Capitolo 68

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"Perché le paure sono tante
e il coraggio
è uno solo?"
FULVIO FIORI

Sono ore che penso alla scenata orribile di Axel e non riesco a capacitarmi di come la rabbia riesca a prendere il sopravvento su di lui in questo modo così crudele.
Prendo il cellulare e dopo averlo rigirato tra le mani per qualche minuto decido di chiamare Carla.

Si precipita a casa mia alla velocità della luce e mi incita a parlare, a raccontarle tutto quello che è successo.
So che è la mia migliore amica e in nessuna situazione mi ha mai giudicata, ma provo comunque un lieve imbarazzo nel parlarle di una cosa così intima.

«Allora?
Vuoi dirmi cosa diavolo è successo?» stringe le mie mani tra le sue e tiene fisso lo sguardo su di me.
«Ho un ritardo» dico tutto d'un fiato, guardando verso il basso.
«Che cosa?» urla, in preda allo sconcerto più totale.
I suoi occhi sono lucidi mentre mi scruta attentamente per poi stringermi in un caloroso abbraccio.
«Hai già fatto il test?» resta avvinghiata a me, rafforzando sempre di più la presa.
«No, aspettavo te per questo.
Sento di non farcela da sola»
«Hai fatto bene a chiamarmi.
Emme lo sai che per te ci sarò sempre»

L'attesa in farmacia si fa sempre più snervante e, una volta arrivato il mio turno, resto come pietrificata davanti a quest'uomo dallo sguardo severo che indossa un camice bianco.
«Avrei bisogno di un test di gravidanza.
Del più affidabile» afferma Carla al posto mio.
La ringrazio con lo sguardo per avermi evitato ulteriori imbarazzi e, una volta completato l'acquisto, corriamo verso casa.

Carla stringe tra le mani le istruzioni e legge minuziosamente ogni singola parola.
«Se sono presenti due linee vuol dire che è positivo» esclama soddisfatta, riponendo il bugiardino nella scatola.
«So come funziona un test di gravidanza» sospiro, incanalando tutta l'aria possibile.
Eseguo le istruzioni alla lettera e, una volta finito, inizio a camminare avanti e indietro per il bagno.
Bisogna aspettare all'incirca cinque minuti e sembra che il tempo si sia fermato.

Se la reazione di Axel fosse stata differente avrei sicuramente vissuto questo momento in maniera diversa.
Il cuore batte forte, troppo forte e un grosso macigno sullo stomaco mi blocca il respiro.
«Credo sia ora di controllare»
Carla poggia una mano sulla mia spalla, cercando di trasmettermi tutto il coraggio di cui ho bisogno.
«Ti prego, fallo tu» le sussurro mentre la paura inizia a prendere il sopravvento.

«Allora?» le chiedo, torturandomi le dita tra loro.
«È negativo»
Tiro un sospiro di sollievo, nonostante dentro di me un briciolo di delusione inizia a farsi strada.
È meglio così.
Axel non vuole figli e questo bambino sarebbe probabilmente cresciuto senza un padre, perciò meglio così.
Queste parole risuonano nella mia testa, come un loop infinito; come se vorticando nel mio cervello cercassero di convincermi che non c'è spazio per la delusione.

La mia amica mi abbraccia restando in silenzio.
«Stasera usciamo.
Hai bisogno di svagarti e non voglio sentire storie» posa un sonoro bacio sulla mia guancia, attendendo una risposta.
Non sono proprio dell'umore adatto per uscire e soprattutto per non pensare, ma non posso rifiutare.
Ultimamente passiamo così poco tempo insieme, l'ho trascurata così tanto per cercare di capire l'uomo che amo che ora ho solo bisogno di pensare a me stessa e alla mia fantastica migliore amica.

«D'accordo»
«Bene, alle dieci passo a prenderti.
Ti porto in un posticino da urlo» afferma, sorridendo timidamente.

Una volta sola, i pensieri cominciano a martellarmi il cervello nonostante provi con tutta me stessa a non dargliela vinta.
Non ho toccato cibo da questa mattina e, nonostante questo, non avverto per nulla la fame.
Lo stomaco è sigillato e le uniche emozioni che mi attanagliano la mente sono una rabbia e una delusione incondizionata.

Inizio a prepararmi in maniera lenta e svogliata; opto per un vestitino nero senza spalline e un tacco alto.
Provo e riprovo varie acconciature prima di trovare un look che mi soddisfi, disegno una sottile linea con l'eye-liner e pitturo le labbra con un rossetto rosso.

Spero che Carla arrivi presto perché mi sto già pentendo di aver accettato di uscire.
Sembra aver letto nella mia mente perché dopo qualche secondo la sua auto è nel mio vialetto.

«Wow, sei uno schianto» urla, vedendomi entrare nella vettura.
«Non dire cazzate» la rimbecco, accennando un timido sorriso.
Parcheggia l'auto in un grosso piazzale e indica con un dito il locale di fronte.
«È lì che andiamo»
Dalla sua voce traspare eccitazione, deve esserle piaciuto sul serio questo posto.

Mi prende sottobraccio e, insieme, facciamo il nostro ingresso nel locale.
È una sorta di pub, agghindato e decorato in maniera meticolosa ed impeccabile.
Un enorme bancone di legno mette in risalto la grande quantità di alcolici, degli sgabelli dello stesso materiale sono disposti in fila l'uno accanto all'altro e al centro della stanza si erge una sala da ballo enorme illuminata da luci di ogni colore e forma.

Camminiamo con difficoltà tra la folla e appena troviamo due sgabelli liberi ci fiondiamo su di essi.
«Salve bellezze.
Cosa posso offrirvi?» il barista poggia i gomiti sul bancone, studiandoci con attenzione.
Mi prendo qualche istante per osservarlo meglio e non posso fare a meno di notare la sua bellezza.
I capelli neri e ricci contornano un viso dalla carnagione olivastra, qualche ciuffo ricade sulla fronte creando una sorta di sipario per due enormi occhi verdi.

«Un Gin-Tonic» urla Carla cercando di sovrastare la musica alta.
«E per te, dolcezza?» incastra i suoi occhi nei miei, provocandomi un lieve imbarazzo.
«Lo stesso» sorrido timidamente, sentendo le guance andare in fiamme.
Sorride a sua volta, mostrando una dentatura perfetta ed inizia a shakerare i nostri cocktail con fare esperto.

«Ecco a voi» 
Inizio a sorseggiare pian piano il mio drink beandomi della freschezza e del sapore aspro del Gin; mi guardo attorno incuriosita finché i miei occhi si posano su di lui.
È girato di spalle ma lo riconoscerei tra mille.
Senza pensarci due volte mi alzo e con lente falcate inizio a camminare nella sua direzione.
Resto bloccata sui miei passi appena vedo la scena che mi si presenta davanti agli occhi.
La mano di Axel è poggiata sul fondoschiena di una ragazza che non riesco a riconoscere, mentre ride e scherza con Gioele ed Edoardo.

Si sono sempre odiati e mi chiedo come sia possibile che ora siano nello stesso posto senza prendersi a pugni.
Decido di affrontarlo e, una volta acquisito il coraggio necessario, mi piazzo davanti a lui fulminandolo con lo sguardo.

«Ehi, guarda chi c'è» la ragazza che ama farsi palpeggiare pronuncia quella frase con acidità e osservandola bene in volto mi accorgo che è Jasmine.
Stringo i pugni così forte da far diventare le nocche bianche e respiro ed espiro per cercare di calmarmi.

Axel si volta nella mia direzione e con nonchalance sorride, spezzandomi il cuore.
«Eccola qui!
La mamma dell'anno!» urla ridendo, in preda ai fumi dell'alcool.
Il suo sguardo di sfida mi pietrifica, mi trafigge come lame infuocate.
«Sei ubriaco» le lacrime premono per uscire fuori mentre cerco con tutta me stessa di controllarle.

«Ehi, principessa»
Edoardo mi osserva divertito, mentre la mia dignità viene fatta a pezzi sotto i loro occhi.
«Perché non ti unisci a noi?
Potremmo divertirci tutti quanti insieme» biascica Jasmine, facendo aderire ancor di più il suo corpo a quello di Axel.

«Basta, state esagerando» Gioele corre in mio aiuto, ponendosi fra me e i suoi amici, fra me ed Axel.
«Che c'è piccola?
Qui non vendono pannolini» Axel sembra un'altra persona, un cumulo di cattiveria pronta ad annientarmi.
«Emme, andiamo» Carla mi prende per un braccio tirandomi via da lì.
«Vuoi tornare a casa?» domanda, prendendomi il viso tra le mani.
«No, non voglio tornare a casa.
Voglio restare qui»
Stringo i pugni con ancora più forza e lascio che la rabbia si impossessi di me.

«Vuole la guerra?
E guerra sia»

L'inferno in noiWhere stories live. Discover now