Per me si va tra la perduta gente

10 3 0
                                    

(Terre dell'Eterno Inverno, prima parte dell'Inarrivabile Est)
Il viaggio era stato molto lungo: il cavallo che Bleidbara gli aveva dato era davvero un ottimo destriero, tuttavia quella povera bestia si trovava ormai a un passo dalla morte quando erano apparse all'orizzonte le città dell'Eterno Inverno.
Quella era la parte meno selvaggia e (vagamente) più conosciuta nell'Inarrivabile Est, oltre quel confine Il vecchio sapeva che sarebbe stato tutto molto più difficile

Non che fosse stata una passeggiata arrivare anche solo fin lì: c'erano voluti ventitrè giorni e tutti i suoi poteri da chierico, che gli permettevano di prevedere il presente e l'imminente. Aveva percepito mostri di varia natura, animali selvaggi, persino qualche rara banda di predoni sbandati: alcune cose che la sua anima aveva visto non avevano neppure un nome e questo era tutto un dire, per un sacerdote della dea della conoscenza.

In quei giorni la sterile prateria che partiva da Arkeia era diventata piano piano un immenso prato ricoperto di brina, che si estendeva da orizzonte a orizzonte.
Poi erano arrivati i boschi e con loro anche le colline: nebbia, ghiaccio e freddo erano stati una costante in tutti quei giorni di cavalcata attraverso le gelide foreste dell'est.Il calendario diceva che si era alle porte dell'autunno ma in quel luogo c'era sempre un'unica stagione: il nome "Terre dell'Eterno Inverno" era ben meritato.
Il vecchio mezzelfo era arrivato appena in tempo: massimo uno o due mesi e i ghiacci avrebbero inghiottito tutto in una lunga notte artica.

Si presentò davanti alla piccola e quasi sguarnita porta ovest della città, tra lo stupore delle guardie: nessun viaggiatore arrivava mai da occidente.
Mostrò le sue referenze e venne condotto dal sacerdote metropolita della loro città, che era la cosa più vicina a un vescovo che ci fosse da quelle parti. Per previdenza aveva con sè un documento scritto nella lingua del posto, perchè la lingua comune falconiana era poco conosciuta.

L'architettura della cattedrale della dea Lhyra era molto strana, quasi esotica: il tetto era bombato a forma di una goccia, i mosaici e le icone erano più diffuse degli affreschi in stile occidentale ai quali il vecchio mezzelfo era abituato, tutti i chierici portavano una lunga barba (anche i giovani) e persino la liturgia era differente.
Lo fecero aspettare sulle panche, dandogli la possibilità di assistere a quello strano rito orientale in onore della sua dea, poi lo condussero dal metropolita.

L'incontrò fu cordiale, tuttavia c'era una certa atmosfera tesa: nessuna lettera di presentazione del vecchio voleva qualcosa da quelle parti, il potere del patriarca della chiesa di Lhyra non si estendeva nell'Inarrivabile Est. Per questo il chierico che aveva davanti non era un semplice vescovo ma portava il titolo di metropolita: significava che veniva considerato l'unica autorità della chiesa della dea della conoscenza in quella città.

La discussione quindi andò avanti a lungo, davanti a tazze di tè fumante, corrette con un forte liquore ottenuto dalla fermentazione delle patate. Il metropolitana si convinse solo quando il mezzelfo gli rivelò che cosa stava andando a cercare ancora più a oriente.
Il metropolita lo benedisse mentre lo scortava dai principi: lo benedisse come si consacravano le persone prossime alla morte



(Reame di Ferenzia)
Erano in una stanza debolmente illuminata da candele ondeggianti: i chierici dalle tuniche nere salmodiavano in lingua sacrale, nel ruvido dialetto dei Nove Inferi, mentre l'odore di incenso pervadeva l'aria.
Il candidato venne condotto davanti all'altare improvvisato, vestito solamente dei pantaloni e con evidenti segni di percosse sul torace, sulle braccia e sulla schiena. Venne fatto inginocchiare in malo modo: il tonfo delle sue gambe sul pavimento bastava a rendere l'idea del dolore.

Uno dei chierici si pose dietro l'altare e, fissando degli occhi il candidato, disse:
"Che cosa cerchi? "
"Il caos, la sopraffazione, il dolore e il veleno... Soprattutto il veleno"
Alcuni sacerdoti sorrisero: non era esattamente la formula rituale ma la dea del caos apprezzava i cambiamenti.
Il chierico guardò le persone che avevano accompagnato il candidato:
"Lo avete sottoposto al supplizio?"
"Sì"
"Ed egli vuole comunque convertirsi? "
Il candidato parlò al posto delle persone che lo accompagnavano:"Sì, lo voglio"
Quella parte era prevista dal rito: sopraffazione persino sopra i propri aguzzini.

"Allora recita il Credo della Vipera così come esso venne rivelato al mondo dal Celestiale del Dolore, nel luogo dove oggi sorge la città santa di Heidelberg" disse il sacerdote dietro l'altare.
Il candidato rifiutò La pergamena che gli veniva offerta e recitò a memoria:
"La legge è una menzogna: c'è solo il caos.

Di luce riempiròWhere stories live. Discover now