Capitolo 32

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"L'uomo è vittima
di un ambiente
che non tiene conto
della sua anima."
CHARLES BUKOWSKI

Ho un disperato bisogno di bere.
Scendo al piano di sotto, camminando a passo leggero, cercando di non incrociare lo sguardo di mia madre e quello del mio migliore amico. 
Esco furtivamente di casa e, con rapide falcate, mi dirigo al Market che si trova a qualche metro da casa mia.
Cammino indecisa tra i vari scaffali dei super-alcolici per qualche minuto, optando alla fine per una bottiglia di Vodka alla fragola.
Svito con energia il tappo di colore nero iniziando a sorseggiare quel liquido rossastro e, in pochi istanti, un lieve bruciore si espande rapidamente alla bocca dello stomaco provocandomi qualche conato di vomito.

Cammino per un tempo indefinito senza meta, le mie gambe si muovono da sole quando, ad un tratto, si bloccano.
Alzo lentamente la testa osservando il grande cancello di ferro di fronte a me.
Mi trovo davanti al cimitero.
Dal giorno del funerale di mio padre non ho più avuto il coraggio di venire qui, essermi trasferita così lontano ovviamente non mi ha aiutata.
Il motivo principale, però, è il dolore che mi squarcia il petto ogni volta che leggo quel nome sulla lapide.
Lentamente prendo posto di fronte ad essa, il contatto con il pavimento freddo mi provoca brividi gelidi lungo la spina dorsale, incrocio le gambe tra loro e pian piano mi avvicino a quella lastra di marmo.
Con le dita accarezzo dolcemente la foto che mia madre ha scelto accuratamente quando mio papà se n'è andato.
L'immagine che lo ritrae è davvero stupenda; ricordo perfettamente il giorno in cui è stata scattata.
Chiudo gli occhi rivivendo quel momento nella mia testa, lascio che il ricordo di quelle risate mi trapassi l'anima incastrandosi tra i ventricoli del mio cuore.

Estraggo la bottiglia dallo zainetto grigio continuando a bere quel liquido rosso fiamma.
A volte mi capitava di osservare le persone intente a parlare con i loro defunti, l'ho sempre trovata una cosa da stupidi; insomma credi davvero che qualcuno ti ascolti?
Me lo chiedevo sempre.
Ora, invece, mi ritrovo qui seduta e la voglia di parlare con mio padre aumenta sempre di più.

«Ciao papà, come stai?
Scusa se ultimamente non sono venuta a trovarti, ma è un dolore troppo grande.
Da quando non ci sei più qui sta andando tutto a rotoli.
La mamma è sempre più stanca, dice di star bene ma io so che non è così.
So che, tutte le volte in cui si chiude in camera sua, scoppia a piangere.
Le manchi davvero tanto.
Io? 
Io sono distrutta papà, sento di potermi spezzare da un momento all'altro.
Non so se da lassù sei riuscito a vedere cosa mi hanno fatto.
Spero con tutto il cuore che tu non abbia visto niente.
Comunque sono sicura che se tu fossi stato qui mi avresti protetta come solo tu sapevi fare»  sussurro, tra i singhiozzi.
Il liquido rossastro brucia all'interno della mia gola come acido mentre le mie dita accarezzano dolcemente il viso di mio padre.

«Non so se realmente tu stia vegliando su di me.
Non ci credo poi così tanto a tutte quelle cazzate che si dicono quando una persona muore.
La gente crede in queste cose semplicemente perchè fa meno male, è più facile mentire a sè stessi piuttosto che affrontare una perdita.
Sarei una bugiarda, però, se non ammettessi che ho un disperato bisogno di sapere che davvero ci sei e che non mi hai abbandonata.
Non vedo una via d'uscita, non riesco a trovare la luce e mi sembra di impazzire papà»
Strizzo gli occhi, lasciando che le lacrime si riversino lentamente a terra.

«Ci avrei scommesso che eri qui» afferma una voce alle mie spalle.
Gianluigi prende posto accanto a me senza proferire parola, strappa la bottiglia dalle mie mani e manda giù una lunga sorsata di Vodka.
«A tuo padre» solleva la bottiglia lasciandola alzata a mezz'aria per qualche secondo per poi porgermela.
D'istinto poggio la testa sulla sua spalla beandomi di quel contatto fraterno e, per una volta, lascio che il muro che ha cementato il mio cuore si sgretoli di fronte a una delle poche persone che realmente darebbe la vita per me.

L'alcool inizia a sortire il suo effetto, accarezzandomi la testa con la sua mano pesante.
Strofino gli occhi con il palmo della mano nel vano tentativo di lenire il bruciore.
«Credo sia meglio tornare a casa» allunga il braccio verso di me aiutandomi ad alzarmi senza perdere l'equilibrio.
«Grazie» sussurro, asciugando una lacrima solitaria dal viso.
«Io ci sarò sempre per te, Emme» sorride timidamente per poi posare un braccio sulla mia spalla.
Camminiamo per svariati minuti in assoluto silenzio quando, finalmente, raggiungiamo il vialetto di casa mia.
La mia vista è annebbiata e impiego qualche istante per mettere a fuoco la figura di fronte a me.
Strizzo gli occhi per qualche secondo riuscendo finalmente ad avere un'immagine chiara della persona davanti a me. 
Osservo quel ragazzo seduto sui gradini del mio portico, le braccia sono strette attorno alle gambe creando una sorta di scudo mentre, con lenti movimenti, dondola su sè stesso.
Mi avvicino con lente falcate nella sua direzione e il mio cuore manca un battito appena i suoi occhi si incastrano nei miei.

È Axel.

Delle occhiaie nere contornano i suoi occhi rendendo il suo viso pallido e smorto, un accenno di barba fa da cornice alle sue labbra carnose mentre delle goccioline di sudore imperlano la sua fronte coperta da qualche ciuffo ribelle.
Questi giorni non devono essere stati facili neanche per lui.
Le mie mani iniziano a sudare sotto il suo sguardo amareggiato e quasi completamente svuotato.

Con un rapido scatto Gianluigi si scosta da me e lo raggiunge, piazzandosi a pochi centimetri di distanza dal suo viso.
«Che cazzo ci fai qui?» domanda, alzando la voce di qualche tono.
«Devo parlare con Miriam.
Miriam per favore, ho bisogno di sapere come stai.
Sto impazzendo.
Parlami ti prego» posa nuovamente il suo sguardo su di me, supplicandomi con i suoi occhioni blu.
«Come cazzo deve stare secondo te?
È colpa tua e dei tuoi amici di merda se la sua vita è rovinata» sbraita Gianluigi, strattonandolo per la maglietta nera.
Axel balza in piedi annullando completamente la distanza che li separa.
«Credo che Miriam riesca a decidere da sola cosa fare.
Non ha bisogno di un coglione che le impartisce ordini» stringe i denti così forte da far scattare la mascella mentre tiene lo sguardo ben saldo sul mio migliore amico.
Gianluigi non risponde alla sua evidente provocazione, si allontana di qualche passo e con un rapido scatto gli assesta un pugno in pieno viso.
«Sparisci dalla sua vita, cazzo.
Se non te ne vai ora Axel, ti giuro che ti prenderò a calci in culo fin quando non ti deciderai a toglierti di mezzo» afferma, sbuffando dal naso.

«Togliti dai coglioni, Gianluigi.
Lo dico per il tuo bene, ti conviene andartene prima che mi incazzi sul serio e ti spacchi la faccia» una risata isterica esce dalle sue labbra, rimbombando nell'aria.
«Non azzardarti a toccare il mio migliore amico» urlo, ponendomi tra i due.
Spintono con violenza Axel senza però riuscire a smuoverlo di un millimetro.

«Te ne devi andare Axel, sul serio cazzo.
Io non voglio parlarti, non voglio vederti, non voglio ascoltare le tue cazzate.
Se tu fossi stato con me a quella cazzo di festa tutto questo non sarebbe successo.
Invece sei sparito, non so dove cazzo eri, non so con chi eri.
Mi hai abbandonata come hai sempre fatto da quando ti conosco.
Perciò vattene cazzo, non ti permetterò di rovinarmi ulteriormente la vita»
Sputo fuori quelle parole come il peggiore dei veleni, voglio ferirlo.
Voglio che soffra tanto quanto sto soffrendo io.

Resta in silenzio, gli unici rumori udibili sono il battito accelerato del mio cuore e i suoi respiri profondi.
I suoi occhi diventano lucidi regalandomi l'amara conferma che le mie parole abbiano sortito l'effetto voluto.
Si muove lentamente, muovendo un passo dopo l'altro fino a raggiungere la sua auto.  
Non mi guarda, fissa un punto indefinito di fronte a sè per poi ingranare la marcia e andarsene.
Sento le gambe pesare come macigni mentre, lentamente, mi lascio cadere a terra scoppiando in un pianto doloroso.
Di quelli che ti fanno piangere persino l'anima.
Non lo odio e questa è la peggior verità.

Gianluigi cammina lentamente verso di me ma viene bloccato da un cenno della mia mano.
«Non ora, ti prego» sussurro, coprendomi il viso con le mani.
Potrei esplodere da un momento all'altro.

L'inferno in noiWhere stories live. Discover now