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Pearl

«Questa è la segreteria?» Chiedo al biondino, camminando a passo disinvolto verso il bancone. «Forse è troppo poco per lei? Principessa?» Mi sfotte, credendo di ferirmi il poverino. Sogghigno, ammiccando verso la signora dietro il vetro. «Salve, dovrei compilare il modulo per l'iscrizione», le spiego, mentre lei guarda una cartellina e sfoglia delle pagine. «Tu sei?» Mi chiede, mentre il biondo dietro la mia schiena mi osserva con circospezione. «Pearl Piotrowsky», dico, facendo in modo che lei cerchi il mio cognome tra quelle righe inutili.

 «Sei polacca?» Constata l'ovvio. «Si, si capiva dal cognome», annuncio, facendo scappare un sorrisetto al tizio/corvo. La signora mi guarda con sufficienza, osservando soprattutto il modo in cui sono vestita. Ha intenzione di farmi la ramanzina forse? Siamo in un college, non in una scuola. «Con i tacchi sarà difficoltoso camminare, te li sconsiglio», mi dice, rimettendosi gli occhiali rossi sul naso. Osservo il suo vestiario con un espressione schifata, maledicendo l'inventore dei pois. «Se volevo consigli andavo da uno psicologo cara signora, quindi se li risparmi per chi ha davvero bisogno di un opinione pubblica», affermo, restando impassibile durate la compilazione del foglio. 

Schiude la bocca scioccata, guardandomi come se volesse uccidermi. Ho un brutto difetto: non so stare zitta, mai. «Beverly, non si scoccia mai di frequentare certe donnette?» Domanda al biondo. Sbaglio o mi ha dato della donnetta questa sorta di Goblin?

Ancora prima che il ragazzo risponda io ho aperto bocca ovviamente. «Donnetta sarà lei, signora piovra. Ma dico, le sembra il caso di indossare una camicia a pois nera e fucsia? Forse dovrebbe frequentare uno di quei corsi di moda che si tengono qui. A proposito, devo scrivere anche i corsi che voglio frequentare», cambio argomento senza rendermene conto, e la signora mi strappa il foglio dalle mani per stamparlo. Che maleducazione, ma sono tutti così qui a Brooklyn? La segretaria lavora per qualche minuto e nel frattempo retrocedo, voltandomi verso il bell'imbusto che mi guarda con un leggero divertimento. «Fammi indovinare: non sai stare mai zitta eh?» Ci becca in pieno. Faccio spallucce, compiendo qualche passo verso il muro dove è appoggiato con la schiena. «Chiamalo dono di natura, o il mio peggior difetto, ma io non so mai stare zitta. Dico sempre la verità, che sia brutta o bella; per questo in molti mi detestano», mi lascio sfuggire qualcosa di me, e non so neanche il perché. Mi osserva con imperscrutabilità, domandandosi probabilmente qualche cosa su di me. «Ti hanno mandata via per questo?» Mi chiede, beccandosi una mia occhiataccia. «Non ti riguarda, biondino», parlo, allontanandomi da lui per controllare il Goblin. 

«Firma questi documenti», me li porge, spostandosi una ciocca rame dietro l'orecchio. Guardo le varie sezioni di studio, gli argomenti e tutto il resto. Opto per design, moda, arte e letteratura, tuttavia, come materia in più c'è lo sport in palestra. Alzo gli occhi al cielo, barrando quello che mi sembra meno noioso. «Ecco a lei», consegno i fogli alla signora, voltandogli le spalle per poi andarmene via. Devo ancora fare la spesa, e non ho soldi... grandioso.

Magari il ragazzo dietro di me potrebbe dirmi un buon posto dove si può lavorare... Mi volto verso il suo lato, avvicinandomi a lui con passo lento. «Conosci un posto che cerca dipendenti?» Gli domando curiosa, notando i suoi occhi divenire diabolici. «Se te lo dicessi dovrai smetterla di chiamarmi biondino, e in più, voglio qualcosa in cambio», affila lo sguardo. Ha capito che non ho soldi vero? «Non ho denaro, quindi se cerchi un dollaro per la tua dignità mi dispiace ma resti a secco», gli regalo un sorriso falso che lo fa imbestialire. «Sei proprio una stronza, fattelo dire», ringhia, ad un soffio dal mio naso. Alzo gli occhi al cielo, vedendolo spostarsi da me per poi proseguire verso il corridoio. 

«Allora? Mi dirai un posto adatto per lavorare o no?» Alzo la voce, guardandolo andare via. «No», urla di rimando, ignorandomi allegramente. Fantastico, e ora che diavolo faccio? Chiamo mia madre, imprecando mentalmente con me stessa per chiedere aiuto a quella vecchia traditrice e... «Mi chiedevo quanto durassi al telefono senza di me», ammicca, con un tono egocentrico. Assottiglio gli occhi nervosa, uscendo poi dall'edificio con aria scazzata. «Se magari non mi avessi mandata in un appartamento senza cibo non ti romperei fidati, anzi, eviterei persino di chiamarti», arranco, scendendo i gradini. 

«Puoi usare i cinquecento dollari soltanto una volta; se li finisci prima non teli darò di nuovo fino al prossimo mese», mi ricorda. «Grazie, per ricordarmi quanto io sia morta di fame, ma non ti preoccupare, presto troverò un lavoro», le sbatto in faccia queste parole, o meglio, al telefono. «Se lo faresti, be', finalmente avresti uno scopo nella tua vita», mi dice, chiudendo poi la chiamata.

Questa donna è proprio stronza, ora capisco da chi ho preso. Proseguo a piedi fino al marciapiede, prendendo dei soldi dal portafoglio. «Trenta dollari», conto. Sono gli unici soldi che mi sono potuta portare, gli unici che quei degenerati dei miei mi hanno fatta cambiare in dollari. Dovrebbero bastarmi per un viaggio di andata e ritorno con il taxi... Ma forse il bus viene di meno. Non ho mai risparmiato nella mia vita, e se devo iniziare a farlo ora posso farlo. Controllo il costo di un biglietto del bus, leggendo due dollari e venti; di meno rispetto al taxi. Devo imparare a risparmiare anche nelle cose più piccole come queste, perciò mi armo di buona volontà e mi avvicino alla fermata, aspettando che ne passi qualcuno. Controllo gli orari, vedendone uno proprio alle sei del pomeriggio. 

Sono ancora le cinque e quaranta, perciò devo aspettare qualche atro minuto presumo. Sbuffo, guardando malamente quella panchina dietro il mio sedere. Non mi siederò li, col cavolo. Si fanno le sei e finalmente vedo arrivare il bus, che alquanto pare ha giusto qualche persona al suo interno. Salgo, chiedendo al tizio che guida se per caso ferma vicino al centro commerciale. «Si, altre due fermate e arriveremo», mi spiega. Annuisco, andandomi a sedere al terzo posto del bus. Non mi piace stare in fondo, chissà che schifezze ci sono là dietro: ho sentito dire che alcuni ci appiccicano le gomme sul sedile.

 Mi siedo, poggiando la testa contro lo schienale. Prevedo una tragedia con questi mezzi... Non ne ho mai usato uno, dato che prima usavo la Lamborghini! Non vedo l'ora che mi mandino la mia macchina, senza quella non posso fare un bel niente, se non salire sul bus e sentire il signore dietro di me russare. Non so cos'è peggio, so solo che non gliela darò vinta ai miei.

Angolo Autrice: 

I prossimi capitoli saranno più lunghi prometto!

Seguitemi sulla pagina: car_mine01 per restare aggiornati sulla storia, perché d'ora in poi dirò sempre lì quando aggiorno.

Buona domenica!

Pearl Piotrowsky (The real queen of Poland)Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ