42. Una tortura

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La mente umana è il rifugio perfetto per il groviglio di ombre di costoro che sono abituati ad abitare nel buio.

Mae

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Mae


Il mattino dopo, ogni muscolo del mio corpo è invaso da un caldo e pesante torpore a cui non riesco a dare un nome.

Sbadiglio piano, socchiudendo prima un occhio e poi l'altro. La camera nella quale mi trovo è immersa ancora nella semioscurità creata dal lume sulla scrivania, che dev'essere rimasto acceso per tutta la notte.

Mi guardo attorno senza visualizzare niente in particolare. Sono sola.

Le pesanti e morbide coperte del letto nel quale ho dormito cominciano a divenire d'un tratto troppo opprimenti e calde per i miei gusti. Mi muovo oziosamente al di sotto, biasimandomi per essermi addormentata con i vestiti di ieri sera ancora indosso.

Struscio la guancia sul cuscino, un odore che non mi è nuovo si infila nelle narici ed io me ne inebrio avidamente senza un perché. Muschio bianco.

Resto ancora un po' in quella posizione – la guancia schiacciata contro il morbido cuscino e le coperte bollenti che mi avvolgono. Mi sento talmente rilassata che cedo nuovamente ad un sonno leggero, ma angoscioso.

Sogno un uomo. Possiede occhi piccoli e scavati e labbra sottili piegate in un sorriso tirato e gelido. Il suo sguardo è severo, crudele. È stempiato, ma ha un po' di peluria castana attorno alla bocca.

Mi sta guardando. Ed io guardo lui.

Indietreggio senza rendermene conto, i miei talloni cozzano contro il battiscopa dietro di me. Non so dove rifugiarmi, ma so che il suo sguardo addosso mi fa paura. Non mi piace il modo in cui mi osserva, non mi piacciono i suoi occhi. Dove li ho già visti?

Distolgo lo sguardo, l'uomo sparisce. Mi guardo attorno e mi accorgo solo ora che sono a casa. Il corridoio del piano di sopra è buio, sono di nuovo in attesa. Di cosa?

Non lo so ancora.

La mamma compare all'improvviso davanti a me. Sembra stanca, si mantiene a stento in piedi. Osservo il suo volto inorridita, un livido violaceo le tinge uno zigomo come una chiazza d'inchiostro su un foglio bianco. Quando i suoi occhi vitrei incrociano i miei, però, mi sorride con dolcezza come se nulla fosse.

«Chi era quell'uomo, mamma?» le chiedo, indicando con l'indice un punto dietro di lei che adesso è vuoto.

La mamma si gira confusa verso quella direzione, ma ovviamente lui non c'è più adesso, perciò non vede nessuno.

«Di chi parli, tesoro?» ribatte, dandomi ancora le spalle. Quindi torna a guardarmi e sorride apprensiva ancora una volta. «Qui non c'è nessuno.»

Non più, in effetti. Ma prima? Fino a un attimo fa, lui c'era. L'ho visto, quell'uomo mi ha guardata ed io ho avuto paura. Dov'è andato adesso?

SILENT LOVEWhere stories live. Discover now