, mentre invece la figlia a disagio per ciò che stava avvenendo si sbattette una mano in fronte.

«Mamma basta, per favore, ci sono ospiti.» le urlò poi. Ma alla madre non sembrò cambiare molto la cosa. Infatti ci salutò con la mano e poi tornò a fare ciò che stava facendo prima, se non peggio.

Andammo, sconvolte più di prima, in camera di Erika, la quale dopo averci fatto accomodare ci diede spiegazioni.

«Scusate il comportamento di mia madre, sta per arrivare il suo fidanzato o come si vuol chiamare.»

«E si chiama Donki?» chiese Alice curiosa.

«No, no.» rise Erika, «E' il soprannome che gli ha dato lei.» sistemò dei fogli sulla scrivania «Si chiama Eddy, ma siccome vive a Doncaster lei lo chiama Donki per questo.» spiegò semplificando il quadro. Restava il fatto che quella al piano di sotto saltava come un canguro australiano.

Il fratello della mia migliore amica è uno stronzo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora