Capitolo 9

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"Il segreto per andare avanti
è iniziare"
MARK TWAIN

Sono talmente ubriaca che rientrando a casa sbatto contro ogni ostacolo possibile.
Mia madre, rientrata prima del previsto da Milano, sentendo tutti quei rumori si precipita in cucina e vedendomi in quello stato comincia a gridarmi contro.
Non riesco a focalizzarmi sul suono della sua voce, un forte mal di testa mi impedisce persino di tenere gli occhi aperti.

Sento i suoi urli riempire la stanza, mi è difficile persino comprendere che cosa stia blaterando.
«Non puoi rovinarti la vita solo perché tuo padre non è più tra noi» singhiozza, portandosi le mani sul viso.
Quelle parole mi spezzano il cuore e comincio a piangere a dirotto buttandomi tra le sue braccia.
Ci addormentiamo tutte e due sul divano tra lacrime e singhiozzi.

Mi sveglio all'improvviso sognando di nuovo quegli occhioni azzurri che mi fissano.
Sobbalzo sul divano e noto che sono solo le 6 di mattina.
Corro in bagno in preda ai conati di vomito e quando mezz'ora dopo mi guardo allo specchio ho un aspetto orribile.
Gli occhi gonfissimi e le occhiaie abnormi fanno da contorno a un viso che non riesco nemmeno più a riconoscere.
Che cosa mi sta succedendo?
Possibile che il dolore stia vincendo così su di me?

Faccio una doccia bollente e con l'acqua calda lascio scorrere anche i cattivi pensieri.
Vorrei poter dire di sentirmi meglio, ma non è affatto così.
Preparo un caffè e cerco di ricordare qualche frammento della sera prima.
Accendo il telefono che inizia subito a squillare ripetutamente segnalando l'arrivo di varie notifiche, tutte di Axel.
Clicco 'cancella' e mi ripeto che è meglio così.

Cerco il numero di Andrea per ringraziarlo di essere stato il mio compagno di bevute ieri sera ma mi rendo conto di non averlo salvato in rubrica.
Il telefono comincia a vibrare nelle mie mani e appena rispondo la voce raggiante di Carla irradia il mio cellulare.
«Buongiorno Emme!
Tra dieci minuti sono sotto casa tua!» grida e riattacca la chiamata.
Bene, ho soltanto dieci minuti per rendermi decente.

Metto un po' di eye-liner, mi cospargo letteralmente di correttore cercando di coprire le borse sotto gli occhi.
Indosso un top abbinato a dei pantaloni larghi, mi lavo i denti ed esco di casa.

Accendo una sigaretta aspettando Carla.
Sbuffo il fumo dal naso, chiudendo gli occhi per il forte mal di testa che sembra non voler assolutamente passare.
Poco dopo vedo arrivare la sua 500 rossa fiammante sul vialetto e prendo posto sul sedile del passeggero.
Passo tutto il viaggio verso scuola ad ascoltarla parlare di nuovi vestiti che ha ordinato su vari siti online e cerco di fingermi più interessata possibile.
A un certo punto la interrompo prendendo la parola «Voglio fare un altro tatuaggio, mi accompagni a Milano questo weekend?»
La osservo saltare sul sedile battendo le mani in preda all'eccitazione.
«Partiamo venerdì baby. Cosa hai intenzione di tatuare su quel bel corpicino?»
«Non ho ancora un'idea ben precisa. Mi fido di Gianluigi e sicuramente troveremo qualcosa di originale da stamparmi addosso»

Mando un sms al tatuatore, nonchè il mio migliore amico fin dai tempi dell'infanzia, dandogli appuntamento per il sabato.
La sua risposta non tarda ad arrivare mostrandomi una serie di emoticon che fatico a comprendere.

Arrivate a scuola cerco di non pensare al fatto che potrei incontrare Axel e appena riesco a scacciare quel pensiero...BOOM. Eccolo che appare, ancora più bello del solito.
Mi prendo qualche secondo per osservarlo meglio.
Indossa una canotta dei Boston Celtics che mette in risalto la sua muscolatura perfetta contornata da quei tatuaggi in bianco e nero che gli donano un aspetto mozzafiato.
I pantaloncini della tuta da basket mostrano un sedere perfetto e sodo.
Il mio sguardo cade lì, proprio in mezzo alle sue gambe.
Arrossisco al pensiero di quella notte a casa mia; il ricordo della sua erezione che premeva tra le mie cosce mi provoca dei forti scossoni al basso ventre.
Deglutisco cercando di scacciare via quel pensiero lussurioso dalla mia testa. 
 
Lo vedo avvicinarsi velocemente a me, prendo Carla sottobraccio ed entro in aula senza dargli il tempo di raggiungermi.
Le ore successive passano lentamente, accompagnate dal forte mal di testa provocato dalla sbornia della sera precedente.

Axel mi sta fissando da quando è iniziata l'ora di biologia e questo non mi aiuta di certo a stare attenta alla lezione.
Finite le sei ore mi precipito fuori dalla scuola pregando che Carla si sbrighi per evitare spiacevoli incontri.
Come non detto.
Vedo Axel e Mia camminare abbracciati e appena lui mi vede scioglie l'abbraccio e mi viene incontro.

«Ciao Miriam» sento urlare quella troia di Mia in lontananza.
Neanche le rispondo.
«Possiamo parlare?» Axel mi prende per un braccio.
«Cosa non ti è chiaro della frase 'stammi lontano'?
Con me hai chiuso,stronzo!
E lasciami il braccio, cazzo» ghigno.
Cerco di liberarmi con uno strattone, mentre sento la sua presa rafforzarsi sempre di più.
Probabilmente mi lascerà il segno.
Aggancia i suoi occhi ai miei, fissandomi in totale silenzio.

Mi sento uno schifo ma non posso continuare a soffrire per una persona che non sa nemmeno cosa vuole dalla sua vita.
Finalmente riesco a liberarmi dalla sua ferrea presa e senza proferire parola mi allontano da lui.
Sento il cuore battere all'impazzata per quel contatto, batte così forte che sembra voler fuoriuscire dalla gabbia toracica.
Accendo una sigaretta e non vedendo ancora Carla me ne torno a casa a piedi.

Mi piacerebbe tanto poter capire cosa passa nella testa di Axel, ma sinceramente non riesco a capire nemmeno cosa passa nella mia.

L'inferno in noiWhere stories live. Discover now