Capitolo 12

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"Ci sarà sempre qualcuno che
non comprenderà una tua scelta.
Ma si sceglie per proseguire,
non per essere compresi."
JOËL DICKER

Non ne posso più dei suoi assurdi sbalzi di umore, forse è meglio che ognuno prenda la sua strada prima di farci male.
Mi butto in doccia lasciando fuoriuscire lacrime salate ricolme di una forte delusione, le osservo scorrere insieme all'acqua bollente e cadere sul fondo.
Chiudo gli occhi lasciando che il ricordo delle sue mani grandi su di me prenda il sopravvento e mi trascini in un inferno senza fine, bruciandomi il cuore e la pelle.
Mi vesto, accendo una sigaretta e mando un messaggio al mio tatuatore dandogli appuntamento al suo studio.
Salgo in macchina e, percorrendo un breve tragitto, lo raggiungo.

Gianluigi, il mio tatuatore, nonchè il mio migliore amico è la persona più strana e allo stesso tempo più dolce che potessi mai conoscere.
Ha sempre avuto la passione dei tatuaggi e da quando aveva 16 anni ha iniziato a rendere il suo corpo una vera e propria opera d'arte.
Disegni tribali e dai vari significati colorano la sua pelle rendendolo un quadro vivente.
Indossa un piercing alla base del collo, uno sulla lingua e un altro sul sopracciglio.
Condividiamo da anni la stessa passione per queste forme d'arte.
L'ho sempre ammirato per aver trasformato il suo desiderio in un vero e proprio lavoro.
«Giaan!» grido quel nome in preda ad una felicità strana, di quelle che si provano nel tornare a casa.
Casa può avere vari significati: casa è un'abitazione, casa è una città, casa è una persona.

Corro nella sua direzione e lo abbraccio, lo stritolo tra le mie braccia beandomi del suo odore che mi è mancato più dell'aria.
«Ehi bellissima» ricambia quella stretta carica di amore e amicizia mentre uno strano luccichio gli attraversa gli occhi.
«Come te la passi?
Ti vedo un po' sconvolta» mi osserva, conoscendomi fin troppo bene per credere ad una bugia.
«E' così complicato...non sto bene. Odio il paese in cui mi trovo, odio persino la gente che lo abita. Ma si, va tutto bene» tento di affogare quelle parole in una risata nervosa, fallendo miseramente.

«Allora, cosa vogliamo dipingere su questo bel corpicino?» mi porge la mano, aiutandomi a distendermi sul lettino dal colore bluastro.
«Ho in mente di fare un tribale che parte dal piede destro e si smorza sulla spalla sinistra, riempiendo la schiena» esclamo in preda all'euforia.
«Wow, hai scelto un lavoro semplice.
Lo sai che ci vorranno una marea di sedute, vero?» strizza l'occhio, prendendo tutto il necessario per iniziare.
«Si lo so, ma ho intenzione di passare qui quasi tutti i weekend perciò il tempo non mancherà» accendo una sigaretta sotto il suo sguardo contrariato.
«Bene, allora iniziamo con lo stencil» poggia quella specie di foglio sulla mia pelle, premendo per far in modo che il disegno si imprima su di essa.
Un brivido gelido percorre la mia spina dorsale appena le sue mani fredde si posano sulla mia pelle candida.
Poggia l'ago sul mio piede, iniziando pian piano a dar vita al disegno contornando le varie linee e sfumandole alla perfezione.
Un dolore lancinante mi obbliga a stringere i denti mentre il mio amico mi intima di restare ferma.
Dovevo dar retta a tutte quelle persone che dicevano che i piedi sono il punto più doloroso in cui tatuarsi, ma ahimè seguire consigli non è nel mio stile.

«Cosa ti ha spinto a fare questo tatuaggio?» alza leggermente la testa, incastrando i suoi occhi nei miei in attesa di una risposta.
«Non so, ho bisogno di un grande cambiamento e cosa c'è di meglio di un tatuaggio?»

Le successive sei ore passano inesorabilmente lente, ormai il mio corpo è arrivato al limite della sopportazione.
Mi è mancato così tanto averlo accanto, parlare con lui e sentirmi un pò meno sola al mondo.
«Bene, mi raccomando lavalo con cura e cerca di tenere la pellicola, almeno durante la notte.
La settimana prossima continuiamo quest'opera d'arte.
Ora andiamo a farci un drink, ne ho proprio bisogno» sorride, riscuotendomi dai miei pensieri.
Credo mi abbia presa per pazza appena si è reso conto che lo stavo fissando imbambolata.

Raggiungiamo il bar accanto allo studio di tatuaggi, il locale in cui ho passato gran parte della mia vita.
«Cazzo, non ci posso credere!
Miriam ha fatto l'onore di venirci a trovare» esordisce Mattia allargando le braccia nella mia direzione, seguito a ruota da tutta la combriccola composta da quegli invasati dei miei amici.
Vorrei tornare qui, tra la gente che fa parte della mia vita rendendola bella e unica.
La serata si svolge nel migliore dei modi, composta rigorosamente da alcool e risate a crepapelle, un senso di leggerezza mi avvolge in mezzo a tutte queste persone che sono ormai parte integrante di me.

Ad un certo punto il mio sguardo si posa sull'entrata del bar, mi soffermo a guardare una ragazza dai capelli biondo platino entrare seguita da un bellissimo ragazzo.
Si avvicinano con lente falcate al bancone, chiacchierando e scambiandosi effusioni alquanto esplicite senza preoccuparsi di essere in un luogo pubblico.
Soltanto quando si trovano a pochi metri da me riesco a scorgere la sua figura.
E' Axel e tutto ciò mi sembra davvero surreale.
Possibile che non riesca a godermi una serata senza che arrivi lui a rovinarla?
Non ci posso credere.
Che uomo di merda.
«Gian, andiamo a casa mia, dove cazzo ti pare, basta che mi porti lontano da questo coglione» indico Axel con un cenno del capo, implorando il mio migliore amico affinchè mi porti via da lui.
I due si rivolgono un'occhiataccia carica di odio e Gianluigi, tenendo lo sguardo fisso su di lui, mi conduce fuori dal locale.

«Chi era quello?» chiede, accendendo una Marlboro rossa.
«Solo un coglione che viene nella mia scuola e che ha avuto la brillante idea di venirmi a rompere le palle anche qui a Milano» l'alcool parla al mio posto ormai.
Sono così delusa e così arrabbiata.
«Joint a casa tua?» posa un braccio sulla mia spalla, facendomi strada verso la sua macchina.
«Ottima idea. Mai abbandonare le tradizioni» caccio un urletto, vergognandomi subito dopo.
«Meeet» sento biascicare alle mie spalle.
È Axel, è indubbiamente ubriaco e sta correndo verso di me.
Peccato che stavolta sono ubriaca anche io e ne ho le palle piene di lui e della sua bipolarità.
Rafforzo la presa sulla vita di Gianluigi e corro via da lì senza dargli il tempo di raggiungermi.

L'inferno in noiWhere stories live. Discover now