La leggenda dell'aquila e del falco

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La mattina del giorno di Litha gli abitanti del villaggio, come le formichine alle quali il borgomastro spesso li paragonava, sciamarono nel prato fuori dal centro abitato che era stato scelto per la festa. Montarono dei banchetti ricoperti di colorati festoni, ognuno di quali venne riempiti di ciliege, fragole, fichi, albicocche, nespole, susine, pesche, angurie e di ogni altro dono che l'estate facesse ai contadini. Tutti sapevano poi che l'inverno e la sua rigidezza era ancora lontano e che Litha era una festa dell'abbondanza, quindi ci sarebbero stati anche spiedini di pecora, pancetta fritta nel burro aromatizzato alle erbe e le patate patrizie, che erano la ricetta locale di cui tutti andavano maggiormente fieri.
Vennero piantate delle torce per terra per illuminare la notte che sarebbe giunta, perché Litha faceva parte di quelle feste primaverili-estive che festeggiavano il trionfo della luce e della vita sull'oscurità. Ovviamente botti di vino e damigiane di fresca birra vennero portati fuori per i festeggiamenti, quella era decisamente un'occasione in cui anche ai più piccoli era concesso bere. Quelle persone abili con gli strumenti musicali avevano trascorsi i giorni precedenti a decidere in che ordine salire sul semplice palchetto di legno e deliziare i compaesani; c'era posto per tutti in scaletta perchè ci sarebbe stata musica fino a notte fonda.
Nessuno avrebbe cenato a casa quella sera ma tutti avrebbero goduto dei cibi della piazza, mangiando poco ma spesso da ogni banchetto. Iniziò a girare voce che i tre menestrelli si sarebbero esibiti in uno spettacolo teatrale (già questo di base avrebbe portato all'interesse generale) ma un'altro mormorio iniziò a venir ripetuto ancora più spesso: pareva infatti che dopo lo spettacolo il mercante avrebbe mostrato i suoi nuovi tesori, compreso quello particolarmente misterioso la cui vera natura era stato rivelata solo al borgomastro. Ovviamente proprio il borgomastro era stato visto girare per il paese con aria assorta ed assolutamente spontanea mentre si rifiutava di rivelare decisamente quale fosse la cosa misteriosa di cui tutti parlavano.
Ovviamente le ipotesi si susseguirono le une sulle altre: le prime persone venute a farsi un bicchiere di vino alla festa erano sicure che si trattasse della spada di qualche eroe che era vissuto al di là delle montagne, poi arrivò un altro gruppo di cittadini a farsi una seconda piccola cena di spiedini di carne e costoro erano certi invece si trattasse di un'intera armatura, poichè un'armatura valeva più di una spada. Le persone che arrivarono dopo non si dimostrarono convinti nè dell'una nè dell'altra ipotesi: una volta il mercante aveva portato con sé un ciondolo portafortuna in oro bianco con incastonati i capelli di un autentico elfo ed all'epoca non aveva fatto tutti quei misteri quindi stavolta doveva necessariamente essere qualcosa di ancora più importante. Un'arma o una corazza non reggevano il paragone.
Sarita aveva il vestito buono ed un'espressione molto meno buona: era costretta ad accompagnare suo padre in un giro di visite di cortesia dove ogni frase aveva una motivazione politica. Lo sguardo di lei era sempre rivolto a cercare i suoi amici tra la folla che diventava sempre più numerosa. Lawrence si era occupato di rifornire di bevande più o meno forti tutti i banchetti, perchè la gente avrebbe bevuto molto fino alle ore piccole; lui si era premurato di far rotolare le botti di vino e di trasportare con un carretto le damigiane di birra ma aveva trovato anche il tempo di sorridere ad ogni ragazza carina che aveva incontrato. Luke aveva dato una mano a montare i banchetti ed il palco, poi si era messo a girare chiacchierando con tutti, con quella sua capacità di attaccare bottone in qualunque momento e con chiunque. Lyon aveva passato i giorni precedenti a selezionare le resine migliori per gli incensi che avrebbero profumato l'ambiente ed anche le erbe più adatte per correggere le bevande ed aromatizzare i cibi. Tuttavia non sempre la gente aveva seguito i consigli e suoi e del suo maestro, l'erborista del villaggio, quindi Lyon passò il tempo a cercare di convincere, con i suoi modi eruditi, la gente che le loro scelte erano sbagliate (cosa che interessava molto poco alle persone) ed a scacciare le attenzioni di alcune ragazze (cosa che in quel momento interessava molto poco a lui).
Alexander era completamente libero: il suo maestro, lo scrivano, gli aveva detto di rendersi disponibile per stilare messaggi in caso ce ne fosse stato bisogno ma la possibilità era scarsa, quindi aveva con sé il proprio astuccio da scrittura ma si stava godendo il cibo e le bevande, con una sospetta predilezione per queste ultime. Sarah era invece diventata l'attrazione principale dei bambini meno ricchi della città, ai quali regalava monete con cui potevano comprare dolciumi ed altre prelibatezze rare e costose che, a differenza della maggior parte della frutta e di alcuni tagli di carne, non erano offerti dal borgomastro e dagli altri notabili.
L'aria che veniva dalle campagne divenne fresca solo con la complicità della notte, le stelle in cielo brillavano come diamanti su uno sfondo di un velluto blu tanto scuro da poter quasi, ma non del tutto, essere definito nero. I giovani innamorati cercavano di sgattaiolare via dal controllo dei genitori e di perdersi nei campi per guardare le stelle assieme mano nella mano. Si potevano anche sentire i versi degli uccelli notturni che guardavano gli umani da debita distanza, stupiti da quell'attività, impauriti dai fuochi ma desiderosi di cibo.
Il vento era dolce e portava l'odore dell'erba, della begonia, della lavanda, delle fresie, degli oleandri e delle petunie. Immancabilmente, quando si percepiva nell'aria quest'ultimo profumo, le ragazze raccontavano la tragica ma bellissima storia d'amore vissuta molto tempo prima dai giovani Serge e Gilbert, in qualche luogo al di là delle montagne, in un reame dal nome sconosciuto dove il culto del dio Feyth era molto diffuso ma, purtroppo, avvenuta in un tempo in cui i chierici del Gufo dell'Alba ancora nutrivano pregiudizi verso i cuori maschili che si amavano. 
La festa andò avanti così per un bel po', finché non si udì il suono di un tamburo che sovrastò tutti gli altri rumori.
La gente si chiese cosa fosse e da dove provenisse, notando solo all'ultimo le tre figure che avanzavano verso il centro della piazza tra la gente che li faceva passare istintivamente quasi con timore. Erano i tre menestrelli che si erano presentati al villaggio per la celebrazione di Litha ma i loro vestiti non erano quelli con i quali erano stati sempre precedentemente visti: quello che suonava il tamburo legato dal proprio corpo aveva un abito variopinto e sgargiante che faceva impallidire quello del mercante stesso, l'unica donna del gruppo portava invece un abito nero con un velo semitrasparente dello stesso colore sul viso ed adornato con quelle che sembravano ossa (alcuni bambini cercarono le proprie mamme tra la gente), il terzo della combriccola era il più robusto e vestiva un corpetto di cuoio borchiato con parabraccia e gambali dello stesso materiale e sotto queste protezioni aveva un vestito rosso sangue. Una spada gli pendeva nel fodero sul fianco della cintura.
Si portarono al centro della piazza, quello di loro che suonava posò il tamburo per terra ed iniziò a rovistare nella sacca che aveva a tracolla, tirandone fuori un piccolo violino ed un archetto. Con tutta la calma del mondo, la donna si mise alla sua sinistra e l'uomo con il corpetto alla sua destra.
Ormai tutti gli spettatori erano in silenzio perfetto, alcuni trattenevano persino il fiato.
Il menestrello con il violino si assicurò che tutti gli stessero prestando attenzione, poi disse:
"Mie signore e miei signori: in questa santa notte di Litha, nella notte più breve di tutto l'anno, nel momento del trionfo della luce, noi vi porteremo via da qui".
L'attenzione della folla crebbe.
"Noi vi porteremo oltre le montagne!" affermò il menestrello alzando la sua voce di parecchie ottave.
Un mormorio serpeggiò tra la gente: andare oltre le montagne? Era impossibile, tutti lo sapevano. Persino il mercante ci riusciva solo pagando profumatamente i suoi rarissimi colleghi di razza elfica ma nessuno aveva mai visto un elfo da quelle parti.
"Oggi noi vi canteremo la storia di un antico eroe che viveva al di là delle montagne ma vi canteremo anche della forza alla quale nemmeno lui seppe dire di no. Signori mettetevi comodi perchè il viaggio sta per avere inizio".
Il menestrello accordò il violino, le persone si disposero a cerchio attorno agli artisti, chi era nelle prime fila si mise seduto per terra ed i padri misero i figli piccoli sulle spalle. Le coppie si strinsero e gli amici si radunarono per poterne parlare subito dopo.
Il menestrello iniziò a suonare il violino con un ritmo forte veloce, deciso.
Dopo poco iniziò anche a cantare:
"Nera falce, regina del pianto". La donna fece un passo avanti.
Il canto continuò: "Campione di Iaboth, flagello della battaglia". L'uomo vestito di rosso fece un passo avanti.
La musica continuò. L'uomo con il corpetto guardò la donna e cantò a sua volta: "Non è il mio momento"
La donna senza espressione cantò: "Si fà a modo mio. Lotteranno un'aquila e un falco: voleranno all'alba per noi. Si vedrà chi vola più in alto: se la mia aquila vince ti avrò!".
Ci fu un momento solo di musica, senza parole, nel quale le persone più grandi spiegarono ai giovani chi stavano impersonando quegli attori: lui era un antico sovrano dei tempi passati, noto solo come il Re Falco, che aveva fondato un impero sotto lo stendardo di Iaboth, il dio della guerra. Lei invece era il celestiale che incarnava la Morte: un messaggero inviato da Roun, che della morte era il dio.
Poi la donna riprese a cantare: "All'orizzonte fuochi di guerra: amico, vieni con me. Cosa ti manca ormai nel mondo? Perché non vuoi venire da me? Posso portarti via nel tempo, verso altri luoghi che non sai. Strappa il mantello che mi nasconde: io sono bella, la compagna per te".
La donna alzò il velo dal proprio viso, rivelando il suo volto truccato per esaltarne la bellezza fredda ma innegabile. Diversi cuori di giovani si spezzarono: l'altarino di Roun avrebbe avuto più candele al tempietto il giorno dopo.
Allora anche il guerriero iniziò a cantare: "Donna, nelle tue ombre e nel tuo castello oro non c'è. Io ti conosco quasi da sempre e non c'è sangue dentro di te. Non voglio entrare alla tua corte, nel tuo giardino degli eroi. Decideranno l'aquila e il falco: tu puoi falciarmi, ma non ti amerò mai!"
L'imperiosità delle parole di lui suscitò un sospiro di ammirazione tra la folla. Gente semplice abituata a pregare umilmente Ashanna per i raccolti e che, se mai pronunciava una preghiera al trono di ossa di Roun, era per supplicare in ginocchio il dio di arrivare il più tardi possibile. Un villaggio di contadini non era pronto all'idea che un mortale osasse parlare in quel modo ad un celestiale, ad uno degli emissari degli Dei.
A quel punto riprese a cantare il violinista: "Stan volando l'aquila e il falco, via nel vento sempre più su: vola in alto, vola più in alto, fianco a fianco sempre di più".
Ci fu un lungo pezzo solo di musica, durante il quale il Re Falco e la celestiale iniziarono a girare lentamente in tondo uno davanti all'altro, senza mai smettere di fissarsi negli occhi come in una danza priva di amore. La donna sorrideva di un sorriso maligno mentre lui aveva un volto fiero, duro, sprezzante.
Furono i cuori di molte ragazze in quel momento a rompersi.
Poi il violinista ricominciò a cantare: "Al fin tornarono l'aquila e il falco ma nessun vento li separò. Come fratelli volano accanto e la prima stella brilla da un pò".
La celestiale ed il sovrano smisero di ballare e rimasero uno davanti all'altro finchè il sorriso di lei divenne benevolo:
"Nessuno ha vinto tra di noi. Ma le promesse io le mantengo: prendi altro tempo ..."
Si voltò lasciando le altre parole in sospeso, fece per allontanarsi e solo poi aggiunse: "... tanto sai che ti avrò!".
Il re la guardò con astio, il volto di una persona abituata alla durezza della guerra: "Donna, tenebre ed ossa: non cresce erba dietro di me ma sono il padre della mia gente, ho il cuore rosso e il sesso di un re. Non voglio perdermi in battaglia, né per veleno o carestia ..."
L'espressione di lui si fece più serena, quasi dolce: "... ma tra le braccia e il vino di donna. L'ultima donna ... poi morire per lei!".
Detto questo si voltò dalla parte opposta alla celestiale e si allontanò.
Il violinista continuò a cantare: "Vola in alto, vola più in alto: dal mare di sabbia ai ghiacci del nord. Vola in alto, vola più in alto ..."
La frase fu completata dalla celestiale, che si voltò a guardare il guerriero andarsene: "... presto o tardi ti rivedrò!".
Ci fu altra musica, mentre il guerriero si era fermato e guardava le stelle, allungando un braccio come per accogliere su di esso un invisibile falco.
La donna continuò a cantare: "Vola in alto, vola più alto: ogni donna al mondo tu avrai. Tanto sai che all'ultimo assalto è con me che tu te ne andrai!".
Ci fu un sussulto nella musica del violino, il cui suono giunse fino al cielo. Poi solo il silenzio.
La folla rimase muta: nessuno si muoveva o proferiva parola.Il violinista sorrise felice, fece un inchino ed a quel punto tutti iniziarono ad applaudire ed a urlare il loro compiacimento.
La donna si tolse completamente il velo, sorrise contenta e fece un inchino. L'espressione sull'attore che impersonava il re era cambiata radicalmente, diventando bonaria, ed anche lui si inchinò anche al pubblico, impressionando tutti per la sua capacità di cambiare il proprio atteggiamento. 
"Il mercante non potrà mai proporre niente di meglio di questo!" fece Sarita spalancando gli occhi.
Ben presto avrebbe scoperto quanto si stesse sbagliando. 

Di luce riempiròWhere stories live. Discover now