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Pearl


Lo guardo, aspettando che mi dica qualcosa. «Da quant'è che hai questo vizio?» Gli domando, addentando un pezzo di muffin. Si massaggia il collo con la mano, emanando un forte sospiro. «La prima volta che ho provato le droghe è stato quando avevo diciassette anni, e, a quel tempo ero fidanzato con Sophie», spiega. Mi domando se lui dia la colpa a quella ragazza della sua dipendenza oppure la tuteli come al solito. «Era un periodo di merda e... avevo bisogno di staccare la spina. Frequentavo anche un gruppo poco raccomandabile e non ero mai a casa», rivela, puntando lo sguardo fuori dalla finestra. «Per circa un anno e mezzo ho sniffato cocaina. Mi sono reso conto di cosa stavo combinando solo quando ho rischiato un overdose». Le sue labbra si aprono in un sorriso amaro, quasi come se si vergognasse di quello che era, e forse, ancora è. «Ero finito all'ospedale, ma poi mia madre mi ha portato dallo psicologo. Non so come diavolo ho fatto ma, alla fine sono uscito da quella merda», sospira. «Ora la stai riprendendo, perché?» Scuoto la testa, abbastanza perplessa. Punta gli occhi nei miei e io aspetto che mi dica la verità. «La prendo perché mi aiuta ad azzerare i pensieri. Ne ho bisogno per rilassarmi», decreta. Mi alzo dalla sedia, marciando verso di lui a passo lento. Una volta di fronte al ragazzone alzo lo sguardo, guardandolo negli occhi proprio come lui sta facendo con me.

«Non ci si rilassa con la cocaina, ma con la palestra, un viaggio o un hobby. Hai soltanto vent'anni Lionel, un milione di opportunità e tu stai sprecando tutto solo per della polvere bianca!» Esclamo, mandando scintille con le mie pupille. Scurisce lo sguardo, manifestando la sua rabbia per le mie parole. «Tu non sai nulla, non sai quanto cazzo sia difficile levarsi questo vizio di merda! È l'unica cosa che mi fa stare bene», ringhia ad un soffio dal mio naso. 

Cosa diavolo gli deve essere successo per averlo ridotto in questo stato? È frustrato, arrabbiato e sembra che veda tutto nero. «Se la cocaina è l'unica cosa che ti fa stare bene allora non sei mai stato felice in vita tua Lionel», soffio impassibile, osservando i suoi occhi spalancarsi. È rimasto colpito da quello che ho detto, e forse sta anche pensando di rispondermi; peccato che non ci sia altro da aggiungere. Mi allontano per andare a prendere le varie carte e le tazzine sul tavolo, e poi lo supero per avvicinarmi al lavabo e pulirle. Resta in silenzio mentre pulisco e lavo le tazze, appesantendo la situazione. «Ti aiuterò», dico di getto. Sento l'aria spostarsi, quindi capisco che si è voltato verso di me. «Ah si, e come?» Fa lo sbruffone, non credendomi affatto. «Smettila di trattarmi come una deficiente. Al liceo c'erano un sacco di ragazzi e ragazze che si facevano; avevano persino un angolo dell'istituto tutto per loro. Io posso provare ad aiutarti Lionel, ma tu devi avere anche la voglia di cambiare e di migliorarti, altrimenti non andiamo da nessuna parte», lo avviso, mantenendo un tono gelido. Deve capire che non si scherza su certe cose, non quando c'è in gioco la vita.

Il suo corpo ormai richiede quello sballamento artificiale, ne è dipendente: è per questo che trema o suda. Non ci si rende mai conto dei propri limiti, si cerca sempre di superarli. «Il fatto che al liceo ci fossero ragazzi che si facevano non vuol dire che tu sappia come gestire me, cazzo», inveisce, alzando un po' troppo il tono. Qui non c'è nessuno sordo. Lo fulmino con lo sguardo, facendogli capire di darci un taglio. «Hai ragione, allora ti dico la verità: una persona a me cara si drogava e ho visto con i miei occhi il modo in cui ha provato ad uscirne fuori. Gli sono stata affianco durante tutto il processo, ho visto i suoi sforzi e al giorno d'oggi posso dire di essere fiera di quella persona», ammetto. 

Alza un sopracciglio, curioso di saper chi sia questa persona a me importante. Finisco d lavare le tazze e poi mi asciugo le mani nello strofinaccio. Lo supero, sentendo il suo sguardo addosso mentre vado in camera a cambiarmi. Devo riportarlo a casa, dato che i suoi potrebbero essere preoccupati per lui. Una volta in camera mia prendo degli shorts azzurri e sopra metto una camicia leggera bianca. Lascio qualche bottone libero e poi prendo dei sandali alti trasparenti. Dopo essere andata in bagno per darmi una spazzolata ai capelli esco, dirigendomi in cucina. «Ti accompagno a casa, vai a metterti la camicia», lo invoglio, mentre lui smette di chattare al cellulare. Mi squadra il corpo, soffermandosi sulle gambe lisce e lunghe. «Vieni così?» Mi chiede interessato. Annuisco, lasciando perdere il suo commento idiota. «Ho detto a tua sorella di dire che eri con me, almeno eviteranno di rimproverarti», faccio spallucce, mentre lui si stacca dal bancone.

Gli scappa una risata finta, facendomi capire che forse lo rimprovereranno ugualmente. «Non credo proprio», parla da solo, proseguendo per il corridoio. Dieci minuti dopo siamo in macchina e mentre guido, il belloccio cambia canale alla radio. «Smettila di toccare la mia radio», sbuffo, scacciando la sua mano. «Non rompere e guida», mi zittisce, cambiando per l'ennesima volta stazione. Ma tu guarda un po'! Non solo gli do un passaggio, ma si permette anche di fare quello che vuole nella mia auto!. 

Una canzone remixata parte nello stereo e io non riesco a capire neanche mezza parola di quello che dice il cantante, è tutto un lamento. Svolto a destra, rallentando quando vedo passare una signora sulle strisce pedonali. «Non c'è un'altra canzone?» Sbuffo. «Che a me piaccia no, quindi accontentati», dichiara, altamente arrogante. «Sono tentata di lasciarti sul marciapiede, lì, in compagnia della bella vecchietta con il bastone», indico la signora sull'marciapiede a destra. Mi dà un pizzicotto sul braccio, facendomi scappare un urlo e un imprecazione in polacco. Alza un sopracciglio, sorridendomi come uno scemo. «Che hai detto?» Esordisce, abbastanza divertito. Scuoto la testa, negando il tutto. «Dimmelo, non parli mai il polacco. Voglio sapere che mi hai detto cinque secondi fa», continua imperterrito. Stremata dalle sue insistenze, alla fine cedo e gli dico quello che ho detto. «Ho detto: dupek», lo informo. Mi chiede che cosa vuol dire e io sogghigno, svoltando nel suo viale. «Significa "coglione"», sorrido da vera volpe. Mi guarda male e poi mi dà un altro pizzicotto sulla coscia facendomi urlare. La prossima volta se la fa a piedi, ho deciso. 


Angolo autrice:

Pagina Instagram: Car_mine01

D'ora in avanti la situazione di farà più interessante!

Un bacio.

Pearl Piotrowsky (The real queen of Poland)Where stories live. Discover now