Breve saggio filosofico sul senso della giustizia (Fantasma, Strega e Vipera)

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(Città di Arkeia, uno degli ultimi avamposti conosciuti prima dell'Inarrivabile Est)


Il cavallo del vecchio era lanciato al galoppo verso il rosso monte roccioso.
Sopra quell'immane roccia dalle sfumature del sangue si innalzava orgogliosa la città-stato di Arkeia: le mura e le torri giallo opaco cercavano di arrivare a toccare quel cielo colorato da nuvole tinte di vermiglio, sfoggiando le loro numerose decorazioni che prendevano il nome catapulte, baliste e ogni altra crudele macchina inventata per uccidere in guerra.

Sulla base del pilastro roccioso c'era un'unica enorme gradinata, l'unico accesso alla sola porta della città: duecento scalini scolpiti nella pietra e decorati in marmo color rubino, duecento scalini protetti da altrettanti soldati del Popolo Rosso, duecento scalini che conducevano a un gigantesco portone di duro antico legno, rinforzato in solido acciaio e sormontato da feritoie per gli arcieri e fori per l'olio bollente.

Una sola persona, una sola donna, in tutta la storia era riuscita a conquistare Arkeia: quell'immane sforzo difensivo urlava al mondo che Bleidbara Blodeld mirava a essere non solo l'unica ma anche l'ultima ad aver compiuto una tale impresa.

Il vecchio aveva aspettato un paio di giorni in un villaggio di contadini prima che la regina gli concedesse udienza: era un tempo straordinariamente breve, almeno per lei. L'anziano chierico percepiva nettamente che Bleidbara voleva qualcosa da lui: le benedizioni della dea Lhyra gli avevano sempre permesso di percepire i fatti del presente.
Cosa di preciso volesse, però, non era riuscito a capirlo.

Percorse i duecento scalini sotto gli occhi dei soldati: lucenti cotte di maglia tenute perfettamente, vestiti rosso magenta, pellicciotti usati come decorazioni un po' ovunque, canini pronunciati e soprattutto quella pelle totalmente bianca al pari di neve purissima.
"Pelle bianca e cuori neri" si diceva di loro.

In cima alla scalinata trovò l'immenso portone leggermente aperto e un capitano che lo aspettava.
"Il mio nome è Sven, sono un ufficiale della regina" il suo falconiano era passabile "Venite con me: niente commenti, niente domande, niente di niente. Solo seguire me. Altrimenti sarete morto stasera e domani i chierici di Roun vi useranno come cameriere. Avete capito?".
Il vecchio annuì.
Sven fu quasi deluso.
Il motivo della delusione mise i brividi sulla schiena dell'anziano chierico: se lui avesse risposto "Si" avrebbe contravvenuto alla regola "Niente commenti".

Prima di entrare nella città, il capitano gli osservò le orecchie parzialmente a punta.
Il vecchio sperava di essere riuscito a confonderle meglio all'interno della sua capigliatura: la pelle rugosa e la barbetta bianca potevano nascondere i suoi lineamenti ma quelle orecchie erano inconfondibili.
"Mezzelfo, eh?" sorrise Sven "E vuoi comunque vedere la regina? Bah, affari tuoi come decidi di morire".
Senza altre parole entrarono nella città.

Arkeia urlava ad ogni visitatore il suo essere palesemente divisa in due classi sociali distinte: da un lato il Popolo Rosso e dall'altro quelli che erano stati gli abitanti originali, principalmente di razza umana.
I primi erano tutti guerrieri, sia gli uomini che le donne: persino i loro bambini passavano il tempo a giocare ai soldati con scudi di legno e bastoni. La guerra e, in rari casi, il sacerdozio erano le loro uniche occupazioni. Recentemente si mormorava che qualcuno di loro fosse riuscito a entrare nell'Ordine dei Maghi ma erano solo voci.
Si vedevano pochi anziani in giro: il Popolo Rosso moriva giovane, per varie ragioni.

Gli umani invece parevano occuparsi di tutto ciò che non fosse guerra: mercanti, bottegai, contadini, servitori domestici e ogni altra sorta di attività necessaria ma non avventurosa. Sembravano abbastanza ben nutriti e in salute ma, dagli sguardi, si capiva come il Popolo Rosso li considerasse solo animali da lavoro: gli servivano vivi e in salute ma solo a guisa di strumenti.

Di luce riempiròWhere stories live. Discover now