Capitolo 1

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"Il destino è quando incontri una persona
che non stavi cercando
per poi renderti conto che
non hai mai desiderato
nient'altro di meglio al mondo"
ANTONIA GRAVINA

Odio il casino che si crea nei corridoi il primo giorno di scuola.
Mi sono trasferita da Milano quest'estate, è strano ritrovarsi in una scuola così piccola rispetto a quella che frequentavo.
Questo paesino comincia già a starmi sul cazzo.
Tutti si affrettano ad entrare in aula per affrontare l'ultimo anno di liceo.
Non conosco nessuno qui, apparte Carla, la mia migliore amica che si è trasferita con me in questo buco infernale.

Dopo il mio caffè mattutino mi guardo intorno e noto di essere in gran ritardo, tutti sono ormai entrati, così inizio a farmi velocemente strada verso l'aula.
La scuola è davvero piccola, le pareti sono di un colore verdastro; come quello che si trova sui muri degli ospedali.
Le porte di ogni aula sono di legno, rovinate e adornate con una targhetta con segnato sopra un numero e una lettera.
Manca una rampa di scale e mi ritroverò catapultata nella monotonia dell'ultimo anno, in mezzo a gente che non conosco.
Con la testa immersa in quel noioso pensiero, sento qualcuno sbattermi contro.
I miei libri volano a terra e, appena alzo lo sguardo per imprecare contro quell'imbecille che mi sta facendo perdere altro tempo, scorgo due enormi e penetranti occhi azzurri che mi fissano.
«Potresti stare più attenta, cazzo» esordisce, fulminandomi con lo sguardo.
Resto per qualche secondo imbambolata davanti alla sua perfezione, i capelli nero corvino spettinati ricadono all'indietro, indossa un giacchetto di pelle che fascia le sue braccia muscolose e degli occhiali da sole poggiati sulla fronte.
Riacquisisco la lucidità e decido di non rispondergli neanche, raccolgo i libri e continuo la mia corsa verso l'aula imprecando tra me e me.

Mi precipito all'interno e il professore mi guarda con aria circospetta.
«Buongiorno» riesco a dire e in un istante scorgo la mia amica Carla che, dal fondo, mi saluta con un po' troppa eccitazione.
«Lei deve essere la signorina Miriam» accenna lui, infilandosi gli occhiali da vista.
«Io sono in professor Matassa, insegno letteratura»
È un tipo sulla cinquantina, indossa un maglioncino blu e dei pantaloni color cachi.

Annuisco alla sua domanda, cercando con lo sguardo un posto in cui sedermi.
Quello accanto a Carla è occupato e gli unici due liberi sono in seconda fila, mi rassegno e mi accomodo.
Bell'inizio, cazzo.

Il professore continua a spiegare e qualche minuto dopo la porta si apre di scatto.
Osservo questo tizio entrare con aria spavalda, i miei occhi scivolano lentamente lungo tutta la sua figura.
L'incontro o meglio, lo scontro con lui non è stato tra i migliori della mia vita ma devo ammettere che è un bellissimo ragazzo.
Essendo l'ultimo posto libero si siede accanto a me e non appena si sfila il chiodo nero e lo poggia sulla spalliera della sedia; non riesco a non notare la sfilza di tatuaggi che gli partono dal collo e si smorzano sui suoi polsi.
Riesco a riconoscere la 'Santa Muerte'  e altri simboli della cultura messicana.
Ho sempre amato quel genere di tatuaggi, perché ognuno ripone in esso un significato diverso, particolare e molto importante.
Anche io ho qualche tattoo sparso qua e là, ma questo ragazzo sembra una vera e propria tela vivente.

«Comunque il mio nome è Axel, nel caso te lo fossi chiesto» esordisce, porgendomi la mano.
Nel momento esatto in cui si volta a guardarmi resto ipnotizzata dai lineamenti del suo viso, privi di alcun difetto.
Quei capelli neri che fanno da cornice a quegli occhi color del mare, il naso perfetto e le labbra carnose e rosee lo rendono sicuramente un buon partito per la maggior parte delle ragazze.
«Miriam» rispondo seccata, ricambiando la stretta di mano.

Dopo attimi interminabili la lezione finisce e decido di uscire fuori a fumare una sigaretta prima del cambio dell'ora.
Di sfuggita vedo Axel fare lo stesso ma cerco di non farci caso.
«Sei sempre così acida?» domanda lui, sorridendo.
L'anellino di metallo sul suo sopracciglio brilla sotto il sole di Settembre.
«Bhe, lo sono solo con chi mi scaraventa a terra e cerca anche di darmi la colpa, senza saper dire un semplice scusa» rispondo, stampando un sorriso di circostanza sul volto.
Noto che continua imperterrito a fissare il piercing sulla mia lingua e devo ammettere che è tremendamente sexy mentre mi scruta con quegli occhi blu.

«Anche tu sei amante del metallo addosso?» chiede, alquanto divertito.
Annuisco, senza dire altro.
«Stasera organizziamo una serata a casa di Andrea, mi piacerebbe averti con noi ragazza metallo» afferma sghignazzando, mentre una scintilla si fa strada in quegli occhi azzurro mare.
«Ci penserò, intanto dammi l'indirizzo» rispondo, trattenendo tra le labbra il fumo della sigaretta, per poi sbuffarlo dal naso.
Non può certo farmi male una festa e ho bisogno di conoscere qualcuno di nuovo in questo paesino dimenticato dal mondo.
«D'accordo, vengo» concludo, senza pensarci ancora.

«Mamma?» grido, aprendo la porta.
La casa che abbiamo affittato è davvero piccola, persino per due persone.
Le stanze sono poche e minuscole, il salotto è adornato con un misero divano nero in pelle e una televisione al plasma.
La cucina accoglie pochi e vecchi elettrodomestici, quattro fornelli e un piccolo frigorifero bianco.
Le stanze da letto sono due e per raggiungerle bisogna percorrere una piccola scalinata in legno che dà accesso al secondo piano.
Per me ho scelto l'unica camera con portafinestra, è leggermente più ampia rispetto a quella di mia madre, ma lei ha acconsentito subito a farla diventare mia.
Un letto a baldacchino abbastanza moderno riempie metà della stanza, affiancato da due comodini bianchi e una scrivania marrone chiaro.
Il bagno è piccolo, ma per fortuna è dotato di una vasca da bagno; non avrei mai rinunciato a un po' di relax al suo interno.

«Mamma?» ripeto, alzando di più la voce.
Deve essere ancora a lavoro, penso tra me e me.
Preparo un semplice panino con del prosciutto e comincio a tirare fuori una decina di vestiti dall'armadio per sceglierne uno per la festa.

Spero di aver fatto la scelta giusta nell'accettare quello stupido invito, non vorrei dovermene pentire.

L'inferno in noiWhere stories live. Discover now