Capitolo 26

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"Il sesso, il dolore
e l'amore sono esperienze
ai limiti dell'uomo.
E solo quelli
che conoscono queste frontiere
conoscono la vita;
il resto è solamente
una perdita di tempo;
ripetere le stesse cose,
invecchiare e morire
senza sapere realmente
quello che stiamo facendo qui."
PAULO COELHO

Il tempo sembra essersi bloccato mentre le sue braccia mi tengono stretta.
Giocherella con una ciocca dei miei capelli, la gira e la rigira tra le sue dita solleticandomi lievemente il viso.
 «Allora, cosa vogliamo fare?» il suo tono di voce dolce e pacato mi fa quasi sorridere.
«Bhe, potremmo restare qui abbracciati o andare in spiaggia» propongo, alzando leggermente la testa per guardarlo negli occhi.
«No.
Intendo...cosa vogliamo fare? Tra me e te dico.
Cosa siamo? Insomma, come dovremmo comportarci?» si alza a sedere, strattonandosi leggermente i capelli in evidente imbarazzo.
«Io voglio provarci, ma al tempo stesso non voglio soffrire.
Devi promettermi che ci proverai insieme a me, soltanto uniti possiamo riuscire a costruire qualcosa.
 Soprattutto devi promettermi che non scoperai più con quell'oca, non è questo il modo di affrontare le situazioni Axel.
Non puoi correre da lei appena litighiamo, è da immaturi.
Promettimelo, Axel» scandisco ogni parola nella speranza che questo possa servire a fargli capire meglio il concetto.
«Te lo prometto»

Spero davvero che lui mantenga le sue promesse.
Spero soprattutto che non siano parole al vento, che davvero creda di potercela fare.
Era da tempo che non mi sentivo così, come dire...
Felice?
«Allora?
Questo fine settimana vieni a Milano con me?
Ho un tatuaggio da finire» strizzo l'occhio, continuando ad ammirare la bellezza di questo ragazzo dagli occhi blu.
«Ovunque vuoi, Met»
Un sorriso spontaneo si dipinge sul mio volto mentre, per una volta, non ho paura di essere felice.
Per quanto io mi sforzi di essere razionale, di non farmi sopraffare dalle emozioni; davanti a lui non ci riesco.

Mi cinge in vita posizionandomi sotto di lui sul grande lettone King size per poi iniziare a solleticare la mia pancia nuda.
Le nostre risate risuonano all'unisono per la stanza riempiendomi il cuore e l'anima.

«Facciamo un gioco» riacquisto lucidità, sedendomi comodamente a gambe incrociate. 
«Non sarai mica una di quelle a cui piace essere imbavagliata o frustata» ride lui.
Dio, il suono della sua risata.
«No, cretino.
Purtroppo non amo questo genere di giochetti.
Io faccio una domanda a te e per ogni risposta che avrò tu potrai fare una domanda a me.
In fondo non posso dire di conoscere tutto di te, anzi non conosco praticamente nulla del tuo passato...e neanche tu conosci il mio» affermo, nella speranza che accetti.
Ho un disperato bisogno di saperne di più sul suo conto.
Sembra sempre così misterioso e a volte lo vedo perdersi nel vuoto della sua mente, nei suoi ricordi.
Riconosco quello sguardo, è lo stesso che ho io quando i miei demoni tornano a perseguitarmi.

«Peccato, mi sarebbe piaciuto legarti e scoparti fino allo sfinimento.
Comunque d'accordo, chiedimi tutto quello che vuoi»
«Mm, fammi pensare...parlami dei tuoi genitori.
Come mai non vivi con loro?
Non ti manca averli accanto?» domando tutto d'un fiato.
«Mia madre si chiama Selena, è nata e cresciuta qui a Montalto, mio padre invece si chiama Tom Miller.
Come avrai dedotto dal mio cognome mio padre non è italiano, è nato a Phoenix e si è trasferito in Italia poco prima della mia nascita.
E comunque no, non mi mancano.» risponde atono.
Noto che nel pronunciare quelle parole i suoi occhi cambiano colore, diventano più scuri e cupi.
D'istinto gli accarezzo il viso, mi prendo qualche istante per tracciare i suoi lineamenti delicati sfiorandoli con le dita.
Scuote leggermente la testa spostando lo sguardo su un punto indefinito alle mie spalle.
«Ora tocca a me.
Voglio sapere anche io qualcosa sui tuoi genitori» esordisce, baciando dolcemente la mia mano, ancora appoggiata sul suo viso.

«Entrambi nati e cresciuti a Milano.
Mia madre si chiama Rosa, mio papà si chiama...si chiamava Angelo» il groppo che mi serra gola mi impedisce di parlare, rende faticoso persino respirare.
Non credo di essere ancora pronta per parlare di mio padre.
È una ferita ancora troppo fresca e parlarne ne provocherebbe soltanto la riapertura.
Mi perdo nel vuoto per qualche istante mentre i ricordi si fanno pian piano spazio nel mio cuore lacerandolo come lame infuocate.
«Hei, scusami.
Non volevo essere invadente.
Me ne parlerai quando e se vorrai ok?» strattona delicatamente il mio polso obbligandomi a prendere posto tra le sue possenti braccia.
Tra i tagli della sua anima che, in modo bizzarro, curano i miei.
Mi stringe a sè e il dolore che mi comprime il petto sembra pian piano farsi più leggero.
Questo ragazzo riesce a farmi sentire al sicuro, protetta.
Non dal mondo, semplicemente da me stessa.
Insieme stiamo trasformando l'Inferno in qualcosa per cui vale davvero la pena bruciare.

L'inferno in noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora