Una storia di sangue ed una storia di segreti

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L'anziano si passò nervosamente la mano tra i lunghi capelli bianchi, un gesto che compiva raramente. Tra le immense pareti della biblioteca cercò un altro libro al quale affidarsi: interi scaffali erano ormai vuoti ed i tomi che prima contenevano erano ora disposti per terra o sulle varie scrivanie sparse per quel vasto ambiente.
In nessuno di quei volumi però era ancora riuscito a trovare le risposte che cercava.
In un libro aveva letto delle terre che componevano l'Inarrivabile Est: la grande steppa dalla quale era giunto il Popolo Rosso secoli addietro, l'antico e perduto tempio del dio Laudian con il suo immenso mosaico della Luna Rossa che grondava il sangue stesso della divinità, il deserto dai misteriosi abitanti e dagli incerti confini che, si diceva, arrivassero fino alla Montagna del Tramonto.
In un polveroso tomo aveva letto l'antichissima cronaca di come l'Abominio avesse trovato la strada per giungere fino al mondo di Antheliar: grazie alla cieca sete di conoscenza ed al tradimento di Demetrius, colui che aveva aperto la prima Spirale Nera in un lontano giorno della remota e quasi dimenticata Prima Era del mondo.
In un bellissimo volume rilegato in corteccia viola e scritto su foglie enormi aveva letto dello stupore che colse tutte le razze parlanti quando gli gnomi apparvero per la prima volta tra le luci ed i colori del Bosco dei Sussurri. Lesse di come gli antichi membri di quella minuta razza parlassero spesso di una casa lontana e perduta, del loro lungo viaggio e di un luogo evocato solo a bassa voce che essi chiamavano "la Terra degli Otto Milioni di Sogni".
Ma non aveva trovato in nessuna di quelle pagine la risposta che cercava.
Sospirò: avrebbe cercato ancora, ovviamente. Era troppo importante per lasciar perdere.
E, se non avesse trovato niente in nessun libro, allora avrebbe compiuto un gesto al quale per il momento non voleva nemmeno pensare: avrebbe percorso il sentiero giusto fino al luogo che da molto tempo lui sognava e temeva con la stessa intensità.


"Sono passati otto giorni da quando abbiamo lasciato il villaggio" disse Sarah "Non sono mai stata tanto tempo lontano da casa".
"E manca ancora molta strada prima delle montagne" si lamentò Luke, ormai dolorante per la scomodità del viaggio sui carri.
"Sto usando la mia magia per allungare la strada di mezza lega ogni volta che vi lamentate di queste cose" rispose Atanvarno assolutamente serio.
I ragazzi si guardarono interdetti: neppure Alexander era sicuro se l'elfo fosse serio o meno.
"Che cosa significano quelle parole nella canzone?" domandò Lyon improvvisamente, forse per parlar d'altro.
"Quale canzone?" ribatté Rinon.
"Quella che avete cantato alla sorgente di Agaliel. Quella scritta di Mordred. C'erano delle parole in una lingua strana ad un certo punto. Non era elfico, vero?".
"Ti stai riferendo a -Jag ska ha Kuk'Nuk- ?" rispose Atanvarno "Non era affatto elfico, ne puoi star certo. Significa -Io raggiungerò il Kuk'Nuk- nella lingua del Popolo Rosso".
"Questo spiega tutto" disse Lyon, annuendo in maniera così palesemente sarcastica che Alexander scoppiò a ridere
Anche Atanvarno parve divertito: "Conosco poche persone che non sappiano cosa significhi Kuk'Nuk, quindi tendo a darlo per scontato. Sono due parole orchesche che significano semplicemente -Molti-".
"E quindi che senso ha una canzone che parla di una regina che nel sonno dice che raggiungerà il -Molti- ?" incalzò Lyon.
"Non semplicemente una regina ma una regina devota alla dea Rahs" continuò il mago "Gli orchi usano dire Kuk'Nuk per indicare un qualunque numero superiore a trentatre: che si tratti di trentaquattro o di un milione per loro è sempre e solo Kuk'Nuk. Ma è un termine diffuso tra tutte le persone che venerano la dea Rahs, indipendentemente dalla razza".
"E perché i rahssiti usano un termine matematico così poco funzionale?" chiese Alexander.
"I rahssiti venerano il dolore" ribatté Lyon "Magari lo fanno per rendere più complicati i loro calcoli e farsi del male da soli".
La gomitata di Alexander colpì l'amico al fianco: "La pianti di dire boiate?". Tutti gli altri ragazzi risero mentre Lyon imprecava dal dolore sul pavimento del carro. Atanvarno li osservò sorridendo, scosse la testa ironicamente e poi continuò il discorso:
"C'è un solo modo conosciuto per avere il dubbio onore di diventare (dopo la morte, ovviamente) anime elette della dea Rahs: sacrificare persone. Gli altari dei templi rahssiti sono sempre pieni di fedeli che sacrificano corpi ancora vivi all'oscura gloria della loro dea. Tutti i seguaci di Rahs finiranno nei Nove Inferi ma solo chi le avrà immolato un numero sufficiente di individui potrà poi ascendere al rango di carnefice; tutti gli altri saranno dannati. Nessuno ha idea di quante anime sia necessario immolare ma, per tradizione, si ritiene che tale cifra sia un qualunque numero superiore a trentatre, ovvero Kuk'Nuk".
Lyon ed Alexander si guardarono dubbiosi. Il secondo borbottò qualcosa che suonava come "Non ha logica".
Il mago continuò: "La logica c'è ma è relativa alla teologia della dea del caos ed alla lingua degli orchi: quindi non cercherei razionalità in essa".
"Il dio Nuvak insegna che la logica deve essere razionale" fece Alexander incupendosi.
"Io venero Nuvak da quando tuo nonno non era ancora nato e posso dirti che egli non dice questo: il nostro dio sostiene che la logica dovrebbe essere razionale ma ammette che esistono anche altri tipi, meno efficenti, di strutture non contraddittorie di pensiero che possono essere chiamate -logica-. Il fanatismo religioso è una di esse".
"Come fanno a sapere che le anime richieste dalla dea del caos devono essere più di trentatre?" domandò Lyon.
"Gli orchi sono i figli di Rahs, la sua razza prediletta: se essi non si sono mai curati di avere una parola per descrivere tutti i numeri maggiori di trentatre vuol dire che per loro non sono importanti. Alcuni pensano che questo accada perchè una volta arrivati a Kuk'Nuk non c'è bisogno di tenere più i conti" rispose Atanvarno.
"L'amante di sir Mordred, la regina per cui è stata scritta la canzone, è un orco? Cioè, è un orchessa ?" domandò Sarah.
"Bleidbara Blodeld non è un'orchessa" fece il mago "In compenso è molte altre cose: è l'unico capo-clan donna del Popolo Rosso, è la conquistatrice e l'attuale regina della città di Arkeia, posta sul confine con l'Inarrivabile Est. E' anche una delle poche persone del Popolo Rosso a venerare Rahs".
"Pare che, nonostante il pallore innaturale ed i canini appuntiti tipici della sua razza, Bleidbara sia tanto crudele quanto bella" disse Rinon.
"Se Mordred è così onorevole e così innamorato allora perché non la sposa?" chiese Alexander, con evidente astio.
"Lo abbiamo detto l'altra volta: lei è già sposata" rispose Atanvarno "Suo marito è un capotribù umano, un barbaro del nord. Hanno anche avuto un bambino, il quale però pare somigli molto di più a Mordred che non al consorte di Bleidbara".
"Dato che lui non è un degno cavaliere non credo abbia avuto scrupoli a spingere all'adulterio una donna sposata" fece piccato Alexander.
"Dubito che chiunque, in tutto il vasto mondo, potrebbe spingere la regina Bleidbara a fare qualcosa contro la di lei volontà" ribatté il mago sarcastico "Mi interessa molto poco il loro triangolo amoroso mentre sarebbe molto più importante chiarire questo bambino sia venuto al mondo".
Lyon ed Alexander si fissarono ancora, come se stessero decidendo chi tra loro due dovesse fare la figura dello stupido. Alla fine fu Lyon: "Suppongo che questo bambino sia nato nella solita maniera". Rinon iniziò a ridere così forte che perse quasi il controllo delle redini del carro.
"Che sia progenie del marito o di Mordred, il bambino risulterebbe comunque figlio di una donna del Popolo Rosso e di un umano" fece il mago, come se questo spiegasse tutto.
"Suppongo che questa unione di razze diverse sia un evento raro" disse Alexander.
"Un tale evento non è raro: è impossibile. Il Popolo Rosso e gli umani non sono interfertili tra loro. In effetti le uniche razze parlanti che possono mischiarsi e generare figli mezzosangue siamo noi elfi e voi umani".
"Interessante" fece Lyon osservando a distanza Aranel la chiara.
"Non ti consiglio di farlo, sai?" disse Rinon "Il marito della nostra amica armata di scudo è un tipo poco raccomandabile".
Sarita guardò fuori dal carro: il sole scendeva verso l'orizzonte decorando le foglie del grande bosco di tante sfumature rosse, dorate e magenta. Aveva sempre fantasticato di raggiungere le terre a sud della Grande Vastità, il luogo dal quale proveniva sua madre, ma adesso stava andando molto molto più lontano: chiuse gli occhi ed immaginò cosa ci fosse oltre le montagne. Un intero mondo di foreste verdi e bellissime come nelle fiabe oppure cupe ed impenetrabili come nelle storie d'inverno, colline dove ballare attorno al falò al cambio delle stagioni, monti rocciosi spazzati dal vento freddo, pianure sconfinate dove la vista poteva perdersi sotto un cielo infinito color cobalto. E poi ovviamente grandi città (forse anche più grandi de La Soglia), castelli con immense sale del trono, fortezze di cavalieri in armature scintillanti, i grandi templi delle dodici divinità e persino le immense biblioteche dove i maghi sussurravano misteriosi segreti.
Riaprì gli occhi solo perché il carro si era fermato per la cena: ormai era quasi buio e l'aria a tratti addirittura fresca.
"Non pensavo potesse esserci un clima così poco afoso subito dopo Litha" fece Luke.
"E' perchè siamo in un grande bosco. Gli alberi fanno il loro lavoro" rispose Erucallo sospirando felice, come fosse nel proprio ambiente naturale. Gli altri elfi stavano preparando strisce di pancetta cosparse di pepe bianco e spesse fette di pane con sopra formaggio da far fondere. Rinon litigava con il tappo di sughero di una bottiglia di vino mentre Aranel la chiara lo prendeva in giro.
"Certo che far aprire il vino all'elfo astemio è cattiveria" ridacchiò lei.
"Lasciamo che il maestro delle due spade ci mostri la sua forza" rincarò Eruancalon.
Rinon disse qualcosa nella musicale lingua degli elfi bianchi: gli altri risero anche se le due Aranel avevano un'espressione scandalizzata.
"Dammi qua" disse Atanvarno facendosi passare la bottiglia. Il mago fece un lieve gesto con le dita sul sughero, sfiorandolo appena, ed il tappo schizzò immediatamente via perdendosi tra gli alberi.
"Era magia quella?" domandò Alexander.
"La magia è l'arte e la scienza di causare cambiamenti alla realtà in conformità alla propria volontà" ribadì Atanvarno, iniziando a versare il vino nei bicchieri di legno. La bevanda era rossa e forte, con l'aroma di more, mirtilli e lamponi: in breve tempo i ragazzi furono quasi tutti brilli.
Il bosco attorno a loro si era riempito dei rumori della notte ed ogni fruscio delle foglie poteva essere un topolino curioso, un animale pericoloso o uno gnomo desideroso di raccontare cosa ci fosse nascosto in quel regno verde.
"Maestro Atanvarno, ci racconti una storia" chiese Lyon ad un certo punto.
"Una storia?" domandò il mago giocando con il bicchiere in mano "Una storia di che genere?".
"Sarebbe istruttiva una storia sugli Arcani delle Meraviglie" disse Luke..
"E sarebbe anche molto poco incoraggiante, suppongo" fece Sarita.
"Io vorrei una storia sul fondoschiena dell'arcivescovo Lucienne" propose allegro Lawrence, che non era abituato al vino.
"Non credo che tu sia abbastanza grande per il genere di storie che si raccontano su quel fondoschiena" disse Eruancalon generando una serie di risate.
"Raccontaci una storia sul Demonologo" fece Sarita.
"Una scelta coraggiosa ... o molto stupida" disse il mago "Siamo in un bosco di notte. Vuoi sul serio che io racconti una storia sull'uomo più malvagio del mondo?"
"Non so se sia una buona idea" fece Sarah avvicinandosi al fuoco.
"Invece lo è" disse Luke "La storia su Mordred era molto bella eppure mi sembra bello malvagio anche lui, inoltre voi elfi avete detto che l'abissale che abbiamo incontrato è stato attirato dal potere di quel fottuta scheggia di cera. E quella scheggia apparteneva al Demonologo. Quindi lo trovo un argomento adatto".
I ragazzi fissarono il mago: evidentemente la curiosità era troppa.
Atanvarno finì di bere il suo vino: "Come volete".
Si alzò in piedi e troneggiò nelle ombre che il fuoco emanava, apparentemente alto come un re delle leggende antiche. I giochi di luce marcarono maggiormente i lineamenti spigolosi e non umani del suo volto. Tutto attorno i suoni del bosco parvero attenuarsi, come se ogni creatura animale e vegetale stesse aspettando che la storia iniziasse.
"Non vi è regno su questo mondo più oscuro dello Shwarzrosraik, l'impero degli elfi neri: Un'intera nazione dove gli antichi ideali della nostra razza sono stati corrotti e deformati. Un luogo dove sopraffazione, odio, sotterfugio, morte, violenza ed ambizione sono considerate virtù. Dove amore, compassione, giustizia e rispetto per la vita sono viste come debolezze. Una nazione di mostri ... eppure esiste chi è più mostro di loro.

(ATTENZIONE: segue una scena contenente momenti di violenza. Se non siete a vostro agio con questo tipo di tematiche non proseguite nella lettura. Un secondo avviso segnalerà la fine di questa scena) 

"Molti secoli fà, sotto il cielo perennemente coperto della loro capitale, un giovane nobile si divertiva a fare scherzi crudeli coi suoi degni compari. Avevano notato che un povero senzatetto si aggirava per i giardini del centro della città: forse uno degli sfortunati ridotti in rovina da qualche assurdo gioco di potere della loro insana politica. Un debole: una persona che, nella loro mentalità, era giusto sopraffare. Solo una persona gli dimostrava un minimo di affetto: un misterioso signore dal lungo abito scuro che ogni sera portava a quel derelitto un po' di cibo. Una notte come tante il giovane nobile era galvanizzato dalle droghe comprate da un alchimista, altrettanto erano i suoi sodali. Decisi ad essere gradassi più del solito, si diressero al parco per tormentare il senzatetto: lo svegliarono a calci dal suo giaciglio e, senza un motivo, iniziarono a prenderlo in giro, sparpagliando le sue povere cose in giro. Forse la cosa si sarebbe risolta così se il poveraccio non avesse comunque ritrovato un po' del suo orgoglio da elfo nero e non avesse cercato di reagire. La cosa degenerò in fretta: si alle mani ed il vecchio venne pestato a turno dai giovani, per mero divertimento. Alla fine il suo corpo cedette e morì senza che nessuno alzasse un dito per aiutarlo. Il giovane nobile tornò quindi nella grande residenza del proprio casato e, senza nessun rimorso, si preparò per andare a letto"

(ATTENZIONE: fine della scena contenente momenti di violenza)

"In quel momento però suo padre lo mandò a chiamare con urgenza e gli disse di venire subito nel grande salone dei ricevimenti, insieme a tutti i membri della famiglia. -Figlio mio- disse -i maghi della nostra casata, durante la loro divinazione serale, hanno percepito un grande pericolo per noi. Adesso essi stanno lavorando assieme ai chierici per scoprire di cosa si tratta, chiedendo l'aiuto della dea Lerial. Tu sei il mio erede quindi devi essere presente-.
Passò del tempo ma infine un servitore comunicò che, nella cappella di famiglia, era apparsa una delle anime elette della divina Custode dei Segreti: l'evento era assai raro quindi il padre del giovane andò subito a conferire con quella sacra presenza. Tornò poco dopo, rosso in viso, ed iniziò ad urlare pretendendo di sapere dal figlio cosa egli avesse fatto quella notte. Il giovane raccontò tutto, stupito, dato che il padre non se l'era mai presa per quel genere di cose. Tremante di paura, come il giovane non lo aveva mai visto, il grande aristocratico chiese se durante il pestaggio per caso fosse stato presente anche l'amico del senzatetto. Sempre più nella confusione, il suo erede disse di no: - Padre, perché siete così preoccupato? Quel vagabondo era una nullità ed il suo amico deve essere altrettanto: un debole che porta cibo ai senzatetto ... un niente-.
Il padre non riusciva a far smettere di tremare il proprio corpo. Fu infatti con grande fatica che alla fine disse: -Quel niente era il Demonologo-

Di luce riempiròDove le storie prendono vita. Scoprilo ora