Capitolo 33

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"Le anime più forti
sono quelle temprate
dalla sofferenza.
I caratteri più solidi
sono cosparsi
di cicatrici."
KHALIL GIBRAN

I giorni trascorrono inesorabilmente lenti, le notti sono accompagnate dai peggiori incubi e, durante il giorno, la cruda realtà mi costringe ad odiare me stessa.
Cora e Carla sono passate spesso a trovarmi e, anche se non ho proferito parola, mi ha fatto piacere averle accanto.
Gianluigi non ha mollato la presa neanche per un secondo, distraendomi in tutti i modi possibili e pungendomi con un ago colmo di inchiostro.
Ormai manca davvero poco per terminare il mio tatuaggio e sono sicura che una volta finito sarà una meraviglia per gli occhi. 

Non ho più sentito Axel, anche se sembra non voler uscire dalla mia testa malata.
È così snervante quando più cerchi di non pensare a qualcuno, più quel qualcuno invade costantemente il tuo cervello.

«Comincia a preparare la valigia Miri, tra due giorni dobbiamo tornare a Montalto» sussurra, poggiando delicatamente una mano sulla mia spalla.
«Non posso permettermi di perdere il lavoro e se salterò altri giorni sicuramente mi licenzieranno.
In più hai già perso troppe lezioni a scuola e forse tornarci ti aiuterebbe a pensare di meno» continua a blaterare, accennando un timido sorriso.
«D'accordo» balbetto, cercando di convincermi che sarà così.
Sapevo che prima o poi sarei dovuta tornare lì ma in cuor mio speravo non accadesse mai, rimettere piede in quel posto, in quella cittadina che mi ha devastato l'esistenza è ciò che non avrei mai più voluto fare.

Tiro fuori una delle due bottiglie di Vodka che avevo segretamente nascosto sul fondo dell'armadio e inizio a sorseggiarla rapidamente.
So che è sbagliato e che questo non risolverà i miei problemi, ma l'alcool in questi giorni è stato un grande amico e confidente.
Ho un fottuto bisogno di svuotare la mente e per il momento questa mi sembra l'unica soluzione.

Due forti colpi alla porta mi costringono a nascondere velocemente la bottiglia per poi prendere posto sul bordo del letto.
«Non preoccuparti, sono solo io» sussurra Gianluigi, prendendo posto accanto a me.
«Allora, tua madre te l'ha detto?
Ti senti pronta per tornare lì?»
«No.
Non sono pronta ad affrontare gli sguardi, i giudizi, i ricordi.
Mi viene da vomitare soltanto a pensarci e, sapere che tutti in quella scuola sanno ciò che mi è successo, mi blocca il respiro.
Inoltre dovrò anche rivedere Axel.
Sono così confusa e incazzata, porta troia»sbotto, sdraiandomi sul lettone King Size per contemplare il soffitto.

«Cazzo Emme, ancora pensi a quello stronzo?
Se avesse provato qualcosa per te si sarebbe comportato diversamente fin dall'inizio.
Voleva solo scoparti, tutto qui.
E se non lo capisci sei una cazzo di idiota» afferma, battendo un colpo sul materasso.
«Ma che cazzo vuoi saperne tu?
Nemmeno lo conosci.
Io ho visto la sofferenza nel suo sguardo quando è venuto qui, non stava fingendo.
È uno stronzo e questo lo so molto bene, ma non permetterti di giudicarlo, porca puttana» rispondo, completamente fuori di me.
Nessuno conosce la nostra storia, nessuno riuscirebbe a comprendere le emozioni che mi provocavano le sue labbra; perciò nessuno deve permettersi di parlare di lui.
Di noi.

Il suo sguardo duro si addolcisce un pò mentre, con le dita, inizia a sfiorare delicatamente la mia guancia.
«Scusa Emme, ho esagerato.
Non era questo il modo in cui volevo dirtelo» sussurra, con una nota di imbarazzo nella voce.
So che il suo intento è quello di proteggermi e, ora come ora, è l'ultima persona al mondo con cui poter essere arrabbiata.

Gli porgo la bottiglia accennando un timido sorriso.
«Vuoi per caso farmi ubriacare per provarci con me?» inarca un sopracciglio per poi portarsi la bottiglia alle labbra e mandar giù una lunga sorsata.
Continuiamo a bere fino ad intravedere il fondo della bottiglia.
Posa un braccio dietro la mia schiena e, con un lieve strattone, mi costringe a sdraiarmi nuovamente accanto a lui.
Accarezza dolcemente i miei capelli e pian piano sento le palpebre farsi sempre più pesanti.
Il suo petto si muove ad un ritmo costante rilassandomi a tal punto da farmi addormentare.

Cammino per il lungo corridoio, intorno a me c'è solo il buio.
Cammino in direzione della porta in fondo al corridoio, la apro per poi richiuderla alle mie spalle.
Le sue luride mani mi prendono per i capelli, li tira forte quasi fino a strapparli.
«Sapevo che saresti tornata e, ora, sarai mia per sempre » sussurra, con un sorriso sadico stampato in volto.
La sua voce mi fa rabbrividire.
Provo ad aprire la porta, ma non si apre.
Non c'è una chiave e non c'è più neanche la serratura.
Comincio ad urlare ma non ho voce.
Andrea violenta il mio corpo e la mia anima, ancora e ancora.
E ancora.

Apro gli occhi all'improvviso, sbattendo le palpebre più e più volte cercando di respirare a pieni polmoni.
Sento il cuore sbattere violentemente contro la gabbia toracica mentre, strizzando gli occhi, cerco disperatamente di riacquisire lucidità.
L'ennesimo incubo ha divorato i miei sogni.

Gianluigi rafforza la presa, stringendomi ancor di più tra le sue braccia.
«Tutto ok?» domanda, abbassando leggermente la testa per osservarmi meglio in volto.
Annuisco con un cenno del capo, mentendo spudoratamente.
«Perché mi guardavi?
Non riuscivi a dormire?» incastro i miei occhi nei suoi in attesa di una risposta.
«Non ho sonno.
E poi sei così bella che è impossibile non guardarti» sussurra, tracciando la linea delle mie labbra con le dita.
«Non dire cazzate» ridacchio, senza distogliere lo sguardo.
«Non dico mai stronzate, Emme.
Sei bellissima» continua con delicatezza a sfiorare le mie labbra, mentre stringe le sue tra i denti.
«Dovremmo alzarci ora » tossisco, cercando di smorzare l'imbarazzo creatosi tra noi.
Probabilmente è stato colto da un momento di debolezza.

L'inferno in noiWhere stories live. Discover now