Bianchi come la vita, bianchi come la paura

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Vennero svegliati dalle urla il mattino molto presto.
Era molto strano non solo per via delle grida ma anche perché la gente dormiva sempre a lungo dopo le grandi feste come Litha.
Appena gli ultimi veli di sonno abbandonarono le loro menti si resero conto che quelle erano grida di paura mischiate a parole che non riuscivano a comprendere, forse di un'altra lingua.
Luke si precipitò in strada ancora coii mutandoni da notte e brandendo un grosso martello: la cosa più minacciosa che avesse trovato tra i suoi attrezzi da lavoro. Lawrence, vestito non molto di più dell'amico, si era messo a difesa della sua taverna con due grossi coltelli da cucina nelle mani. Sarita, in elegante vestaglia, aveva litigato per un bel pò con sua madre che non la voleva far uscire, quindi era sgattaiolata fuori dalla finestra. Sarah non aveva nemmeno chiesto il permesso ma era scappata fuori lasciandosi le urla della famiglia alle spalle, in particolare della nonna. Alexander si teneva a debita distanza dalla finestra della sua casa. Lyon arrivò per ultimo perché i suoi campi di erbe erano lontani.
In ogni caso lo spettacolo che si trovarono davanti fu lo stesso per tutti: per le vie del villaggio c'erano sei cavalieri bianchi che parlavano in una lingua sconosciuta.
I loro abiti, le armature, i cavalli e persino i finimenti di questi ultimi erano color della neve. Anche la loro pelle era candida: non della tonalità pallida dei malati ma bensì di una sfumatura simile al puro chiarore.
Si muovevano agilmente a cavallo, destreggiandosi senza difficoltà tra la gente completamente nel panico, come se i popolani fossero per loro solo una noia ed una distrazione, come se la loro attenzione fosse rivolta a ben altro. Tra loro parlavano in maniera concitata usando una lingua incomprensibile ma bellissima, tanto da sembrare il rumore dell'acqua di un ruscello che gorgogliava tra le rocce.
"Ed a giudicare dalle loro facce ora sono persino nervosi" pensò Sarita "Chissà come sarebbero le loro voci se cantassero". Si stupì molto di quel pensiero.
I cavalieri si muovevano molto ma era evidente come tutti loro si rivolgessero frequentemente allo stesso membro del proprio gruppo: l'unico di loro che non portasse né armi, né un'armatura di qualche tipo. Vestiva solo una tunica bianca ed un bastone di un legno più candido delle cime dei monti in inverno. Lyon passò in rassegna tutti gli alberi che conosceva e nessuno di essi aveva quel colore.
Alla fine fu proprio il loro presunto capo a fare un grande sospiro ed a provare a dire qualcosa alla folla dei popolani, tuttavia le urla di panico sovrastarono la sua voce. Egli chiuse gli occhi irritato, contrasse per un attimo i muscoli del suo volto e poi urlò: "Fate silenzio!".
Il suono della sua voce probabilmente venne udito distintamente fin nelle cantine più profonde delle case più lontane del villaggio, oltrepassando qualunque pesante porta di legno massiccio ed oltre ogni muro di mattoni.
Immediatamente la folla si ammutolì: avevano ben inteso il senso di quelle parole anche perché aveva usato la lingua comune del posto, sebbene con un accento esotico.
Fu Luke il primo a notare come i cavalieri bianchi fossero completamente privi di barba o baffi: sui loro volti non vi erano segni di peluria o ricrescita, persino le loro sopracciglia erano appena visibili. Erano tutti biondi come l'oro e con gli occhi azzurri della stessa tonalità del cielo. Due donne nel loro gruppo però facevano eccezione per motivi opposti: una era ancora più bionda degli altri ed i suoi lunghissimi capelli sembravano davvero risplendere come raggi di sole, l'altra aveva una chioma corvina come la notte. 
Fu Alexander, appena sceso anche lui in strada, a dire: "Sono elfi: elfi bianchi, per la precisione. Ho letto di loro nei libri".
Il capo dei cavalieri iniziò a parlare alla folla col suo strano accento: "Abbiamo deviato di molto il nostro viaggio per arrivare qui e non abbiamo tempo da perdere. Devo parlare con chi comanda e devo farlo adesso".
Il borgomastro si fece avanti, cercando in ogni modo di darsi un tono pur essendo evidentemente spaventato: sapeva bene come rapportarsi con il capo di un villaggio più grande o con un mercante più ricco o con un latifondista che possedesse più terre ma quegli stranieri erano qualcosa di totalmente nuovo. Ormai era chiaro più o meno a tutti che non fossero esseri umani.
Luke pensò che la cosa più strana di tutto fosse come il cielo avesse il solito bellissimo colore blu cobalto e come dai prati venisse il solito meraviglioso profumo della natura in estate ... ma che il resto fosse tutto sbagliato: elfi bianchi al villaggio! Probabilmente non era mai successo nella storia!
"Sono io il capo di questa comunità" disse il borgomastro "Siete i benvenuti, se non portate guai con voi. Noi siamo gente pacifica e non vogliamo recare offese a nessuno".
Gli elfi lo guardarono con un misto di sufficienza e di noia tremenda.
"I guai sono già tra di voi: sappiamo che alcune persone di questo villaggio, o comunque persone che erano qui ieri notte, hanno fatto un incontro molto strano prima del sorgere del Sole. Dobbiamo subito parlare con loro".
Un rivolo di sudore freddo cominciò a scorrere lungo la schiena di Sarita.
"Mio signore, se poteste essere più chiaro ... qui molte persone hanno fatto incontri con altra gente ieri notte" fece il borgomastro in evidente confusione.
L'elfo si rivolse a tutta la folla con un'espressione talmente seria e determinata che avrebbe potuto usarla per tagliare in due una roccia: "Ieri sera qui qualcuno è venuto in contatto con una ... creatura. Probabilmente detta creatura è apparsa come un bardo dall'ironia disturbante o un giullare inquietante o un prestigiatore da quattro soldi ma stranamente abile. Vestiva quasi sicuramente di bianco e nero. Di sicuro aveva con sé un mazzo di carte e lo ha fatto usare a più di una persona".
Nella folla nessuno disse niente. I loro occhi lasciavano capire come stessero ancora cercando di capire se fosse tutto un sogno.
L'elfo sbatté il suo bastone per terra ed immediatamente il rumore di un tuono scosse l'aria, nonostante non ci fosse nessun lampo nel cielo limpido: sembrò provenire da molto lontano eppure l'onda d'urto spazzò le vie del villaggio come se la folgore fosse caduta in quel punto esatto, sollevando la polvere dal suolo ed i vestiti dalle persone.
Persino i giovani più coraggiosi fecero diversi passi indietro.
"Non ho tempo da perdere! Ho i miei mezzi per scoprire chi è coinvolto ma, credetemi, tali mezzi non vi piacerebbero. Giuro su Feyth che sto dicendo tutto questo per il vostro bene e che il Gufo dell'Alba mi sia testimone".
Alexander iniziò a pensare molto rapidamente: sapeva bene che Feyth era il dio della legge, della giustizia e dell'ordine. Qualunque giuramento fatto invocando il suo nome era sacro. Il giovane aveva sempre avuto un interesse per il Gufo dell'Alba e, se non ci fosse stato il freddo signore della logica Nuvak, sicuramente sarebbe stato proprio Feyth la sua divinità. Inoltre, da tutto ciò che Alexander sapeva, gli elfi bianchi erano troppo saggi e troppo devoti alle quattro divinità del Chiarore per pronunciare un giuramento del genere a cuor leggero.
Soppesando i pro ed i contro, Il ragazzo alzò la voce: "Io ho incontrato il giullare che voi dite".
Gli elfi si voltarono verso di lui come fossero una sola persona. Il loro capo lo squadrò da capo a piedi: "Chi c'era con te?".
Alexander rimase in silenzio.
"Non c'è tempo: portatelo qua, lo farò parlare io" disse l'elfo. Immediatamente gli altri fecero per muovere i cavalli.
"No!" urlò Sarah in preda all'agitazione.
Luke e Lawrence gettarono per terra le loro armi e si fecero avanti alzando le mani. Lyon si mise in tutta fretta accanto a loro, in atteggiamento più minaccioso che consenziente. Sarita deglutì e capì che ormai erano andati troppo oltre.
Il capo degli elfi osservò la scena, poi si rivolse al borgomastro con il tono di chi è abituato a comandare: "Ci serve la locanda. Tutta per noi. Ovviamente pagheremo per il disturbo".
Un'altro degli elfi, che aveva legato dietro la schiena lo spadone più grande che nel villaggio si fosse mai visto, guardò i ragazzi e disse: "Venite. Forse siamo già in ritardo".
"Per cosa?" domandò Lawrence avvicinandosi.
L'elfo non rispose.
L'interno della taverna del padre di Lawrence era foderato di legno: spessi assi provenienti da molto lontano che isolavano parecchio l'ambiente, dentro c'era quasi fresco nonostante fuori fosse piena estate. Ovviamente i posti erano tutti liberi: la gente aveva festeggiato abbastanza il giorno prima e comunque erano ancora tutti in strada dopo l'arrivo dei cavalieri.
Gli elfi entrarono e si diressero subito verso il tavolo più grande della sala. Sarah rimase sbalordita dall'eleganza dei loro movimenti: sembrava che danzassero in ogni loro gesto, eppure il loro atteggiamento era così naturale da dare la certezza che fosse un istinto innato a guidarli e non una posa artificiosa.
Si sedettero tutti sullo stesso lato lungo del tavolo e lasciarono quello opposto libero per i ragazzi. Persino l'orgoglioso Lawrence non trovò modo di opporsi all'ordine non verbale di accomodarsi il prima possibile.
"Noi siamo sei ed anche loro lo sono" disse l'elfa dai capelli più biondi degli altri, che portava sulla schiena un gigantesco scudo rettangolare "Pensi che significhi qualcosa?" chiese al loro capo.
Lui osservò gravemente i ragazzi senza cambiare la propria espressione: "Essendoci di mezzo gli effetti di quell'oggetto, ogni cosa può essere. Niente è un caso in questa faccenda ... oppure tutto lo è: in entrambi i casi, tutto può accadere".
"Il caso non è efficiente: solo rare volte porta a buoni risultati" disse Alexander con quello sguardo che aveva quando era fiero della propria cultura.
Il capo degli elfi lo fissò come avrebbe fissato un bambino: "Il caso è l'insieme delle infinite possibilità e quindi in esso ci sono contemporaneamente le possibilità efficienti tanto quanto quelle inefficienti".
Prima che Alexander potesse ribattere (aveva tutta l'aria di volerlo fare) la madre di Lawrence si avvicinò al tavolo e, con voce serena ma serissima, chiese: "Che cosa prendono i signori?".
Gli elfi la fissarono come se quella donna avesse appena detto che, fuori della taverna, era apparso il dio della guerra Iaboth a cavallo di un drago d'acciaio.
Lawrence invece conosceva bene sua madre e sapeva il perché di quel suo atteggiamento: era il tentativo di trasformare un evento imprevisto e potenzialmente pericoloso in qualcosa che lei conosceva, che la tranquillizzasse e la rendesse serena. Lawrence decise anche che, se gli elfi avessero sputato su quel tentativo di sua madre di cercare un po' di rassicurazione, lui sarebbe saltato alla gola del più vicino di loro.
Sul volto dell'elfo dal lungo bastone si dipinse un'espressione divertita e, forse, anche in parte comprensiva: "Ma certo, signora. Ci porti qualche caraffa di vino bianco, purchè sia frizzante e fresco. Anche se capisco che con la stagione non è facile ..."
"Non hanno le ghiacciaie in questo luogo dimenticato da Agaliel?" sbottò l'elfo con il grande spadone.
Il suo capo lo freddò con lo sguardo continuando a parlare con l'ostessa: "E porti anche pollo, vitello e tacchino per tutti, insomma carne non grassa. Dovremo essere in forze ma leggeri: ci aspetta un lungo viaggio".
"Ci aspetta cosa?" disse Luke più stupito che preoccupato.
Anche lo sguardo della madre di Lawrence era nervoso ma si mise subito ad eseguire la comanda. Era quello il modo di fare che conosceva.
"Signori" fece Sarita col tono di voce che aveva quando cercava di essere decisa e diplomatica allo stesso tempo "Credo che adesso dovreste dirci cosa volete da noi. Ritengo che voi sappiate, o crediate di sapere, qualcosa di importante che ci riguarda. Ebbene ditecelo, altrimenti non credo che la conversazione possa proseguire".
Il capo degli elfi si carezzò il mento glabro: in una fiaba antica, raccontata attorno ad un fuoco, sarebbe stato il vecchio mago che si massaggiava la lunga candida barba.
"Avete ragione, dovete sapere" il suo sguardo divenne più severo, il colore dei suoi occhi parve scurirsi ma soprattutto l'atmosfera stessa nella stanza divenne più tetra, come se la luce facesse più fatica ad entrare dalle finestre.
"Sappiate però che sono in ballo le vostre stesse vite e forse, peggio ancora, l'immortalità delle vostre anime. Morire è brutto ma un'eternità di tormenti è anche peggio".
Quelle parole colsero nel segno: forse era anche merito dell'atmosfera che si era diffusa nel luogo ma di certo adesso tutti i ragazzi pendevano dalle sue labbra.
"Raccontatemi cosa è successo la scorsa notte. Alla fine vi prometto che vi spiegherò tutto ma prima dovete stare attenti a non tralasciare neanche il più piccolo particolare".
Il racconto andò avanti a lungo: i ragazzi si interruppero a vicenda molte volte ed aggiunsero ogni sorta di dettaglio che saltasse loro in mente. Alcune cose suscitarono un sorrisino di scherno sui visi degli elfi, altre vennero accolti con preoccupazione. Solo il capo era sempre impassibile.
Durante il racconto arrivò il vino: gli elfi bevvero pacatamente mentre divenne presto evidente che i ragazzi cercassero nell'alcool un modo per darsi coraggio, in barba al fatto che fosse solo mattina.
Quando il racconto terminò, l'elfo dal bastone bianco sospirò. I ragazzi non lo avrebbero mai ammesso ma lo guardarono tutti come degli imputati avrebbero guardato il giudice subito prima della sentenza.
"Si è realizzata quindi la peggiore delle mie ipotesi: Il Mazzo degli Arcani delle Meraviglie è stato usato di nuovo".
Sugli altri elfi calò un silenzio teso.
Lyon alzò la voce: "Per noi tutto questo discorso equivale a dire che lo gnomo Gingisik ha pisciato in testa ad un vampiro". Non aveva mai retto bene a quel tipo di tensione:
"Quindi vedete di spiegarvi meglio e lasciate stare i paroloni".
Gli elfi si guardarono tra loro, stupiti di tanta sfrontatezza, mentre Sarah si allungava verso Luke domandando "Ma chi è lo gnomo Gingisik?".
Il capo degli elfi bianchi prese un sorso di vino e disse: "Il mio nome è Atanvarno: ritengo giusto presentarmi a questo punto. I miei amici vi riveleranno il proprio nome a tempo debito. Non c'è un modo semplice di spiegarvi quello che vi è successo quindi sarò diretto: sapete cos'è un demone?".
Lyon rispose con un sussurro fievole: "Certo ..."
"E ne avete paura ?" continuò Atanvarno.
"Si ..." fece il ragazzo a voce ancora più bassa.
"Credimi: non ne avete abbastanza" concluse l'elfo.

Di luce riempiròWhere stories live. Discover now