Capitolo 50

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"Impara a non distruggere
con le parole
quello che
hai creato con il silenzio"
CHARLES BUKOWSKI

«Che c'è tesoro?
Non ti piace essere chiamata così?
Eppure hai l'aria di chi è stata appena scopata per bene, proprio come una puttanella» biascica la stronza, giocherellando con una delle due trecce blu.
«Senti, non ti conosco e non ho alcuna voglia di farlo.
Ma se continui a insultarmi, giuro che ti spacco la faccia» grido, più forte di quanto vorrei.
Una decina di persone si accerchiano intorno a noi per godersi al meglio la scena.

«Avanti allora, spaccami la faccia moretta» annulla nuovamente la distanza tra noi, incastrando le sue iridi scure nelle mie.
Sento la rabbia attraversare ogni cellula del mio corpo; l'adrenalina scorre prepotentemente nelle vene bruciando come acido e provocando una serie di spasmi sulle mie mani strette a pugno.

«Smettetela di comportarvi come due ragazzine, cazzo» Edoardo si piazza tra noi due, ponendo la giusta distanza tra me e quella stronza psicopatica.
«Cosa c'è Edo?
Ora le difendi pure le troiette che ti scopi?» sussurra la stronza, mentre un ghigno malefico le appare in volto.
«Ora mi hai davvero rotto il cazzo» sbraito, avvicinandomi pericolosamente a lei.
Edoardo posa entrambe le mani sulle mie spalle bloccandomi sul posto e, esercitando una leggera pressione, mi spintona all'indietro.

«Vaffanculo» grido, prima di liberarmi dalla presa di Edoardo e correre lontano da lì.
«Ehi, cos'è successo?» domanda Lars, imbattendosi nella mia ridicola corsa.
Non rispondo, spintono anche lui e continuo la mia fuga con il solo obiettivo di raggiungere velocemente l'uscita.

Mi manca l'aria,  le mie tempie pulsano ad un ritmo forsennato mentre, con ultime rapide falcate, esco dal locale.
Respiro a pieni polmoni cercando di assimilare aria preziosa, ma è tutto inutile.
La testa inizia a vorticare rapidamente, il respiro si fa sempre più ansimante e la vista appannata mi impedisce di mettere a fuoco tutto ciò che mi circonda.
Mi muovo in maniera lenta, strusciando con difficoltà i piedi a terra; nella speranza di trovare un appiglio per non cadere.

Le dita delle mani iniziano a formicolare come se fossero addormentate; sposto lentamente lo sguardo su di esse ma, nell'esatto istante in cui lo faccio, la vista mi abbandona completamente.
Mi accascio a terra, vorrei chiedere aiuto ma non riesco a parlare, nè a formulare una frase di senso compiuto.
Mi abbandono a quelle sensazioni e lascio che le palpebre si chiudano, senza più opporre resistenza.

«Miriam?» una voce giunge ovattata alle mie orecchie, non riesco a vedere la persona che sta parlando.
«Che cazzo gli hai dato, porca puttana?
Non si riprende, chiamate un'ambulanza, cazzo!» urla la figura sfocata davanti a me, strattonandomi con violenza il braccio.

Sbatto le palpebre più e più volte prima di riaprire completamente gli occhi, la luce del sole entra dalla finestra provocando un forte bruciore alle mie iridi verde smeraldo.
Mi guardo intorno e impiego qualche minuto per realizzare che mi trovo in un ospedale.
La stanza è assorta in un silenzio assordante, l'unico rumore udibile è il tintinnio del macchinario che monitora il mio stato di salute.
«Oddio Miriam, sei sveglia finalmente » la voce di Axel si schianta nelle mie orecchie come un pugno nello stomaco.

«Cos'è successo?
Da quanto sono qui?» biascico con un filo di voce, avvertendo un intenso dolore alla testa.
Mi alzo rapidamente a sedere, ma un forte capogiro mi costringe a sdraiarmi di nuovo.
«Sei salva per miracolo, ecco cos'è successo.
So che non è il momento per parlarne, ma vorrei tanto sapere perché hai preso un'altra volta quella merda.
E perché continui a uscire con Edoardo» stringe la mia mano nella sua, sforzandosi di parlare con un tono di voce pacato.
I suoi occhi però, quei maledetti occhi azzurri, mi scavano dentro.

L'inferno in noiWhere stories live. Discover now