59. Bambola rotta (parte due)

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Nel pomeriggio, mi occorre quasi un'ora di allenamento HIT seguendo un video su YouTube per riuscire a scaricare la tensione come si deve. La mia stanza è diventata la mia palestra, nelle cuffie la musica a palla mi aiuta a distrarmi e a isolarmi da tutto il resto.

«Se lo vorrai, questa famiglia potrà diventare anche la tua.»

Con il fiato corto e il corpo madido di sudore, mi fermo nel bel mezzo della stanza al termine di un circuito devastante. Il cuore batte a mille mentre annaspo alla ricerca d'aria. Afferro un asciugamano e mi asciugo il sudore del viso e del collo. Apro la finestra per fare abbassare la temperatura di questo inferno di stanza. L'aria gelida di fuori mi ghiaccia le guance accaldate, il sole sta ormai depositandosi in vista della sera. Sfilo le cuffie e le lancio sul letto distrattamente.

Oggi ho davvero spinto tantissimo nell'allenamento: non c'è un muscolo che non tremi dallo sforzo immane e mi godo l'endorfina nelle vene come fosse droga.

Una volta, al Cage, sentì dire ad un orfano più grande di me che nulla era meglio dell'allenamento e del sesso per stimolare il corpo e la mente. Aveva ragione lui, anche se all'epoca non avevo appreso appieno quelle parole.

Dopo aver ingurgitato un litro d'acqua fresca, mi sento nuovamente ritemprato e pronto a riprendere. Faccio per infilare le cuffie, ma il mio cellulare squilla prima che riesca a farlo. Borbottando improperi di fastidio, rispondo senza nemmeno vedere chi è. Dall'altra parte, un silenzio tombale mi spinge a credere ad una qualche specie di scherzo telefonico da idioti. Mi innervosisco precocemente, gettando l'asciugamano sulla scrivania con un gesto iracondo.

«Pronto?», ripeto per la seconda volta, ma adesso mi pare quasi di sentire un sibilo lontano – forse un respiro rauco, flebile.

«D'accordo» sbotto, «riattacco.»

«Curt?».

Mi faccio attento, riconoscendo immediatamente la voce di Duke dall'altra parte.

«Sono Duke» fa, col tono talmente basso e lontano da portarmi a credere che stia parlando dall'oltretomba.

«Questo l'ho capito» ribatto, «che c'è Duke? Ti serve qualcosa?».

Trattengo uno sbuffo, cercando di mostrarmi paziente. Lui, dall'altra parte, sospira fragorosamente prima di decidersi a parlare – quasi un'eternità dopo.

«Hai parlato con Sally? Come sta?» mi interroga alla fine, forse controvoglia, forse gli interessa davvero. Quel che è certo è che la sua voce è talmente forzata da sembrare sul punto di spegnersi dalla fiacchezza.

«Quando l'ho riaccompagnata a casa, stava una meraviglia. Penso sia tutto passato Duke, non ti preoccupare», anche se, questo tutto, ancora non ho neanche capito a cosa si riferisca. Lui sospira di nuovo in tutta risposta, forse dal sollievo, forse no.

«Sally l'ha fatta apposta» se ne esce alla fine, «ha reagito in quel modo, perché ha qualcosa da nascondere.»

Mi gratto la testa, i capelli umidi di sudore mi bagnano i polpastrelli mentre mi appoggio al bordo della scrivania con aria annoiata.

Che Sally non mi piaccia non è un mistero. Ma quello che penso io non ha niente a che vedere con quello che è successo tra lei e Duke. Quest'ultimo è andato troppo oltre – ha spiato il cellulare di Abby e le ha rivolto un'accusa bella e buona! – benché questo non giustifichi affatto una reazione del genere. Insomma: non l'ha sfiorata nemmeno con un dito, eppure è sembrato le fosse crollato il mondo addosso.

«Dovresti finirla con questa storia del cellulare di Abby. Buttalo via, Duke, ascolta questo consiglio», da amico? Questo io non lo so, ma non serve interrogarsi su un dettaglio così irrilevante. Sto già perdendo abbastanza tempo, l'endorfina post allenamento sta svanendo e il corpo comincia a indebolirsi dalla fatica.

SILENT LOVEWhere stories live. Discover now