Capitolo 48

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"Il mondo sarebbe
un posto di merda
senza le donne.
La donna è poesia.
La donna è amore.
La donna è vita.
Ringraziale, coglione"
CHARLES BUKOWSKI

Da circa mezz'ora giro e rigiro il telefono tra le mani, osservando attentamente il display.
Finalmente prendo coraggio e, cliccando con il dito sullo schermo, cancello quel maledetto numero di telefono, che porta con sè la tentazione di scrivergli ogni giorno per parlargli.

Non ho chiuso occhio stanotte, come succede da qualche giorno a questa parte.
Gli incubi sono tornati ad invadere i miei sogni e, sinceramente, preferisco di gran lunga restare sveglia.
Infilo il mio solito paio di jeans skinny, una maglietta nera e le mie solite Globe.
Impiego più tempo del solito per coprire le grandi occhiaie nere che mi contornano gli occhi, traccio una sottile riga con l'eye-liner e, con lente falcate, raggiungo la cucina per bere il mio solito caffè mattutino.

Sono giorni che Axel non viene a scuola e, in cuor mio, spero che non lo faccia neanche oggi.
Sono ancora troppo confusa su tutto ciò che lo riguarda e la distanza forse mi aiuterà a mettere ordine nella mia testa.
Sbuffo il fumo denso della mia Philip Morris torturandomi le dita tra loro mentre i soliti pensieri prendono a cazzotti il mio cervello.
Sono stanca perfino di pensare.

"Tra dieci minuti sono lì" 
Leggo il messaggio di Carla e, afferrando lo zaino Eastpak, prendo posto sui gradini del portico in attesa del suo arrivo.

«Hei, principessa.
Sei sparita» la voce di Edoardo mi fa sobbalzare all'indietro.
Mi prendo qualche istante per osservarlo meglio, indossa i suoi soliti abiti sportivi, una canotta blu mette in risalto i muscoli delle sue braccia; i capelli ricadono ribelli sul viso senza seguire una precisa acconciatura e gli occhi color smeraldo brillano sotto la debole luce del sole.
«Scusami, ho avuto da fare.
Che ci fai qui?
Sto per andare a scuola»
Accenna un timido sorriso prendendo posto accanto a me per poi portare una Winston Blu alle labbra e accenderla.

«Ce l'hai ancora con me?» domanda, inarcando un sopracciglio.
«No, non ce l'ho con te.
Solo che non so come comportarmi, sinceramente» affermo, dopo qualche istante di riflessione.

«Non possiamo rovinare tutto per colpa di quel coglione di mio fratello, cazzo.
Io ci tengo a te» il suo tono di voce è basso, quasi impercettibile.
I suoi occhi, però, mi stanno bruciando viva.

«Stasera ceni con me.
Niente scuse.
Permettimi di dimostrarti che sono diverso da come mi ha dipinto Axel»

«D'accordo» rispondo, arrendendomi alla sua supplica.
«Non ti costringerò mai a fare nulla che tu non voglia, promesso.
Se vuoi divertirti ci divertiamo, se non vuoi più farlo non lo faremo» schiocca un sonoro bacio sulla mia bocca, posando una mano sulla mia nuca ed esercitando una lieve pressione.
Decido di schiudere le labbra, permettendo alla sua lingua di divorare la mia con forti scoccate.

«Resti a casa per cena?» domanda mia madre, poggiandosi allo stipite della porta.
Ultimamente la trovo migliorata, finalmente ha ricominciato a dormire, non salta quasi mai i pasti e piange molto meno spesso.
Sono contenta che abbia trovato dentro di sè la forza per andare avanti ma, dentro di me, ero sicura che ce l'avrebbe fatta con le sue gambe.

«No, passa a prendermi Edoardo» affermo, accennando un timido sorriso per poi concentrarmi nuovamente nello scegliere un vestito.
«Sei sicura che sia una buona idea?» domanda, avvicinandosi a passo lento, prendendo posto sul mio letto con le gambe incrociate.
«In che senso?» chiedo, voltandomi rapidamente verso di lei.

«Ho visto come vi guardavate tu e Axel quando vi ho beccati in casa nostra.
Sinceramente non capisco come mai abbiate deciso di mollare tutto quanto.
E soprattutto non capisco il motivo per cui tu debba uscire con suo fratello» afferma tutto d'un fiato, schietta come il suo solito.

«Non mi va di parlarne, mamma.
Tra me e Axel non c'è nulla, forse non c'è mai stato nulla.
Non c'è motivo di combattere per qualcosa che non esiste» sbotto, alzandomi dallo sgabello provocando un fastidioso stridio.

«So che sei una ragazza intelligente, perciò approverò qualsiasi tua scelta.
Rifletti bene, però, su ciò per cui vale la pena lottare.
Se una cosa fosse facile, non ci sarebbe bisogno di lottare per averla» esclama, sbattendo la porta alle sue spalle.

Per stasera ho scelto un vestitino nero abbastanza corto, con uno scollo vertiginoso sulla schiena e una piccola cinta bianca sulla vita.
Infilo con fatica un paio di décolleté nere per poi iniziare a truccarmi.
Circa mezz'ora dopo sono pronta, con lente falcate raggiungo lo specchio e osservo un'ultima volta la figura riflessa sopra di esso.

«Wow.
Sei stupenda» esclama Edoardo, poggiando una mano sulla mia schiena scoperta.
«Prego, principessa» apre la portiera del suo Range Rover Evoque facendomi accomodare dal lato del passeggero.

Dopo circa dieci minuti ci troviamo di fronte ad un cartellone con su scritto "PIZZANDO".
«Siamo arrivati, principessa»
Prendiamo posto su un tavolino appartato e, attendendo l'arrivo della nostra ordinazione, mi guardo intorno.
Il locale è rustico, adornato con oggetti di diverso genere; delle tovaglie a scacchi coprono i vari tavoli mentre della musica anni ottanta risuona in sottofondo creando un'atmosfera soft.

«Un mio amico ha organizzato una festa a Roma, ti va di andare?» domanda, addentando la sua fetta di Margherita.
«Non sono dell'umore adatto per una festa» biascico, spostando lo sguardo su un uomo e una donna di circa settant'anni che si scambia effusioni come una coppia di quindicenni innamorati.
Sono stupendi; questa è la dimostrazione che nel mondo qualcuno davvero trova la sua metà della mela.

«Dai, principessa.
Ti prometto che ci divertiremo» strizza l'occhio, poggiando la sua mano bollente sopra la mia esercitando una leggera pressione.
«Va bene, andiamo» ribatto, sbuffando dal naso.

Nel tragitto Edoardo mi porge una bustina tra le mani.
La osservo attentamente, notando all'interno quattro pasticche, due sono uguali a quelle della serata in discoteca, mentre altre due sono di colore blu e hanno una forma alquanto strana.
«Nascondile nel reggiseno» afferma, osservandomi con la coda dell'occhio.
«Tranquilla, se non vuoi prenderle non devi farlo.
Però le ho portate lo stesso» stringe il volante con entrambe le mani, tornando a guardare l'asfalto di fronte a sè. 

«Voglio prenderle» sussurro, senza riflettere.
Infila una mano in mezzo al mio seno ed estrae lentamente la bustina, sfiorando piacevolmente il mio capezzolo destro.
«D'accordo, cattivona.
Dammi un bel bacio con la lingua» afferma, leccandosi il labbro inferiore in attesa di una mia mossa.
Poggia la pesta colorata sulla sua lingua e, come la volta precedente, si avvicina a me.

Lo bacio, lasciando scivolare la pasticca dentro la mia bocca.
«Mi piace quando sei senza limiti» sussurra, posando una mano sulla mia coscia, iniziando poi ad accarezzarmi in maniera possessiva.

L'inferno in noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora