Capitolo 69

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"Ho sceso,
dandoti il braccio,
almeno un milione di scale
e ora che non ci sei
è il vuoto
ad ogni gradino"
EUGENIO MONTALE

Una rabbia incontenibile si irradia al centro del petto, facendomi respirare a fatica.
Le mani tremano, un tremore dettato dall'odio profondo che provo in questo momento per lui.
Con due parole è riuscito a buttare all'aria tutti questi mesi, trasformandoli in cenere.

La musica alta pompa nelle orecchie mentre la mia migliore amica cerca in tutti i modi di portarmi via da lì.
Di portarmi via da lui.
«Ho detto che non voglio andarmene.
Non gli permetterò di rovinarmi la serata» urlo, sovrastando il baccano.
Ho bisogno di convincermi che il mio mondo non giri intorno a lui, che posso essere felice anche senza la sua presenza e soprattutto che non è capace di annientarmi.
Tentativo fallito.

Prendo posto sullo sgabello e attiro l'attenzione del bel barista ordinando due shottini di Vodka.
«Hai intenzione di ubriacarti?»
«E tu hai intenzione di provarci con ogni ragazza che si presenta al bancone?» in un solo sorso butto giù il liquido trasparente, il bruciore attraversa la gola per poi fermarsi alla bocca dello stomaco.

«Ecco a te il secondo» mi porge il bicchierino e alza il suo, piegando la testa di lato.
«Alla tua e a tutto ciò che ti tormenta»
«Cosa ti fa pensare che qualcosa mi tormenti?» ricambio il brindisi, poggiando i gomiti sul bancone.
«Te lo leggo negli occhi»
Sposto lo sguardo verso Axel che, pur osservandomi maniacalmente, resta avvinghiato a Jasmine.
«C'entra lui, vero?» punta un dito nella sua direzione e automaticamente annuisco.

«Come ti chiami?» domando, cercando di cambiare argomento.
«Antony» allunga una mano nella mia direzione e, prontamente, la stringo tra la mia.
«Miriam»

«Emme, ti va di ballare un po'?»
Carla mi strattona per un braccio, assumendo un'espressione di supplica.
«D'accordo»

Ci inoltriamo tra la folla, un'accozzaglia di gente di ogni età è intenta a muoversi e ad ondeggiare sulle note di ogni canzone.
La mia amica mi stringe le mani ed inizia a volteggiare a destra e sinistra a ritmo di musica.
«Forza, muoviti» urla, continuando a condurre le danze.
«Sai che c'è?
Hai ragione.
Divertiamoci»

Balliamo e ridiamo come non succedeva da tempo, goccioline di sudore mi imperlano la fronte e il malessere sembra quasi dissolversi nell'aria.
«Grazie»
Abbraccio la mia amica, cercando di trasmetterle tutta la gratitudine che merita.
«Di cosa?»
«Di esserci e di esserci sempre stata, grazie»
Ricambia la stretta, continuando ad ondeggiare.
«È questo che fanno le migliori amiche, no?»

Decido di fregarmene di Axel, almeno per stasera.
Non gli permetterò di annullarmi, di umiliarmi.
Non me lo merito.

Optiamo per una breve pausa e prendiamo nuovamente posto sugli sgabelli di legno.
«Questi sono offerti dalla casa»
Antony poggia due cocktail davanti a noi, strizzando l'occhio compiaciuto.
«Sicuro che il tuo capo non si arrabbi?» urla Carla, riprendendo fiato.
«Non credo si arrabbi, considerando il fatto che sono io il capo qui»
«Questo posto è tuo?» inarco un sopracciglio, continuando ad osservarlo con curiosità.
«Già, bellezza»

«Credo di aver esagerato con l'alcool» biascica Carla, poggiando la testa al muro.
«Bhe, non possiamo dire di essere in ottima forma» rido sommessamente, sorprendendomi di essere ancora in grado di farlo.
«Te la senti di guidare?» sventola le chiavi della sua auto davanti alla mia faccia.
«Forza, andiamo»
Afferro le chiavi e prendo la mia migliore amica sottobraccio.
«Miriam, aspetta» Antony mi raggiunge e mi porge un bigliettino.
«Questo è il mio numero.
Non devi usarlo per forza, ma se passerai di nuovo da queste parti mi farebbe piacere rivederti»

Afferro il biglietto e gli schiocco un leggero bacio sulla guancia.
Con lente falcate ci dirigiamo all'uscita.
Axel è ancora lì e noto il peso del suo sguardo su di me; lo ignoro completamente e proseguo dritta.
L'aria fresca mi accarezza il viso, donandomi un briciolo di sollievo dall'alcool.

Entriamo in macchina e prima di partire scegliamo meticolosamente una canzone da urlare a squarciagola durante il tragitto.
Alziamo il volume al massimo e partiamo.
Guardo la mia amica intenta a cantare ogni singola canzone e ridere di gusto.
Il suono delle nostre risate riempiono l'abitacolo, facendomi sentire la persona più fortunata del mondo ad averla accanto.

«MIRIAM, ATTENTA» la sento urlare all'improvviso.
Poi il buio.
Lo schianto.
Rumore di vetri rotti.
La musica si è fermata.
La mia amica non canta più.
Sbatto le palpebre più volte per mettere a fuoco ciò che mi circonda e impiego qualche istante per rendermi conto che sono stesa a terra.
Non riesco a muovermi, sono come incollata all'asfalto.
Giro lentamente la testa cercando la mia migliore amica.
«Carla» sussurro, con un filo di voce.
Finalmente la vedo.
È stesa anche lei sull'asfalto, non mi risponde.
«Carla» provo ad urlare, senza riuscirci.

Il sangue le cola dal naso ed è immobile a terra,circondata da pezzi di vetro.
«Carla» sussurro un'ultima volta, prima di chiudere gli occhi e cadere in un sonno profondo.

IL GIORNO DOPO

Un fascio di luce riempie la stanza intorno a me e credo di non essermi sentita mai leggera come in questo istante.
Avverto la stretta delicata di qualcuno sulla mia mano.
All'improvviso la luce sparisce, lasciando spazio al buio più tetro.
Apro lentamente gli occhi e un forte dolore alla testa mi intima di richiuderli.

Riconosco mia madre, seduta accanto a me.
I suoi occhi sono stanchi e contornati da occhiaie nere come la pece.
«Miriam, tesoro» si alza velocemente, avvicinando il suo viso al mio.
«Finalmente ti sei svegliata»
Il suo tono è dolce, ma un'amara tristezza traspare dalle sue parole.
Muovo lentamente le dita; provo dolore in ogni parte del corpo e un'enorme stanchezza non mi permette di muovermi.

Il ricordo di quella sera si fa pian piano spazio nella mia mente.
«Dov'è Carla?» domando a mia madre con un filo di voce.
«Dovresti riposare ora»
Mi accarezza dolcemente i capelli mentre una lacrima le riga il viso candido.
«Mamma, dov'è Carla?» provo ad alzarmi, ma una fitta di dolore alla testa me lo impedisce.

Sento mia madre sospirare e guardarmi con il dolore impresso negli occhi.
«Mi dispiace, Miriam» riesce a dire per poi scoppiare a piangere.
«Cosa?
Cosa ti dispiace?» il cuore inizia a battere forte, quasi volesse uscire dal petto.

«Carla non ce l'ha fatta.
Carla non c'è più» sento quelle parole strapparmi il cuore, graffiarmi gli organi e piantarsi nelle viscere più profonde.
«NO» urlo, con tutta la voce che ho in corpo.
«No, non è vero» le lacrime sembrano gocce di acido, tanto bruciano sulla mia pelle.
«Mi dispiace, amore mio» mia madre mi stringe a sè, restando in silenzio.

Non è possibile.
Non può essere vero.
Lei è la mia migliore amica.
Lei ce l'ha fatta sicuramente perché lei ce la fa sempre.
Lei è la ragazza più forte che io conosca.

E invece no.
Carla non ce l'ha fatta.
Carla non c'è più.
Carla non potrà più ridere, non potrà più cantare.
Carla non potrà mai sposarsi, né realizzare i suoi sogni.
Non darà mai più un bacio e non potrà più bearsi di un abbraccio.
Carla è morta.
E, con lei, è morta una parte di me.

L'inferno in noiWhere stories live. Discover now