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Pearl


Fisso la vetrina lucida e le pareti giallo senape, leggendo poi il titolo: 'Nigerian Caffè'. Be', ha un aspetto molto libro della giungla questo locale... Apro la porta, togliendomi gli occhiali da sole per poi osservare le pareti scure e il parquet in legno lucido. C'è un bancone che sembra essere fatto con foglie e canne di bambù. Sono finita in Tarzan forse? «Ciao, tu sei la ragazza del colloquio?» Mi chiede, una signora dalla pelle color caffè. Annuisco, avvicinandomi a lei per stringerle la mano. «Mi chiamo Pearl», le dico, osservando i suoi denti bianchissimi. Porca miseria, li ha migliori dei miei. «Mi stai guardando i denti?» Corruga la fronte. Annuisco, incantata da tutto quel bianco. «Si, scusa... è che sono incredibilmente lucidi e bianchi», scuoto la testa, staccando la mano dalla sua. Sorride divertita, facendomi segno di seguirla nel corridoio accanto al bancone. 

Prima di entrare giro il capo verso sinistra, notando almeno sei tavoli con dei divanetti e qualcuno singolo. Il posto è sicuramente bello e originale... sembra di essere dentro una foresta amazzonica con questi colori e le piante. «Mio marito è il capo del locale, si chiama Klein: è abbastanza distinto all'inizio, ma quando lo conosci meglio ti accorgi che è davvero alla mano», mi fa l'occhiolino, bussando alla porta del marito. Sento un 'avanti' e dopo qualche secondo lei apre la porta, mostrandomi un ufficio dai toni marroni con diverse librerie e vetrate.

«Klein, lei è Pearl; è qui per il colloquio», mi presenta, mentre l'uomo dalla pelle scura si alza e mi porge la mano con eleganza. «Salve, sono Klein Sheppard. Puoi sederti, se vuoi», mi incoraggia. «Vado a preparare qualcosa da bere, torno tra qualche minuto», ci lascia da soli, la moglie. Inizio a sentire un po' di agitazione, sarà perché non ho soldi? «Allora, Pearl... sei di qui?» Mi chiede, facendo conversazione. Scuoto la testa, accavallando le gambe sulla sedia per poi rispondere. «No, sono Polacca. Sono qui da poco», spiego, mentre lui annota quello che dico. Ma siamo da un psicologo? Mi guarda perplesso, domandandomi come mai mi trovi qui. «La verità? I miei mi hanno sbattuta fuori di casa perché non rispettavo le regole; secondo loro ero un cattivo esempio per le mie sorelle più piccole, che poi una ha diciassette anni e l'altra sedici... tanto piccole non sono», sbuffo, guardando la piuma colorata dentro il vetro. 

È interessante quell'oggetto, ne vorrei una anche io quasi. Mi ascolta con interesse, poggiando la schiena contro la poltrona in pelle. «Sei una ribelle, quindi», presume. Osservo la sua testa calva e i suoi occhi neri, per poi spostare lo sguardo dietro di lui. «A scuola andavi bene almeno?» Tocca un altro tasto dolente. «Si, ma la mia scarsa condotta influenzava i voti», sospiro. Sorride divertito, e io lo osservo stranita. Che problemi ha Klein? «Mi ricordi me da giovane, in versione femminile però», specifica, alzando un dito. Non vedo come potrei assomigliare a lui, sembra troppo calmo per essere me. «Anche io ne combinavo di tutti i colori da giovane, e proprio come te, i miei mi avevano spedito via dalla Nigeria perché li mettevo in imbarazzo», ricorda. Ecco perché si chiama Nigerian Caffè...

«Ho faticato molto quando sono arrivato qui: ho dovuto studiare al liceo per l'ennesima volta perché ero stato bocciato, e poi ero andato all'università per studiare economia e business», mi spiega, attirando un po' della mia attenzione. «Ho lavorato con diverse aziende, fin quando non ho avuto abbastanza soldi da crearmi un caffè tutto mio, e ora eccomi qui», indica il luogo. Mi scappa un sorriso divertito, e lui lo nota. La porta si apre e da lì spunta sua moglie, con in mano un vassoio e tre tazze di caffè. 

«Ecco qui, ho preparato i caffè della casa», mi spiega, posando il tutto sul tavolo. «Come sta andando?» Chiede lei, spostandosi una ciocca scura dalla guancia. Mi piacciono questi due, sembrano delle brave persone. «Bene, mi stava raccontando un po' di sé», fa spallucce Klein, prendendo il suo caffè per poi farmi l'occhiolino. «Quindi sono assunta?» Domando, prendendo il caffè per poi mettere dentro almeno tre bustine. Mi guardano divertiti, e io alzo le sopracciglia confusa. «Dovrai venire qui tre giorni a settimana, dalle cinque alle otto», specifica Klein. Bevo un sorso mentre lui firma qualcosa su un documento. «Ti spiegherò io come usare la cassa e preparare qualche drink», mi dice, la moglie. «All'inizio lasciala alla cassa Blanca», le dice Klein, scoccandole una lunga occhiata.

 Non vuole rischiare che io gli distrugga qualcosa, mi sembra giusto. «Un'ultima domanda e poi sei assolta: cosa vorresti fare dopo?» Domanda. Mi sembra di essere tornata al liceo... grandioso. «Mi piace il campo della moda, ma è tutto da vedere», inspiro, ricordando le parole di mio padre. Tu non puoi fare questo lavoro, non hai la testa e il comportamento giusto! — mi aveva detto.

«Non si sa mai nella vita, non smettere mai di sperare Pearl», mi fa l'occhiolino. La ringrazio e poi mi alzo dalla sedia, lasciando il caffè sulla scrivania. «Quindi ci vediamo qui domani?» Parlo, quanto per avere una sicurezza in più, non vorrei che poi cambiassero idea... non si sa mai. Annuiscono entrambi, perciò gli porgo la mano e dopo li saluto. «A domani, arrivederci» concludo, mentre Blanca mi accompagna alla porta. Una volta fuori, mi incammino verso la fermata del bus, aspettando che arrivi. 

Dovrebbe essercene uno alle sei in punto, e sono ancora le cinque e quaranta. Sbuffo, guardando male quella panchina su cui non mi siederò mai. Guardo qualche post su Instagram, fin quando non noto con la coda dell'occhio che una macchina si ferma di fronte a me. Alzo il viso, osservando lo sguardo compiaciuto di Lionel Beverly. «Vuoi qualche spicciolo?» Mi prende in giro. Poso il cellulare, rimettendomi gli occhiali da sole per evitare questi raggi troppo brucianti. «Non copiarmi le battute, non si addicono alla tua bocca», faccio una smorfia. Alza gli occhi al cielo, guardandomi da capo a piedi per poi farmi segno di salire in macchina. «Sali, ti porto a casa». Un atto di bontà? Sul serio? «Hai bevuto per caso?» Gli chiedo, sentendolo imprecare. «No, vuoi salire oppure ti lascio a piedi?» Sbotta. Sbuffo, smuovendomi i miei bellissimi piedi per salire sulla sua Mustang rossa. Una volta sul sedile accavallo le gambe con eleganza, venendo adocchiata male. «Siamo in macchina, non c'era bisogno che le accavallassi», mi ricorda, mettendo la marcia per smetterla di sostare. Lo fulmino da dietro gli occhiali, guardando gli interni chiari dell'auto. «L'eleganza e la classe non è per tutti», gli lancio una frecciatina.

«Neanche la bontà, alquanto pare», mi fissa con insistenza. Non sono mai stata una brava ragazza, non vedo perché dovrei cambiare per qualcuno. Dopo queste sue parole mi perdo un attimo nel vuoto, ricordando i rimproveri di mia madre come se fosse qui con me.

Tre mesi fa

Metto una mano sulla fronte, sentendo i miei occhi bruciare. Non sarei dovuta andare a quella festa in spiaggia, a quest'ora mi sarei risparmiata il mal di testa e gli occhi rossi. Mia madre mi guarda con occhi infuocati, passandosi una mano fra i capelli con forza. «Quante volte ancora hai intenzione di ritornare a casa conciata così!? Ma non capisci che è pericoloso Pearl!?» Alza il tono, mentre a me viene solo da vomitare. Ringhio, dicendole di abbassare la voce. «Hai pure gli occhi rossi, buon Dio!» Impreca, andando avanti e indietro con i suoi tacchi. «Sei adulta ormai, è tempo che tu prenda le tue responsabilità. Ben presto prenderò una decisione, non posso continuare a svegliarmi tardi per poi dover ripulire il tuo vomito, darti medicine e vederti appassire! Hai tanto di quel potenziale, ma lo sprechi tutto per queste stronzate», indica il divano dove sono seduta io, mezza morente. Fingo di ascoltarla, per poi chiudere gli occhi e addormentarmi, stremata da tutto e da lei che si lamenta sempre di me.

Ritorno al presente, sentendo lo sguardo di Lionel addosso. «Grazie per il passaggio», mi lascio sfuggire, sentendo un peso nel petto non indifferente. Non si aspettava il mio grazie e infatti deglutisce spaesato, per poi dirmi 'non c'è di ché. Gli do le indicazioni per il mio palazzo, fin quando non ci arriva e io scendo, scoccandogli una lunga occhiata per poi entrare nell'edificio in pietra. 



Angolo autrice:

Pagina Instagram: Car_mine01

Per ora sembra non si possano vedere i due protagonisti, voi che ne pensate?

Un bacio.


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