Capitolo 36

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"Il modo migliore
per liberarsi della tentazione
è caderci dentro."
OSCAR WILDE

E' trascorsa più di un'ora quando, finalmente, decido di trascinarmi senza forze fino al vialetto di casa mia.
È tardissimo e, come ogni volta in cui cerco di non far rumore per non svegliare mia madre, faccio cadere ogni cosa possibile e immaginabile a terra.
Fortunatamente ha il sonno profondo.
Entro in camera e mi lancio letteralmente sul letto, non riesco a far altro che pensare a come si sono guardati quei due davanti ai miei occhi.
"Met, sei a casa?'"
Il telefono vibra rumorosamente sul comodino in legno, segnalando l'arrivo di un messaggio da parte di Axel.
Afferro il cellulare tra le mani e, tenendo premuto per qualche secondo il tasto laterale, lo spengo.
Finalmente sento le palpebre farsi via via più pesanti fino ad addormentarmi completamente.

Il fastidioso suono della sveglia mi costringe ad aprire bruscamente gli occhi.
Anche stanotte, come ogni singola notte, gli incubi hanno stracciato i miei sogni, hanno prepotentemente preso il loro posto; hanno afferrato la mia mano e mi hanno accompagnato in queste ore infinite.
Infilo rapidamente un top nero e i miei soliti jeans skinny per poi uscire di casa.
Una volta raggiunto il bar di fronte alla scuola, ordino il mio solito caffè mattutino e, dopo averlo bevuto in un solo sorso, mi avvio verso l'ingresso.
Carla oggi non verrà a scuola, si trova a Milano a festeggiare il compleanno di Michael.
L'ansia prende il sopravvento appena realizzo di dover affrontare questa giornata senza il supporto della mia migliore amica, ma è giusto così.
Almeno lei deve godere di ciò che di bello regala l'amore, quello vero.

Prendo posto al mio solito banco, poggiando la testa sul legno gelido nella speranza di attutire il dolore lancinante che mi comprime le tempie.
Nonostante i miei occhi siano chiusi, il mio naso capta all'istante il suo profumo.
Lo stridio della sedia sul pavimento mi costringe ad alzare di poco la testa e scontrarmi con i suoi enormi occhi azzurri.
«Capisco che non vuoi parlarmi, ma potresti almeno rispondere quando ti invio un messaggio.
Mi hai fatto preoccupare, cazzo» sussurra, avvicinandosi pericolosamente al mio viso.
Il suo fiato caldo si schianta prepotente sul mio collo provocandomi brividi gelidi lungo tutta la spina dorsale.

«Come vedi sono viva.
Nessuno mi ha rapita» rispondo, ponendo una certa distanza tra noi.
Mi concentro sui miei compagni di classe che, come un gregge, si accalcano davanti alla porta della nostra aula.
Alzo di poco la testa, restando a bocca aperta appena i miei occhi si posano su quella chioma blu.
Non ci posso credere.

Alessia fa il suo ingresso in aula, sfoggiando un'aria spavalda mentre, uno dopo l'altro, tutti corrono ad abbracciarla.
I capelli blu sono legati in una lunga coda di cavallo, il trucco pesante incornicia alla perfezione il suo viso candido mentre, un vestitino viola, mette in risalto ogni sua curva lasciando ben poco all'immaginazione.
«Cazzo» impreca Axel sottovoce.
«Miriam!
 Vedo che ti sei ripresa alla grande» esclama Alessia, voltandosi nella mia direzione
«Già» stampo un sorriso di circostanza sul volto, cercando di nascondere l'evidente imbarazzo che mi colora le guance rendendole rossastre e bollenti.
«Ciao Axel» afferma, dando pieno sfogo alla sua vena provocatoria.
Lui la ignora completamente, incollando nuovamente i suoi occhi su di me.

Alessia tiene lo sguardo ben saldo sul mio demone dagli occhi blu, lo studia, lo guarda, se ne ciba.
E, anche per me, questo è troppo.
Decido di uscire due ore prima, non ho voglia di restare a guardare questo teatrino, così infilo rapidamente i libri nello zaino ed esco.
Mia madre è a lavoro e, per fortuna, non dovrò sorbirmi la sua inutile paternale.

Prendo posto sul divano in pelle accendendo l'ennesima sigaretta.
Mi perdo tra i miei mille pensieri, con lo sguardo fisso su un punto indefinito della stanza.
Due forti colpi alla porta mi ridestano dai miei viaggi mentali costringendomi ad alzarmi.
«Axel che cazzo vuoi?
Non ti è chiaro che devi starmi lontano?» incrocio le braccia al petto, osservando da capo a piedi questo demone che ha appena bussato alla mia porta.
Non risponde.
Mi afferra per il polso e, con un lieve strattone, mi trascina dentro casa richiudendo la porta alle sue spalle.

«Non me ne andrò fin quando non starai a sentirmi, Met.
Stavolta sei obbligata a farlo» biascica, leccandosi morbosamente il labbro inferiore.
«Avanti, parla» sbuffo, torturando le dita tra loro.
«Innanzitutto volevo chiederti scusa.
Scusa per tutto quello che è successo quella sera, scusami se non sono arrivato in tempo ed ho permesso a quel pezzo di merda di toccarti.
Non avrei dovuto lasciarti sola, mio padre è tornato in città e ha voluto vedermi.
So che non è una giustificazione e che non dimenticherai mai quello che ti è successo, ma non posso permetterti di odiarmi.
Così come non posso permetterti di rovinarti la vita.
Scusa» afferma, sospirando profondamente.

Una risata isterica fuoriesce dalle mie labbra mentre, lentamente, i miei occhi scivolano lungo tutta la sua muscolosa figura.
«Andiamo Axel, non dire cazzate.
Sicuramente ti stavi divertendo in compagnia di qualche stronza.
Finalmente ho capito che per te sono soltanto uno dei tanti giocattoli.
Ci ho creduto davvero in noi due, mi sono illusa che potesse funzionare.
La verità è che non avrei mai dovuto fidarmi di te.
MAI» urlo, asciugando una lacrima solitaria dalla mia guancia.
Senza neanche darmi il tempo di terminare la frase, annulla completamente la distanza tra noi. 
Sento l'aria mancare completamente appena il suo fiato caldo si schianta contro le mie labbra rosee.
Mi strattona leggermente, intrappolando il mio corpo tra lui e il muro.
La mia schiena, d'istinto, si inarca al contatto con la parete fredda.

«Tu non capisci, Met.
Sto impazzendo senza di te» ringhia, a pochi millimetri dal mio viso.
Le sue labbra si avvicinano pericolosamente alle mie, le sfiora, le bacia in maniera lenta.
Mi infligge la migliore delle torture, mi rende nuovamente sua; racchiudendo in quel bacio tutto il dolore, tutta la rabbia, tutta la malsana voglia di possedersi.

Poggia in maniera rude una mano dietro la mia nuca, esercitando una lieve pressione per far aderire con più forza le nostre labbra. 
Vorrei opporre resistenza, ma è inutile.
Non posso resistere al richiamo del diavolo.
Schiudo le labbra, permettendo alle nostre lingue di incontrarsi, di vorticare insieme in una danza mortale.

Le sue mani si muovono lussuriose, marchiando il mio corpo in maniera possessiva.
Si insinua sotto la mia maglia, si sofferma sul seno, lo palpa, lo strizza, prende il capezzolo tra le dita strizzandolo energicamente.
Mi lascio inebriare dalla lussuria più totale quando, all'improvviso, nella mia mente si fa prepotentemente spazio l'orribile ricordo di Andrea; delle sue luride mani su di me.

«Scusa, non ce la faccio» balbetto, spintonando Axel lontano da me.
Sfiora dolcemente il mio viso, asciugando con il pollice una lacrima dalla mia guancia.
«Non fa niente, Met.
Ne usciremo insieme, te lo prometto» sussurra, stringendomi tra le sue forti braccia.

«Ho un'idea, resta lì» esclama, regalandomi uno dei suoi sorrisi migliori.
Apre il suo zaino e tira fuori un IPod.
«Hai un subwoofer o qualcosa del genere?» domanda, guardandosi attorno.
Con un dito gli indico le casse bluetooth accanto al televisore, osservandolo confusa.

Collega l'IPod alle casse e, dopo aver cliccato il tasto centrale, si volta verso di me sorridendo.
Le note di "Wake me up when september ends" riempiono la stanza mentre lui, con un rapido gesto, afferra la mia mano e mi avvicina a sè.
«Mi concede questo ballo, signorina?» domanda, incastrando i suoi occhi blu nella mia anima.
Annuisco con un cenno del capo, lasciandomi trasportare dalle sue braccia.
Dalla più potente droga esistente sulla faccia della terra.

«Ballerò con te ogni volta che ti sentirai sprofondare.
Quando ti sentirai cadere, io sarò lì.
Pronto a ballare con te, sempre» sussurra, stringendo la presa sui miei fianchi.

L'inferno in noiNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ