Il fulmine che pose fine alla nostra infanzia

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"Un momento, siamo logici!" adesso era la voce di Alexander a salire di parecchie ottave "Finora state soltanto ipotizzando che il destino che quelle carte ci hanno affibbiato sia per forza negativo. Era già stato sollevato questo dubbio ma non avete risposto: potrebbero avvenire anche cose positive".
"Si, potrebbero: è vero" rispose Atanvarno "Ma basterebbe che uno solo di voi fosse destinato ad un futuro negativo affinché le conseguenze siano potenzialmente devastanti. Magari uno di voi diventerà molto ricco, una di voi troverà un buon marito mentre un'altro invece è destinato a portare la distruzione su un intero regno, uccidendo involontariamente milioni di persone. E non è neanche l'ipotesi peggiore".
"Nessuno di noi ha la forza di distruggere un'intera città, figurati un regno" fece Lawrence, sorridendo con aria ironica.
"Per quanto ne sappiamo uno di voi potrebbe esplodere da un momento all'altro in un inferno di fuoco, con la potenza distruttiva di un vulcano. Oppure potrebbe attirare un drago o aprire involontariamente un portale verso i Nove Inferi" rispose l'elfo pulendosi la bocca dalle gocce di vino "Ma abbiamo detto tutto quello che dovevamo: andate adesso. Partiremo al più presto".
Il primo ad alzarsi fu Lawrence, era sempre stato il più spavaldo. "Io abito sopra questa taverna, quindi ci metterò poco".
Si diresse verso le scale che portavano al piano superiore.
Appena arrivato nelle semplici stanze della sua famiglia trovò ad attenderlo sua madre, che lo fissava con gli occhi di chi aveva sentito tutto ma non sapeva cosa dire. Lawrence non rivelò mai a nessuno cosa disse in quell'occasione: a nessuno, nemmeno alla persona che un giorno lui stesso avrebbe chiamato "Mio re". Quindi non c'è spazio nemmeno in questa narrazione per quelle parole.
Nessuno seppe mai se una o due persone piansero in cima a quelle scale
Lawrence entrò nella sua stanza ed iniziò a farsi il sacco. Cosa avrebbe dovuto portare? Ci avrebbero pensato gli elfi al cibo ed all'acqua? Che climi avrebbero affrontato? Che tipo di vestiti doveva prendere?
Iniziò a mettere dentro un po 'di tutto.
Non poteva portarsi i suoi vestiti da Juggerball ma di sicuro non avrebbe mai lasciato indietro il teschio che lui aveva schiacciato in meta così tante volte, compresa la straordinaria vittoria al torneo di Lammas dell'anno precedente: forse il più bel momento della sua vita.
Lawrence chiuse gli occhi e rivide quell'istante: l'ultimo terram della loro fase d'attacco, l'ultima clessidra che si stava esaurendo, lui che correva col teschio stretto al petto, la mazza di legno del capitano dell'altra squadra che si infrangeva sullo scudo di un difensore, gli altri due attaccanti avversari che tentavano di circondarlo ma lui riusciva a schivare il colpo del primo ed a tenere a distanza il secondo; le frasi di incoraggiamento e di gioia della folla, il sudore sul corpo, le gambe in tensione, l'area di meta sempre più vicina, il fischio del vento nelle orecchie per la corsa e la felicità assoluta di schiacciare il teschio a terra e poi alzare le braccia al cielo mentre il Sole al tramonto colorava il suo corpo come gli eroi nei dipinti, in un tripudio di applausi ed urla.
Si poteva morire pur di rivivere un momento come quello.
"Porta solo i vestiti, i più vari che puoi, e non preoccuparti del cibo. Porta un oggetto caro ma uno solo. Ed un'arma, se ce l'hai". Le parole venivano da uno degli elfi, che lo guardava dall'ingresso della stanza
"Porta due spade legate al fodero, ha una cotta di maglia addosso eppure non emette alcun rumore" pensò Lawrence. Nonostante tutte le sue preoccupazioni era ammirato.
"Mi chiamo Rinon" disse l'elfo "E sono qui per aiutarti"
"Per evitare che io scappi, intendi dire" fece Lawrence sorridendo.
Rinon ridacchiò: "Forse. Voi umani siete molto più imprevedibili di noi, che tendiamo a vivere di principi più assoluti. E poi non ce la facevo più a sentire Atanvarno che discuteva con quel tuo amico saputello. Per gli Dei, lui è sempre così saccente?".
"Alexander? Certo che no: a volte lo è molto di più" rispose Lawrence serissimo.
Entrambi risero. Le prime risate sincere di quella giornata.
Non vi era possibilità di tenere nascosto un fatto così enorme in un villaggio dove, per molti anni, la notizia più importante dell'anno era stata un matrimonio improvviso o una mucca che aveva partorito un numero enorme di vitellini. Quando Lawrence uscì dalla locanda trovò praticamente tutti i suoi concittadini ad aspettare: in fondo era più o meno palese che il luogo dove "qualcosa" sarebbe successo fosse la locanda.
Non era una sensazione nuova per lui sentirsi osservato: essere il figlio di colui che faceva bere tutto il villaggio gli aveva sempre garantito una certa notorietà, inoltre le ragazze non avevano mai fatto mistero di trovarlo interessante. Tuttavia avere gli occhi addosso di ogni persona, in un rigido e teso silenzio, lo faceva sentire come un condannato a morte che andava verso il patibolo.
"E forse è proprio così" pensò.
"Forse è meglio se rientriamo dentro" gli disse sottovoce Rinon "Io non credo che abbia molto senso aspettare qui fuori".
L'elfo non fece in tempo a terminare la frase che la voce di Luke si udì rabbiosa: "Che cazzo avete da guardarmi tutti? La mia faccia non è cambiata"
L'altro ragazzo si fece largo tra la gente fino a raggiungere Lawrence e Rinon, accompagnato dall'elfo con il gigantesco spadone a due mani.
"La gente è incapace di farsi gli affari suoi" fece Luke poggiando a terra un grosso fagotto con le sue cose.
"Beh in fondo è normale che siano curiosi" provò a dire Lawrence.
"Ah senti, a me non interessa proprio niente di quello che loro pensano: mica sono una scimmia che balla. Se dobbiamo fare questa cosa allora facciamola ma senza tante cerimonie". Era visibilmente alterato.
"Quindi forse è meglio tornare dentro la taverna" tornò a dire Rinon.
"Tanto prima o poi dovremo comunque uscire" rispose Luke abbassando la voce, forse non osando contraddire troppo una figura che sembrava uscita dal mondo delle fiabe.
I due elfi si guardarono sorridendo e commentarono qualcosa nella loro lingua musicale, a metà tra il divertito ed il sorpreso.
La voce della nonna di Sarah e del borgomastro irruppero da oltre la folla con la potenza di un temporale: la gente si aprì per lasciarli passare, come erano sempre stati abituati a fare davanti al loro capo ed alla donna più ricca della zona.
"Non capisco come lei possa aver permesso questa sciocchezza!" urlò l'anziana signora al borgomastro.
"Io le ripeto che questi stranieri, questi stranieri armati aggiungerei, mi hanno messo davanti al fatto compiuto!" ribatté l'uomo.
Il loro gioco di sguardi era tremendo: nessuno dei due aveva l'intenzione di cedere per primo, non davanti a tutti i concittadini.
Dietro di loro, ignorate ed in imbarazzo, c'erano Sarah e Sarita, seguite a loro volta dalle due elfe, quella con i pugnali e quella con il grande scudo: entrambe avevano l'espressione di chi era stata messa controvoglia a fare la bambinaia.
"Pretendo di parlare con chi comanda!" disse la nonna di Sarah appena fu di fronte a Rinon.
"Signora, le mie due amiche sono pochi passi dietro di voi, perchè non parlate con loro?" rispose l'elfo divertito.
"L'ho fatto e mi ha detto di parlare con un certo Atanvarno, siete voi?" incalzò la signora.
"Direi di no" sorrise Rinon "Ma tornerà presto".
Il borgomastro prese la parola: "Cari concittadini, è sorto un problema con questi stranieri. Mi è giunta voce che che essi vogliono portare via i nostri ragazzi ma vi assicuro che ..."
"Che questa cosa avverrà ora e con il loro consenso" rispose la voce di Atanvarno, che si stava facendo largo tra la folla con Alexander. Il viso del mago ero visibilmente alterato.
Una leggera brezza iniziò ad alzarsi.
"Lei è il capo?" fece la nonna di Sarah.
"Dai, non fare così davanti a tutti" protestò la nipote.
"Zitta tu. Che vuoi saperne?" la rimbrottò la donna. Un attimo dopo i suoi occhi erano su Atanvarno: "Lei mi deve delle spiegazioni! Io non permetterò che mia nipote parta per chissà dove, con chissà chi e per chissà quale motivo".
Il vento iniziò ad aumentare di intensità, spostando leggermente i capelli dalle fronti e le gonne delle ragazze.
Per tutta risposta, l'elfo iniziò a parlare coi suoi compagni nella loro lingua, senza degnare nessun altro di attenzione.
"Io le sto parlando!" urlò l'anziana signora.
"Noi pretendiamo che vengano rispettate le nostre leggi a casa nostra!" protestò il borgomastro.
"Se è una questione di soldi possiamo trovare un'accordo" continuò la nonna di Sarah.
Il vento ormai era diventato, se non forte, quantomeno fastidioso ed in lontananza si potevano udire dei tuoni.
Atanvarno iniziò a parlare sempre più fitto con i suoi elfi, uno di loro (quello con lo spadone) passò rapido in mezzo alla folla per andare da qualche parte. Intanto sia Lyon che l'arciere vestito di bianco avevano fatto ritorno.
"La smetta di ignorarmi!" urlò la nonna di Sarah afferrando il braccio del mago.
Il rombo della folgore squarciò l'aria, cadendo poco oltre il margine delle case, e la luce del lampo illuminò per un attimo tutto di un'allucinante colore bianco assoluto. Solo allora molti notarono come il cielo fosse diventato plumbeo. I bambini tra la folla piansero, molte ragazze si strinsero ai loro fidanzati e persino alcuni dei più vecchi e navigati ebbero paura.
Tuttavia la cosa più inquietante non era il fulmine o il repentino ed innaturale cambio del tempo atmosferico ma lo sguardo di Atanvarno.
In tutto il villaggio non c'era nessuno, nemmeno il borgomastro, che avesse mai guardato così la donna più ricca della zona. L'elfo sembrava pronto non soltanto ad ucciderla sul momento ma anche a farlo senza rimorsi, per poi tornare a cose che evidentemente considerava molto più importanti della vita di lei.
L'anziana mollò la presa sul braccio, con un'espressione che a memoria d'uomo nessuno le aveva mai visto sul viso.
"Punto primo" disse l'elfo "Non mi tocchi mai più".
La donna sembrò sul punto di dire qualcosa ma all'ultimo tacque.
"Punto secondo: non mi tocchi mai più" continuò Atanvarno.
Ormai c'era totale silenzio.
"Punto terzo" disse mentre si toglieva un braccialetto di oro bianco e zaffiri gialli che portava al polso "Questo singolo oggetto vale più di tutti i suoi averi messi insieme. Adesso capisce quanto poco io sia impressionato da lei?" .
Nessuno osava fiatare: a memoria d'uomo nessuno aveva mai parlato così alla nonna di Sarah ma adesso c'era un gruppo di elfi che volevano portare via dei ragazzi il giorno dopo l'arrivo di una goccia di cera appartenuta al più potente mago oscuro del mondo.
Gli abitanti del meraviglioso e terribile mondo delle leggende avevano scoperto che la Grande Vastità esisteva e, in mezzo a quel mare di verde, erano giunti proprio in quel piccolo villaggio.
Ci si sarebbe aspettati che a farsi avanti sarebbe stato Orlando, il fabbro, che diceva sempre di avere paura solo della dea Rahs, la signora dei Nove Inferi. Oppure Valerio, il magistrato, che era un seguace del dio Feyth e sosteneva che, se solo fosse nato oltre le montagne, avrebbe indossato l'armatura per combattere sotto le insegne del Gufo dell'Alba.
Invece fu la madre di Lawrence a parlare, con indosso ancora il grembiule sporco della locanda. La sua voce era gentile ma non calma, come se cercasse di tenere a freno un mare di emozioni contrastanti.
Si rivolse alla nonna di Sarah: "La prego, signora, mi ascolti. Non fosse altro per l'amicizia che lega mio figlio e sua nipote. Io non sono una persona importante, non sono ricca e non ho studiato ma ho sentito cosa gli elfi hanno detto ai ragazzi ... il motivo per cui devono partire è molto importante ... è grave".
Tutti la stavano fissando: nonostante avesse sempre servito da mangiare e da bere a mezzo paese, era sempre stata una donna molto riservata.
"Quindi ..." iniziò a balbettare "... quindi io non sono felice che Lawrence se ne vada ma devono farlo. Devono farlo, capite? Io non lo so spiegare ..." la sua voce iniziò a rompersi "... io sono una donna semplice e non capisco bene i discorsi complicati ma so che è grave! E' grave!"
Mise tutto il suo dolore in quelle ultime due parole, che nella sua mente spiegavano tutto anche se lo facevano con estrema sofferenza. Scoppiò in lacrime un istante dopo.
Lawrence corse ad abbracciarla, tenendola stretta in un atteggiamento di tenerezza che nessuno gli aveva mai visto: il suo sguardo dichiarava a chiare lettere che avrebbe fatto a botte con chiunque avesse anche solo osato pensare qualcosa che potesse peggiorare il dolore di sua madre.
Luke imprecò sottovoce: la cosa stava sfuggendo di mano. Tutti presero a parlare nello stesso momento.
In quel momento l'elfo con la grande spada tornò assieme ai cavalli bianchi con i quali lui e gli altri erano arrivati. Sorprendentemente con lui c'era il mercante.
"E' tutto pronto" disse l'elfo.
Il mercante si guardò attorno: lui era uno del villaggio, era quasi un eroe, l'unico di quel luogo ad aver visto cosa ci fosse oltre le montagne. Ci fu uno sguardo di intesa tra lui ed Atanvarno.
"Quello è il modo in cui si guardano solo due persone che si conoscono da tempo" pensò Sarita.
Il mercante salì sopra le botti vuote davanti alla locanda ed iniziò ad agitare le mani per richiamare l'attenzione.
"Amici! Amici! Vi prego ascoltatemi: vi chiedo di fidarvi di questi elfi. Io li conosco personalmente: non posso dire che siano miei amici ma mi fido di loro. E' grazie a persone come loro che io posso varcare i monti. Vi racconterò personalmente il perché di questo dramma ma vi prego di credermi su una cosa: questi ragazzi devono partire subito, adesso. Non vi chiedo di dare fiducia a degli sconosciuti ma a me: vi prego, vi supplico, vi scongiuro persino ... questa cosa deve essere fatta".
Il discorso aveva avuto effetto: il mercante era stimato e rispettato, molti lo vedevano come un eroe, come l'unico del villaggio che avesse visto il vero mondo ed avesse cenato al tavolo degli aristocratici oltre le montagne.
Scese dalla botte e corse da Atanvarno mentre la folla mormorava più calma.
"Dovete andare ora, prima che i dubbi tornino ad assalirli".
Atanvarno si rivolse ai ragazzi: "Avete salutato le vostre famiglie?".
Annuirono: alcuni con finto coraggio, altri con aria di sfida, alcuni con le lacrime ma annuirono tutti.
"Pensate che sia colpa mia?" chiese il mercante al mago "Potrebbe essere per via di quell'oggetto?".
"Per quanto il Demonologo sia potente dubito che un frammento di cera di una semplice candela possa avere la capacità di evocare qui un abissale. Eppure la coincidenza è strana" ammise Atanvarno.
"Troppo. Non si era mai visto uno di quegli essere qui nella Grande Vastità" proseguì l'uomo.
"Sacra Agaliel, sono secoli che in nessuna parte di Antheliar si vede un abissale!" commentò l'elfa con lo scudo.
"Eppure è troppo strano. Come se ci fosse un disegno dietro" proseguì il mercante "Da capire se un disegno voluto dal Demonologo, da Karandras o da entrambi".
"Se fossi in grado di capire i pensieri di uno solo di loro due non sarei qui: avrei lo scranno di Maestro Venerabile nella Loggia Reale" sorrise Atanvarno in maniera agrodolce "Ma con certezza posso dire che nè tu nè quella goccia di cera potete rimanere qui".
"E' ovvio" concordò il mercante "Ripartirò subito per la costa e porterò quell'oggetto alla corte di re Antares, come aveva pensato fin dall'inizio".
Lui ed il mago si strinsero la mano guardandosi negli occhi.
"Non dirlo ..." fece Atanvarno.
"Anche l'altra volta iniziò così" disse l'uomo.
"Ti avevo chiesto di non ..."
"Anche l'ultima volta che gli Arcani delle Meraviglie vennero usati c'era un abissale del demone giullare".
"L'ultima volta c'era il più potente degli abissali del demone giullare" lo corresse Atanvarno gravemente "Ma, se ti riferisci a lei, per quanto ne sappiamo assume sempre e solo una forma femminile. Inoltre, se questi ragazzi avessero incontrato Fine dei Giochi in persona, non credo sarebbero qui a raccontarlo. Anche tu ed i tuoi quattro compagni avete letto le tavolette custodite nella Città della Notte, quindi sapete cosa è successo l'ultima volta che quella puttana è riuscita a passare sul nostro mondo".
Il mercante annuì: in tanti anni nessuno al villaggio lo aveva mai visto così serio. 


Di luce riempiròWhere stories live. Discover now