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Pearl


Metto il tacco dodici a spillo fuori dalla mia camera, alzando poi il capo verso Teodora, che mi guarda con aria compassionevole. «Non prenda tutto come una lotta signorina, non le servirà a nulla combattere ogni giorno contro i suoi familiari», prova a farmi ragionare, mentre io tiro fuori dalla stanza le mie valigie. Mi fermo un attimo a fissarla, provando in tutti i modi a contenere il marcio che c'è in me. «Non sono io combattere ma loro, io mi difendo e basta», affermo. Sospira, incrociando poi le braccia al petto. «Venga qui, avanti», mi incita. Compio qualche passo verso di lei, e non appena le sono di fronte mi abbraccia stretta. «Si ricordi che le vogliamo bene, mi raccomando», mi accarezza la schiena, mentre io resto rigida per qualche secondo. Alzo le mani verso la sua colonna vertebrale e poi le lascio una carezza. «Occupati di Corinne», la scongiuro, facendo poi un passo indietro. Sono pronta per andare via dalla Polonia, e anche se non fossi pronta dovrei partire ugualmente perché c'è un volo diretto per Brooklyn alle dieci e mezza. Prendo il manico delle valigie, regalandole un sorriso forzato per poi voltarle le spalle. 

Scendo le scale della villa, e non appena noto la figura di fronte alla porta assottiglio lo sguardo. «Evapora», scandisco bene la parola, fissando con impassibilità Iwona. Incrocia le braccia al petto, sogghignando con cattiveria. «Sarai tu quella ad evaporare non io, e lo farai esattamente tra cinquanta minuti», fa finta di guardare l'orologio al polso.

Ma quanto è adorabile quando tenta di imitarmi, peccato lo faccia male da una vita. Avanzo verso il portone con noncuranza, mettendomi poi gli occhiali da sole sugli occhi. Devo andarmene in bellezza ovviamente, e perché non farlo con un piccolo ultimatum? La squadro da capo a piedi mentre i suoi occhi blu mi fulminano. «Chissà cosa direbbe la mamma se scoprisse di te e Justin... Oh, forse non sa che state insieme di nascosto ora. Peccato, non vorresti che qualcuno ti rovinasse il divertimento giusto, sorellina?» Marco l'ultima parola con un tono basso, facendole schiudere la bocca per lo shock.

 «Non osare, non ci provare neanche Pearl... »Non la lascio concludere che esco di casa e sbatto il portone. Ghigno, portando con me le valigie. Proseguo verso l'uscita, alzando poi il capo verso le finestre del secondo piano. Mia madre mi guarda dall'ufficio di mio padre, e nel frattempo mia sorella, Corinne, mi guarda con un espressione dispiaciuta. La saluto con la mano, voltandomi poi verso la donna che mi sta spedendo via come un pacco rotto e sbagliato. Il sorriso che avevo scompare, lasciando posto ad un espressione impavida e fredda. Mi lecco il labbro inferiore, decidendo di concludere qui i saluti per poi uscire dal mega cancello di casa mia. Qualche ora dopo sono in aereo, intenta a guardare il sito del mio college. 

Ci sono alcuni corsi di moda, e sicuramente potrei fare quelli. I vestiti sono la mia passione, ma mio padre non è mai stato d'accordo su nulla di quello che mi interessasse, nonostante lavori nello stesso campo che piace a me. Questa volta se lo farà piacere con la forza se non vuole che infanghi il nome dei Piotrowsky. Sono nata in Polonia, ma mia madre è americana e quindi ci ha insegnato la sua lingua fin da quando io e le mie sorelle eravamo piccole. Ovviamente la parlo meglio io.

Continuo a fare delle ricerche, sbuffando scocciata quando ricevo un messaggio da mio padre: comportati bene Pearl, mi raccomando. Mi scrive questo, neanche come sto. Ignoro il messaggio, chiudendo il cellulare per poi poggiare la testa allo schienale. Ho un bisogno disperato di dormire, ed è proprio quello che farò ora. Quando atterro all'aeroporto di Brooklyn tiro un sospiro di sollievo e scendo dall'aereo. Supero il cheek-out e poi vado a prendermi i bagagli. Certo che le temperature sono diverse da quelle in Polonia...qui fa più caldo. Indosso una giacchetta nera con il pellicciotto, mentre sotto porto lupetto nero e i jeans scuri a vita alta. La mia frangetta è apposto per fortuna, perciò non mi devo sistemare nulla ai capelli. Arrivo alla fermata dei taxi, alzando la mano verso il primo che vedo. 

Mi sembra di essere una straniera, e tecnicamente lo sono... anche se ho origini americane. Il taxi si ferma e quando sposto lo sguardo in avanti vedo un tizio dai lunghi capelli neri alla Bob Marley e i denti più bianchi della neve. «Salve, ha bisogno di un passaggio?» Chiede, mostrandosi cortese. «Si, devo mettere questi dietro però», spiego, indicando le valigie. «Ci penso io signorina, non si preoccupi», mi fa segno con la mano di aspettare e poi scende dal taxi. Quando mette a posto i miei bagagli mi accomodo dietro. Attiva il motore, regalandomi un sorriso cordiale e fin troppo solare per i miei gusti. «Lei non è di qui, vero?» Mi chiede, immettendosi in strada. «Non sono di qui, esatto», annuisco. «Si sente dall'accento; è inglese al cento per cento, ma sembra avere una calata straniera ogni tanto», specifica, beccandosi una mia occhiataccia. «Vengo dalla Polonia», confermo la sua ipotesi. Annuisce con entusiasmo, chiedendomi che tipo di posto è.

«Un posto tranquillo, freddo e solitario; un po' come me», aggiungo. Mi guarda stranito, per poi cambiare marcia. «Credo che il posto in cui si cresce cambia molto la persona», reputa che sia vero. Be', se lo dice lui ci credo di certo. «Dove la devo portare esattamente?» Mi domanda. Controllo il cellulare, cercando l'appartamento low cost che mia madre mi ha costretta a prendere. Mi hanno persino bloccata le carte di credito, e riceverò una paga soltanto una volta al mese, una paga di cinquecento dollari. 

Mi sento davvero frastornata: è come se fossi passata dalle stelle alle stalle. «Mi dovrebbe portare alla quindicesima di Rose Street», leggo l'indirizzo. Annuisce, svoltando in una stradina a destra per poi accelerare di colpo. Mi tengo al sedile, fissandolo con stupore e aria sorpresa. «Figlio di tua madre! Non si attraversa così la strada, ma chi cazzo te l'ha data la patente?! Estùpido!» Urla il tassista, che credo sia spagnolo. Deglutisco, pensando di essere finita in una gabbia di matti. Batte le mani sul manubrio, continuando ad imprecare per tutto il tragitto. Sono tutti così qui a Brooklyn? Si ferma di fronte al palazzo in mattoni e pietra, voltandosi verso di me con un sorriso. «Ha bisogno di una mano con le valigie, signorina?» Sembra un'altra persona ora. Ha la doppia personalità forse? «No, faccio sola», alzo la mano, aprendo poi lo sportello. 

Procedo verso il bagagliaio, prendendo poi le valigie con cura. Mi avvicino al tassista e prendo i soldi dalla tasca. «Ecco a lei», glieli porgo, mentre lui continua a sorridermi. «Si troverà bene qui, non si preoccupi!» Esclama. Retrocedo, facendo qualche passo in dietro per distanziarmi da questo soggetto strambo e poi entro nel palazzo, leggermente scossa. 


Angolo autrice:

Vi raccomando di seguirmi su Instagram, poiché d'ora in poi dirò sulla mia pagina quando pubblicherò. 

Un bacio!

Pearl Piotrowsky (The real queen of Poland)Where stories live. Discover now