CAPITOLO 83: CREPE IMPREZIOSITE DA LORO

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"La zoccola senza un braccio ce la ritroviamo in gara?"

"C'è da scommetterci. Lei e quell'atro drogato che la allena."

"Non poteva iscriversi alle gare per i disabili come lei, senza venire a cagare il cazzo a noi?"

"Già. Fanno le gare tra monchi dove ognuno vince qualcosa, e ancora sentono il bisogno di prendere anche i nostri premi."

"Vabbeh, tanto in campo gara il coglione non entra. Le facciamo passare noi le sue arie da primadonna appena lui la perde di vista."

Zanna avrebbe voluto alzarsi e insultarle.

L'aveva vista tutto il Piancavallo, volare alta sul park.

La voce si era sparsa.

Era completa, veloce in discesa, rapida tra le porte e discreta ormai anche nei salti.

La temevano e la disprezzavano per questo.

Però non poteva proteggerla da loro.

Bebe lo raggiunse, asciugandosi le mani umide sulla tuta.

"Tutto bene amore?"

"Sì, andiamo."

Ieri sera tornati a casa, era scoppiata a piangere.

Senza un motivo, tremando come un fuscello.

L'aveva abbracciata e stretta, ma non le aveva parlato.

Si era messa a letto per stanchezza, rigirandosi tra gli incubi tutta la notte.

Pressione forse.

Ma c'era qualcosa.

Qualcosa che sentiva a pelle.

Qualcosa di non detto, sospeso lì, nell'aria.

Sopra di loro, o forse, tra di loro.

L'amava, ma per un attimo lo colse il dubbio che questo non bastasse, o non sarebbe stato per sempre.

Era forte, talentuosa.

Ma, se avesse mollato di testa, tutto sarebbe crollato a catena.

E poi quel gruppo di stronzi odiosi.

C'erano due Piancavallo.

Una di persone umili, che salutavi a bordo pista e un secondo dopo ci facevi festa insieme.

E una casta ristretta che, perché aveva investito qualche soldo in più, pensava di essersene comprata un pezzo e che gli appartenesse in utilizzo esclusivo.

Avevano provato a buttarli fuori, a escluderli dalle gare.

E insieme loro erano rimasti dentro, si erano piazzati, e andavano avanti da soli, contro tutto e tutti.

Zanna l'abbracciò.

D'istinto, non trovando di meglio, spiazzandola.

"Tutto bene, amore?"

"Sì!"

"E questo abbraccio?"

"Solo per non farti dimenticare che ti amo."

Bebe sorrise, felice.

Era bella.

La baciò, tenero.

Lei rispose, dolce.

Continuarono a sciare.

Erano pronti.

"Amore, cosa dici se domani sera dormiamo in albergo? Sauna in spa, cena e notte di coccole. Abbiamo ancora i biglietti del Butti da sfruttare."

"Vero! Sì, dai amore! Ce lo meritiamo."

Gli appoggiò l testa sulla spalla, e chiuse gli occhi.

"Ce la facciamo amore, vero?"

Zanna non chiese cosa.

Non disse che ci avrebbero semplicemente provato.

"Certo amore. Insieme ce la facciamo."

Il kintsugi è la pratica giapponese che utilizza l'oro per riparare gli oggetti in ceramica.

Per impreziosire la loro rottura, valorizzandola.

Perché ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate unico ed ovviamente irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi.

Il tutto nasce dall'idea che dall'imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione, estetica e interiore.

Bebe non era ceramica.

Non era fragile.

E Zanna non era certo oro, questo era evidente.

Ma insieme, loro erano qualcosa di più prezioso dell'essere singoli.

Non erano oggetti pregiati, ma nemmeno inutili cumuli di cocci senza valore.

Erano qualcosa che stava unito, e, semplicemente, brillava, riflettendo nel viso la luce che portavano dentro, e, solo insieme, mostravano all'esterno.

Come una finestra sul retro che fa più luce di quella sul muro di facciata.

Bebe [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora