Capitolo 67

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"Temere l'amore
è temere la vita,
e chi ha paura della vita
è già morto
per tre quarti"
BERTRAND RUSSELL

UN MESE DOPO...
Le cose procedono fin troppo bene, io e Carla stiamo organizzando il nostro desiderato viaggio in Spagna e Axel ha deciso di unirsi a noi.
Purtroppo a causa del lavoro il ragazzo di Carla non potrà esserci, ma si sono ripromessi di fare al più presto un viaggio insieme.

C'è una cosa però che mi preoccupa molto, devo parlarne urgentemente con Axel e spero che la prenderà bene.
Non so se ci sia più preoccupazione o più gioia in me.
Se fosse vero sarei la ragazza più felice del mondo, forse è troppo presto, questo sì, ma è comunque una cosa bellissima.

Non ne ho parlato ancora con nessuno, nemmeno con mia madre.
«Buongiorno mamma» entro in cucina, con gli occhi ancora appiccicati dal sonno.
Sorseggio il mio caffè e ascolto ogni sua parola, mentre gira per la stanza intenta a preparare la sua buonissima torta Sacher.
«Credi che ad Axel piacerà?» domanda, muovendosi in maniera robotica aggiungendo ingredienti nel grosso recipiente.

Il mio sguardo confuso le fa intendere che con la mente sono ancora nel mondo dei sogni.
«Credi che ad Axel piacerà questa torta?» ripete, scandendo parola per parola.
«Non ama molto i dolci, ma credo che farà un eccezione» 
«Avvisami appena sarà pronta, tanto devo raggiungerlo a casa sua» mi trascino lentamente per tutto il salotto, camminando verso il bagno intenta a fare una bella doccia.
«Non avevo dubbi» urla mia madre, ridendo.

Lascio scorrere l'acqua tiepida sul mio corpo, massaggiando con premura i capelli e canticchiando ad alta voce.
Impiego circa mezz'ora per vestirmi e truccarmi e dopo vari tentativi finalmente esco dal bagno soddisfatta.

Maledico me stessa mentre cerco disperatamente le chiavi dell'auto che appoggio ogni singola volta in un posto diverso.
«Eccovi qua» esclamo, trovandole in mezzo ai grandi cuscini del divano.
Mia madre sta riponendo la torta in uno dei tanti contenitori e, una volta sistemata accuratamente, me la porge.
«Mi raccomando, riportami il contenitore» il suo sguardo diventa severo mentre impartisce questo strano ordine.

«Si, mamma.
Sembra che ogni persona che io conosca voglia rubare i tuoi sacri contenitori.
 Ti prometto che tornerà a casa sano e salvo» la prendo in giro, sistemo la borsa in spalla e con il dolce tra le mani mi avvio alla porta.
La macchina è a dir poco bollente, si riesce a stento a tenere le mani sul volante.
Dopo essermi ustionata per bene le dita, accendo lo stereo e metto in moto l'auto.
Le strade sono quasi vuote fortunatamente, è periodo di vacanze e non c'è un'anima in giro.
Impiego solo qualche minuto per arrivare a casa di Axel e durante il tragitto ho deciso che gli parlerò oggi.
Magari la torta lo addolcirà un po'.

Busso ripetutamente e dopo qualche istante apre la porta, bello come il sole.
«Ehi piccola» sussurra, con voce assonnata.
Mi cinge in vita e mi trascina a sè rubandomi un bacio passionale.
«Questa è per te.
 Mia madre ci teneva a fartela assaggiare» affermo, porgendogli la torta.
«Ah, mi raccomando.
Non rubare il contenitore.
Mamma potrebbe ucciderti per questo» ironizzo, camminando verso la cucina.

«Più tardi la ringrazierò.
Ora voglio assaggiare un altro dolcetto, però» analizza ogni centimetro del mio corpo leccandosi morbosamente il labbro inferiore.
«Non ora.
Ho bisogno di parlarti e devo farlo mentre mangi questa benedetta torta» lo incalzo, cercando di prendere coraggio.
«C'è sempre tempo per parlare, Met» si avvicina lentamente e unisce il suo corpo al mio, premendo la sua evidente erezione sul mio punto più sensibile.

«Axel, davvero.
Dobbiamo parlare» balbetto, mentre tutte le mie convinzioni si sgretolano.
«Shht, piccola»
Comincia ad accarezzarmi, partendo dalle spalle per poi finire sul seno, che massaggia con lussuria.
Infila la sua lingua nella mia bocca e, per quanto provi a respingerlo, è più forte di me.
Mi lascio andare a quel bacio in preda a pura eccitazione.

Continua a torturarmi sfiorando con le dita ogni punto debole del mio corpo, facendomi tremare sotto al suo tocco.
Riacquisisco lucidità e con delicatezza lo spingo via da me.
«Axel, parliamo.
Puoi avermi quando e quanto vuoi.
Ma devo parlarti di una cosa importante»

Sbuffa infastidito e prende posto sullo sgabello.
«Sentiamo, cosa c'è di così importante da sapere?» domanda, aprendo il contenitore.
Prendo un lungo respiro alla ricerca del coraggio che è ormai svanito nel nulla.
«Bhe, ecco non so come la prenderai.
Non è nulla di sicuro, però è giusto che tu lo sappia»

«Mi stai facendo preoccupare.
Sputa il rospo» mi incita a parlare, inarcando un sopracciglio.
«Ecco, io...
Bhe, ho un ritardo»
E' la prima volta che pronuncio queste parole ad alta voce e il mio cuore fa una giravolta.
Lui resta in silenzio, vedo il suo sguardo indurirsi e le sue nocche diventare bianche da quanto stringe i pugni.

«Allora, non dici niente?» domando, torturandomi le dita tra loro.
Sposta i suoi occhi su di me, il suo sguardo gelido mi fa bloccare sul posto.
«Cosa cazzo stai dicendo?» grida, alzandosi velocemente dallo sgabello.
«Non è ancora sicuro.
È una cosa bella Axel.
Anzi, forse è la cosa più bella che può capitare.
Non vederla come un problema» sussurro a bassa voce, cercando di calmarlo.

«Non è un problema?!
Certo che è un fottuto problema, cazzo.
 Io non voglio un figlio da te.
Anzi, non voglio proprio un figlio.
Cosa cazzo hai nel cervello?
Come puoi pensare che sia una cosa bella?» sbraita, scaraventando a terra lo sgabello.
Provo a ribattere alle sue affermazioni ma il suo sguardo mi fulmina, mi brucia dentro come fiamme.

«Sta' zitta!
Non parlare, cazzo.
Hai sempre detto che prendevi la pillola.
Come cazzo è possibile?»
«Axel, calmati» balbetto, cercando di avvicinarmi a lui.
«Non avvicinarti, cazzo.
Vattene via.
Sparisci!» grida, continuando a distruggere la stanza intorno a sè.
La paura prende il sopravvento e sento le gambe tremare.
Prendo velocemente la borsa e corro verso la porta.

«Perché cazzo deve essere tutto così dannatamente difficile con te?
Perché?» urlo, iniziando a piangere come una bambina.
«Sparisci dalla mia vista, cazzo» lancia il contenitore nella mia direzione, lo schivo per miracolo e, guardandolo un'ultima volta, esco da lì.
Salgo velocemente in macchina e sbatto ripetutamente le mani sul volante mentre le lacrime continuano a scendere copiose sul mio viso.

Sapevo che non l'avrebbe presa bene, ma non avrei mai immaginato che reagisse così.
Mi ha trattata come una bestia, con ribrezzo, senza nemmeno provare a vedere il bello di questa situazione.
Non voglio più vederlo.
Non merito una persona così nella mia vita.
Non merito una persona incapace di affrontare i problemi senza violenza.
Ho accettato il suo disturbo, l'ho fatto mio per la maggior parte delle volte.
Io non sono uno zerbino, non può calpestarmi e distruggermi ogni volta che ne sente il bisogno.

Ha preso tutta la mia felicità accartocciandola come un foglio di carta.
Senza curarsi di me, dei miei sentimenti o delle mie preoccupazioni.
Come se fosse sempre colpa mia, come se fossi un disastro.
Guido senza riuscire a fermare le lacrime, senza riuscire a placare questa forte rabbia che sento dentro.

Mi fiondo velocemente in casa e trovo mia madre ancora in cucina.
Non le dico nulla, non riesco a parlare.
Le mani tremano e stringo i pugni cercando di fermarle.
«Cosa è successo?» domanda, avvicinandosi a me con aria preoccupata.

«Non voglio parlarne» biascico, correndo in camera mia.
È tutto così difficile, cazzo.
È tutto così dannatamente difficile.
È tutto così dannato.

L'inferno in noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora