XCVII

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Passai gli anni successivi della mia vita a piangere. Nulla mi donava felicità: il bere non era un piacere, il sesso era un passatempo da cui non ricavavo nulla, il ridere e il sorridere sembravano ricordi. Ero seduta sulla panchina fuori dal locale dove lavoravo. Erano le quattro del mattino, un caldo asfissiante riempiva le vie notturne del centro di New York. Mi sentivo male, come ogni volta che finivo il turno di lavoro: ero una stripper dato che sedurre era l'unica cosa che mi riusciva bene, e mi servivano soldi per vivere su Midgard, ma ogni sera mi sembrava di mercificare il mio corpo e di ridicolizzarmi davanti un'intera platea di sguardi bramosi e viscidi. Stavo cercando la forza per alzarmi e per raggiungere la mia macchina, ma ero stanca, tanto che mi sarei volentieri addormentata su quella panchina. Diedi un'occhiata al cellulare e vidi una chiamata persa da Isbrann intorno a mezzanotte, ma ormai non potevo richiamarlo essendo troppo tardi. Mi fermai a guardare lo sfondo del telefono e sorrisi. Qualcuno si sedette vicino a me, ma non mi scomposi: se avesse provato a toccarmi lo avrei potuto uccidere in pochi secondi e sarebbe stata legittima difesa. 

-Ti ho vista ballare. Su quel cubo sembri davvero contenta, invece qui tutto mi fa credere il contrario. 

Guardai la strada davanti a me e sospirai. 

-Sono i trucchi del mestiere. 

-Sono i tuoi bambini quelli? 

Abbassai il capo sul cellulare. 

-Sì...vorrei che potessero essere orgogliosi di me e rispondere sinceramente quando gli viene chiesto che lavoro faccio. Dicono in giro che sono un'avvocatessa...un impiego decisamente più nobile rispetto alla cubista.

-Non hanno un padre che può aiutarti? 

Sorrisi e scossi il capo. 

-È morto ancora prima che la piccola nascesse. 

-Mi dispiace, sono stato privo di tatto. 

-Non preoccuparti. È la verità, non posso renderla migliore. 

-Capisco...sei riuscita ad andare avanti? 

-Non proprio. Lo amavo davvero tanto e mi sembra di aver sprecato il tempo che avevamo a disposizione...

-Probabilmente lui vorrebbe che lo facessi. 

La sua voce cambiò. Rimasi immobile quando la riconobbi. Sentivo il battito del mio cuore nelle orecchie, il torace pesante, gli occhi gonfi. L'uomo intrecciò le sue dita tra le mie e strinse la mia mano con forza. Lo guardai negli occhi e il cuore mi si fermò. Scossi il capo e aprii le labbra. Le lacrime iniziarono a versarsi sulle mie guance. Sorrise malinconico. 

-Aura, sono qui. 

Lasciai la sua mano e mi sfregai gli occhi. Non era la prima volta che distorcevo la verità e mi creavo nella mente scenari impossibili, ero stata anche in terapia per questo, ma sta volta la visione sembrava più che reale. 

-No, tu sei morto...la nave è esplosa- 

Singhiozzai e chiusi gli occhi. Ero spaventata, forse quell'apparizione significava che il mio momento era giunto. 

-Sono morto, hai ragione. 

Lo guardai con il viso ricolmo di lacrime e un nodo che chiudeva la mia gola. Boccheggiavo perché non riuscivo nemmeno a respirare. Il suo viso pallido sembrava leggermente diverso, era stanco e sporco, coi capelli corti e arruffati, vestito da banchiere, rughe sul volto. 

-Sei uno spirito? 

Scosse il capo, poi mi abbracciò. Scoppiai a piangere e lo strinsi a me. Quello non era Loki, ma le sue fattezze erano identiche a quelle dell'amore della mia vita. 

La Regina degli déiWhere stories live. Discover now