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Ritornai a casa all'alba sconsolata e sconfitta come un guerriero insanguinato al ritorno dalle crociate e nemmeno seppi come: un misto di ricordi obnubilati di taxi che profumavano di Africa, di tacchi rumorosi lungo strade asfaltate, una corsa a perdifiato, alla ricerca di qualcuno, alla ricerca di una spiegazione, di parole che non venivano a fior di labbra, la disperazione, il vuoto, il senso di colpa, il rumore dei miei tacchi a spillo sul marciapiede deserto, gli occhi cerchiati di matita nera sbavata, i capelli sciolti ed annodati, le mani che armeggiavano alla borsa, alla ricerca di qualcosa, forse delle chiavi, forse della mia dignità...

Mi ritrovai a letto, in quel letto che ancora profumava di lui, con le sue cose ancora in giro, sparse per casa, a ricordarmi che cosa avevo fatto, quanto fossi incredibilmente pazza e sconsiderata: l'ipod con le sue canzoni, i suoi vestiti e la valigia sempre pronta, il libro che stava leggendo, appoggiato sul comodino con una pagina piegata a metà, quel libro che io stessa gli avevo consigliato, il suo spazzolino, in bagno, il pacchetto di sigarette quasi pieno, l'accendino d'argento con le sue iniziali che gli avevo regalato qualcosa come mille anni prima. Una foto di noi, scattata nemmeno ricordavo quando, insieme, felici, con sorrisi bianchissimi, innamorati, quando ancora pensavamo che sarebbe durata per sempre, quando non esistevano problemi, non c'erano dubbi, quando tutto doveva continuare per l'eternità, in quel movimento sensuale che lui aveva dentro di me, quando il mio cuore non era ancora un mucchio di muscoli sanguinanti, capaci solo di perdere colpi, come se stesse agonizzando dentro al mio petto..

Osservai i due braccialetti identici al mio polso e mi sentii sprofondare nel nulla. Aveva ragione.
Era tutta colpa mia.

Chi ero diventata?

Quale mostro orrendo poteva buttare all'aria l'amore di una vita solo per vincere una scommessa, per autoconvincersi che non c'era più amore per Francesco, che era relegato nel passato, chiuso, finito, terminato?

La testa mi girava.

Non capivo nemmeno come avessi fatto ad arrivare fino a casa.

Chi era la bambola rotta con il trucco sbavato che mi guardava disperata allo specchio, che cercava di dimenticare se stessa e tutto quello che c'era stato prima di quel momento?

Mentre tutto il cielo sembrava crollare sulle mie spalle, in ginocchio, mentre tutto collassava, la luna, le stelle, il sole, la felicità, la vita, mentre tutto veniva annientato, io riuscivo solamente a guardarmi intorno, come se fossi sopravvissuta ad una specie di cataclisma nucleare.

Al mondo ero rimasta solo io.

Mi alzai di corsa, abbracciai la tazza del water e vomitai l'anima insieme a tutta la notte precedente, trattenendo con un veloce gesto delle mani i miei capelli sciolti e annodati.

Tirai lo sciacquone allungando a tentoni una mano, senza riuscire a muovermi da lì, con la fronte appoggiata all'asse del water, le braccia lungo il corpo, inerti: mi sembrava tutto così assurdo, come era possibile che solo il giorno prima mi fossi svegliata tra le sue braccia, mentre ora ero sola, di nuovo e sola sarei stata per sempre?

Come ero arrivata lì, dannazione, come potevo averlo permesso?

Rimasi immobile per ore, senza smettere di piangere come una sciocca bambina che ha rotto il proprio giocattolo e, purtroppo per me, non potevo giustificarmi, non questa volta: sapevo di meritarmi quella sofferenza, sapevo che Leonardo aveva tutte le ragioni per essere infuriato con me, anche di odiarmi.

Il cellulare continuava a suonare, ma non era mai il numero che speravo.

Tutto intorno a me era buio: ero disperata e avevo un dolore nero, in fondo al cuore, tanto forte che ora sapevo con precisione cosa volesse dire avere il cuore spezzato, non sentire nient'altro che il male, il vuoto, l'assenza, il silenzio che gridava tanto forte da assordarmi.

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