Ballons | 2020

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I'm bleeding your love
When you're swimming in my veins
Rita Ora

«Marc, cabrón!» sibila Fabio, inviperito, dando uno strattone severo all'insieme di palloncini dai colori pastello che ha tra le mani: quegli aggeggi volanti non ne vogliono sapere di seguirlo docilmente su per le scale senza andare a sbattere contro ogni soffitto, infilarsi in ogni nicchia, sbirciare in ogni stanza o colpire qualunque stipite capiti loro a tiro. È una persecuzione vera e propria e lui ne è del tutto succube.

«Ricordami a che pro lo stiamo facendo.» sbuffa, fermandosi un paio di gradini prima del pianerottolo per strofinare leggermente con la manica della felpa la ringhiera in vetro, sulla quale ha intravisto l'alone di una ditata. Marc non si accorge della cosa e gli finisce addosso, lasciandosi sbadatamente sfuggire dalle mani un palloncino, che non esita nemmeno un secondo a cogliere l'opportunità della vita e prende il volo verso il punto più alto della tromba delle scale.

«Ops.» il catalano si dipinge sul viso un'espressione innocente, stringendosi nelle spalle come a volersi discolpare. Sarà davvero difficile recuperare quel palloncino, perché è in una posizione pressoché irraggiungibile, l'unica soluzione è sperare che Jolie non lo veda prima del tempo. «Dicevi?» domanda quindi, rivolgendogli quel sorriso che fa andare in brodo di giuggiole un po' tutti.

«Che sei un pirla e che non capisco come mai tu abbia ingaggiato me per un'operazione del genere. Spero di non innamorarmi mai così tanto di Vacive, anche perché mi sbranerebbe, se le invadessi la camera con un esercito di palloncini.» sbotta il francese, mentre litiga con un sacco della plastica per liberare quell'ammasso leggerissimo di elio e brillantini variopinti.

«Le stai già invadendo la casa con un esercito di palloncini.» sghignazza l'amico, preoccupandosi di sistemare al meglio la sua opera d'arte.
«Morirò, ne sono certo.» Fabio piagnucola, la testa tra le mani: l'immagine della marea di brillantini che aleggerà nella la stanza gli causa un capogiro non indifferente, perché sa benissimo che il compito di ripulire ogni cosa spetterà a lui e Vacive.

«Marc Márquez è quel tipo di essere umano che va in un vivaio in cui lavorano venti di persone e si fa comporre il mazzo di fiori per Jolie dall'unico fiorista che ha una cotta per Jolie.» l'emiliana sospira, appoggiando l'enorme composizione floreale sul letto della cognata. «Gli ho dovuto spezzare il cuore e non è stato per nulla divertente.»

«Sono cose che capitano.» Marc allarga innocentemente le braccia, prima di dedicarsi con una cura a dir poco maniacale alla sistemazione degli ultimi particolari in giro per la stanza: un palloncino di qua, il petalo di un giglio di là, la lieve grinza che increspava l'angolino sinistro del lenzuolo, l'anta dell'armadio non perfettamente chiusa.

«Devi piazzare da qualche parte il biglietto, pignolo.» Vacive lancia il cartoncino color panna a mo' di frisbee, guadagnandosi un'occhiataccia da parte del novantatré quando il pezzo di carta impatta con la parete e stramazza al suolo.
«Pinolo.» sghignazza Fabio. «Tu, Apollonio Rodio, gli aerei, Giasone e Medea.»

Rapidamente sull'aereo, accanto al sedile di quella psicopatica di tua cognata, Cupido tese il suo arco e prese una freccia intatta, apportatrice di amore. Poi, senza farsi vedere, attraversò il corridoio con passo veloce e, ammiccando e facendosi piccolo, scivolò ai tuoi piedi; adattò la cocca in mezzo alla corda, tese l'arco con entrambe le braccia e scagliò il dardo contro di me: un muto stupore mi prese l'anima. Lui corse fuori, ridendo, dall'altissima cabina, ma la freccia ardeva profonda nel mio cuore, come una fiamma; ed io sempre gettavo il lampo degli occhi in fronte a te, e il cuore, pur saggio, mi usciva dal petto per l'affanno

Apollonio Rodio, Marc Márquez
Argonautiche, III, 278-288

«Sono un poeta.» lo spagnolo si compiace del suo operato, rileggendo ad alta voce il biglietto.
«Perché hai scopiazzato un pezzo di poema? Anche io una volta ho preso a martellate un sasso fino a romperlo, ma non per questo mi reputo scultore.» Fabio alza gli occhi al cielo, sconsolato.

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